Riscaldamento globale e pandemia: due volti della stessa crisi

Le osservazioni della rivista scientifica Lancet e il discorso di Antonio Guterres sullo stato del Pianeta.

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Cambiamento climatico e pandemia da Covid-19 sono due crisi convergenti, che vanno risolte con gli stessi mezzi e con la medesima urgenza, accelerando gli investimenti “verdi” nei piani di rilancio economico in tutto il mondo.

Entrambe le crisi dipendono dall’eccessivo impatto delle attività umane sull’ambiente, con la distruzione di ecosistemi, l’urbanizzazione, l’uso di combustibili fossili, l’incremento della popolazione globale e del conseguente bisogno di cibo.

Queste attività fanno crescere le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e incrementano il rischio di zoonosi (pandemie originate da virus che hanno compiuto il salto di specie dagli animali all’uomo).

A dirlo è il rapporto 2020 pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet, “Countdown on Health and Climate Change” (link in basso), che dal 2015 – quando sono stati firmati gli accordi di Parigi sul clima – monitora più di 40 indicatori che misurano l’evoluzione del cambiamento climatico e le sue conseguenze per la salute umana.

Gli indicatori evidenziano che è costantemente aumentata la frequenza e l’intensità degli eventi cosiddetti “estremi”, come le ondate di calore e le siccità prolungate con incendi devastanti, le inondazioni, uragani e cicloni tropicali, con relativi costi economici e sociali (morti premature, ore di lavoro perse, danni ai raccolti agricoli, danni alle città e alle infrastrutture).

Mentre gli indicatori sull’energia confermano quanto osservato nell’ultimo rapporto dell’Unep, Production Gap Report 2020: ci sono ancora troppe fonti fossili all’orizzonte, perché molti Paesi stanno pianificando un aumento di produzione di gas, petrolio e carbone su scala globale, anziché ridurre l’estrazione di combustibili inquinanti.

C’è insomma un divario notevole tra “dove si sta andando” e “dove si dovrebbe andare”.

E i prossimi cinque-dieci anni, scrive The Lancet, saranno fondamentali.

Difatti, per rimanere su una traiettoria di sviluppo economico compatibile con gli accordi di Parigi (stare sotto 2 gradi di riscaldamento globale entro fine secolo), i governi di tutto il mondo dovranno ridurre complessivamente le emissioni di CO2 nell’ordine del 7-8% l’anno da qui al 2030.

In sostanza, nel 2030 dovremo emettere circa 25 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (Gt CO2e), poco meno della metà del livello attuale (56 miliardi di tonnellate, vale a dire, 56 giga tonnellate).

Intanto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, nel suo discorso sullo stato del Pianeta alla Columbia University, ha dichiarato che “fare pace con la natura è il compito prioritario del ventunesimo secolo”, “making peace with nature is the defining task of the 21st century”.

La ripresa dalla pandemia è un’opportunità, ha affermato Guterres alla Columbia, “per evitare il cataclisma climatico e ristabilire il nostro Pianeta”.

Così l’obiettivo centrale per le Nazioni Unite nel 2021 è costruire un’alleanza globale per la neutralità carbonica in modo da azzerare le emissioni di anidride carbonica entro metà secolo.

Tuttavia, ha proseguito il segretario generale dell’Onu, tutti i Paesi devono passare un test di credibilità per andare oltre agli annunci.

Perché ci sono tante incongruenze: ad esempio i Paesi del G20 nei loro pacchetti di sostegno economico post-Covid, stanno indirizzando più denaro ai settori industriali legati alla produzione e al consumo di fonti fossili, che ai settori delle energie rinnovabili.

Di conseguenza, secondo Guterres, occorre in particolare: eliminare i sussidi ai combustibili fossili; tassare le emissioni di CO2; smettere di costruire nuove centrali a carbone; integrare l’obiettivo della neutralità carbonica in tutte le politiche economiche e fiscali.

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