Le rinnovabili secondo gli Emirati Arabi: per la diversificazione, ma in un mare di fonti fossili

Le Fer viste come un’opportunità per diversificare il portafoglio energetico del Paese più che uno strumento per la decarbonizzazione. Se ne è parlato al Verona Eurasian Economic Forum di Ras al-Khaimah dove siamo stati.

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Ras al-Khaima. Non alternative alle fossili, ma complementari. Non uno strumento primario per la decarbonizzazione e lotta al cambiamento climatico, ma un mezzo per diversificare il portafoglio energetico nazionale.

Così sono viste le energia rinnovabili negli Emirati Arabi Uniti. E a dirlo è proprio la società statale emiratina per le energie rinnovabili, Masdar.

Mohammad Abdelqader El-Ramahi, responsabile dell’idrogeno verde per l’azienda, sostiene che “petrolio e gas continueranno ad avere un ruolo importante per il prossimo decennio”, per una questione di “accessibilità, affidabilità e sicurezza energetica”, con le fonti rinnovabili “fondamentali per la sicurezza nazionale” in un’ottica di diversificazione del mix energetico.

Le sue parole arrivano dal palco della diciassettesima edizione del Verona Eurasian Economic Forum, che quest’anno si svolge a Ras al-Khaimah, negli Emirati Arabi Uniti (Uae). Un evento che mette insieme dirigenti di importanti aziende delle fossili, in particolare della Russia, personalità politiche e pubbliche, diplomatici di circa 40 Paesi, esperti e giornalisti emiratini, europei, asiatici.

Palco Forum Eurasiatico Verona

Masdar nasce da una costola di Adnoc (“Abu Dhabi National Oil Company”), la compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti. “Siamo stati prima pionieri nel petrolio e nel gas – spiega El-Ramahi – poi nel GNL, adesso nelle rinnovabili. Da attore locale siamo diventati un player globale, abbiamo investito 20 miliardi di dollari in progetti rinnovabili in tutto il mondo e abbiamo un portafogli di 35 GW, che vorremmo portare a 100 GW entro la fine del decennio”.

Appena lo scorso ottobre Masdar ha annunciato l’acquisizione del 50% di Terra-Gen Power, uno dei maggiori produttori indipendenti di energia rinnovabile negli Stati Uniti.

Un anno fa ha inaugurato (insieme a Adnoc, EDF Renewables e JinkoPower) quello che in quel momento era il parco fotovoltaico più grande del mondo, “Al Dhafra”, con una potenza complessiva di 2 GW, 4 milioni di pannelli solari bifacciali su oltre 20 kmq di deserto a 35 chilometri da Abu Dhabi.

Mentre dal palco lancia politiche energetiche green come la creazione di una “strategia nazionale sull’idrogeno” e una “sui carburanti per l’aviazione”, El-Ramahi difende ovviamente il settore delle fossili, il core business dell’azienda madre Adnoc.

“Quando parlo con chi è contrario all’oil&gas rispondo sempre che è meglio rassegnarci, perché continueremo a dipendere da loro. Ma anche nelle nostre raffinerie lavoriamo con la minore impronta carbonica possibile”, ha detto

Mohammad Abdelqader El-Ramahi
Mohammad Abdelqader El-Ramahi

Il come è presto detto. La carbon footprint di un barile di petrolio utilizzato per produrre elettricità necessaria per estrazione e raffinazione è inferiore rispetto a quella di qualsiasi altra parte del mondo, essendo quel petrolio prodotto localmente. Una sorta di “filiera corta” del fossile, ma non per questo meno inquinante.

Strategia sull’idrogeno e parchi fotovoltaici

Ad oggi, secondo El-Ramahi, il GNL è in grado di fornire “l’energia più economica”, mentre l’idrogeno resta, sullo sfondo, il “carburante del futuro”.

Una strategia per l’H2, come detto, esiste. Prevede la creazione di cinque “oasi dell’idrogeno”, impianti deputati alla produzione, e un intenso programma di ricerca, per lo sviluppo di nuove tecnologie capaci di abbattere i costi.

La strategia prevede la produzione di 1,4 milioni di tonnellate l’anno al 2031. Di queste, 1 mt/anno dovrebbe riguardare idrogeno verde ricavato da rinnovabili, mentre i restanti 0,4 milioni di tonnellate saranno idrogeno blu, prodotto cioè da impianti che utilizzano gas naturale connessi a impianti con cattura e sequestro del carbonio.

La quantità totale di idrogeno salirà a 7,5 milioni di tonnellate nel 2040, per poi raggiungere un volume pari a 15 milioni nel 2050.

Ma il potenziale maggiore è nel fotovoltaico. Gli Emirati Arabi Uniti hanno già tre degli impianti solari più grandi del mondo. Oltre al già citato Al Dhafra, c’è il parco solare Noor Abu Dhabi da quasi 1,2 GW, gestito dalla Sweihan PV Power Company, joint venture tra il governo di Abu Dhabi e un consorzio della cinese Jinko Solar Holding e della giapponese Marubeni Corp.

E il Mohammed bin Rashid Al Maktoum Solar Park, vicino Dubai, che sta attraversando diverse fasi di aggiornamento e al 2030 avrà raggiunto la potenza di 5 GW, combinando fotovoltaico e solare a concentrazione con accumulo termico.

In generale, secondo Suhail Al Mazrouei, ministro dell’Energia e delle Infrastrutture degli Emirati Arabi Uniti, il Paese investirà 200 miliardi di AED (54,4 mld $) nei prossimi sei anni per aumentare la produzione di energia verde.

L’obiettivo è contenuto nel Nationally Determined Contributions (NDC) presentato alle Nazioni Unite in vista della COP29 da poco conclusasi a Baku, sebbene con risultati deludenti). Gli Uae si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra del 47% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019, con specifiche riduzioni per settore (edilizia -79%, industria -27%, trasporti -20%).

La resistenza fossile

Nonostante gli impegni sul clima, gli Uae restano uno dei primi 10 produttori di petrolio al mondo, e hanno in programma di aumentare la produzione di combustibili fossili da qui al 2030. Appena un anno fa la compagnia petrolifera nazionale Adnoc ha investito 17 miliardi di dollari nello sviluppo di giacimenti di gas offshore.

La “Strategia energetica 2050” degli Emirati Arabi punta a un mix energetico che combina fonti rinnovabili, fossili e nucleare suddivise come segue: 44% Fer, 38% gas, 12% carbone e 6% nucleare

Target non particolarmente ambiziosi, se paragonati ad esempio con l’obiettivo di zero emissioni nette dell’Europa nello stesso periodo.

Secondo Climate Action Tracker, gruppo indipendente di ricerca che verifica l’azione dei governi per la riduzione delle emissioni nel rispetto degli accordi internazionali, gli obiettivi degli Uae sono “insufficienti“, proprio perché “i grandi piani di investimento nelle energie rinnovabili” continuano a essere “oscurati dai loro piani di espansione e investimento nei combustibili fossili”.

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