Il commercio di terre rare ha avuto una contrazione nel 2023. Parliamo del gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica (scandio, ittrio e i 15 lantanoidi) utilizzati nelle tecnologie di uso quotidiano come cellulari e computer, ma anche in tecnologie mediche avanzate, sistemi di difesa e, soprattutto, in numerose tecnologie verdi come per la fabbricazione di turbine eoliche e veicoli elettrici.
Nel 2023 sono state importate nell’Ue complessivamente 18.300 tonnellate di terre rare, per un valore di 123,6 milioni di euro, con un calo dello 0,5% in volume e del 15,2% in valore rispetto al 2022.
Nello stesso periodo ne sono state esportate dal Vecchio continente 5.600 tonnellate, per un valore di 102,3 milioni di euro (-18,7% in volume e -27,8% in valore).
Secondo dati forniti da Eurostat il prezzo medio delle importazioni è stato di 6,8 euro al chilogrammo, in calo del 14,8% rispetto al 2022, mentre il prezzo delle esportazioni è stato di 18,4 €/kg (-11,2%).
Le terre rare fanno parte dei minerali critici, essenziali per l’economia europea. L’accesso stabile e duraturo a determinate materie prime rappresenta una preoccupazione crescente: per affrontare questa sfida, la Commissione europea ha creato un elenco di materie prime critiche per l’Ue, soggetto a revisione e aggiornamento regolari. Tra queste figurano anche cobalto e litio, utilizzati nelle batterie.
Con il Critical Raw Materials Act (Crma), approvato in via definitiva dal Consiglio europeo lo scorso 18 marzo, l’esecutivo comunitario ha anche cercato di tutelarsi da rapporti di eccessiva dipendenza, soprattutto verso la Cina, che si stanno consolidando.
Il Paese asiatico è stato il partner principale dell’Ue nel 2023 secondo Eurostat, con il 39% del peso totale delle importazioni di terre rare, ovvero 7.100 tonnellate. Seguono la Malesia (33,1%, 6.100 tonnellate), e la Russia, (22%, 4.000 tonnellate).
Il Crma impone che entro il 2030 il consumo annuale del blocco Ue sia composto per almeno il 10% da minerali estratti localmente, per il 40% da elementi lavorati all’interno dell’Ue e per il 25% da materiali riciclati.
Allo stesso tempo, nessun Paese terzo potrà fornire più del 65% del consumo annuale europeo di uno qualsiasi dei materiali chiave, proprio per scongiurare che si creino condizioni di dipendenza.
Un’economia basata sui minerali
La transizione energetica sta lentamente trasformando l’economia globale da ‘fossil fuel dependent’ a ‘minerals dependent’. Questo vuol dire che i prezzi e gli approvvigionamenti di queste forniture riscriveranno i rapporti tra i Paesi nell’immediato futuro.
Un argomento di cui ha parlato anche Laura Cozzi, Chief Energy Modeller dell’International energy agency (Iea), in audizione alla Camera martedì 12 novembre.
“Mentre continuiamo a utilizzare combustibili fossili – ha detto – vediamo che il mondo inizia a domandare sempre più tecnologia pulite e ciò vuol dire che ci si sposta lentamente da un’economia basata sui combustibili fossili a una sempre più basate sui minerali”.
I prezzi di questi ultimi saranno sempre più importanti per le tecnologie pulite. Ad esempio, le batterie hanno avuto un’importante calo dei prezzi negli ultimi dieci anni, ma la quota dei minerali sul totale non è mai cambiata. “Quindi siamo passati da un valore del materiale critico del catodo che pesava più o meno il 5% sul prezzo delle batterie dieci anni fa a oggi che siamo tra il 25 e il 30%”, ha spiegato Cozzi.
La Iea ha elaborato diverse previsioni sulla domanda di alcune materie prime critiche ed è emerso che questa aumenterà in tutti gli scenari e in tutti i Paesi esaminati, “quindi ci sarà sempre più bisogno di investire in nuove miniere“, dice Cozzi. Ma questo non basterà e pertanto ha sottolineato “l’importanza strategica di un maggiore riuso e riciclo”.
Anche la diversificazione sarà fondamentale. L’Africa, ad esempio, “ha avuto pochissima esplorazione ma ha riserve importantissime di minerali critici”, e “visto l’impegno che l’Italia sta mettendo sul Piano Mattei direi che un’attenzione particolare sui materiali critici e sui partenariato con i Paesi africani per invertire la tendenza sarebbe un auspicio forte”, afferma Cozzi.
Ovviamente nella speranza che i benefici sia reali anche per i paesi africani, senza che si verifichi un’ulteriore forma di colonialismo.
La Iea sta inoltre lavorando su un piano in cinque punti per la sicurezza energetica dei materiali critici: “Innanzitutto – conclude Cozzi – vogliamo capire i trend di domanda e offerta, per poi sviluppare risorse e catene di approvvigionamento stabili, garantire maggior riciclo e condivisione delle competenze, risparmiare attraverso l’innovazione e prepararci a eventuali shock della catena di approvvigionamento”.
Il potenziale italiano nelle materie critiche
La dipendenza da Paesi terzi per l’approvvigionamento di materie prime critiche è un problema che va affrontato a livello europeo, ma anche l’Italia potrebbe fare la sua parte.
Con 1,2 miliardi di euro di investimenti, il nostro Paese potrebbe rendersi indipendente per un terzo della domanda interna, generando oltre 6 miliardi di euro di valore aggiunto per la filiera al 2040.
Le materie prime critiche sono già oggi un elemento chiave per la competitività nazionale, visto che contribuiscono a 690 miliardi di euro di produzione industriale del Paese, pari al 32% del Pil italiano.
Secondo un’analisi commissionata da Iren e realizzata da TEHA Group, per incrementare la competitività industriale del Paese in questo ambito occorrerà formulare un nuovo piano di esplorazione mineraria (esiste a riguardo una vera e propria Mappa delle materie prime critiche in Italia) e individuare aree strategiche di specializzazione nella fase di processing.
Un grosso contributo arriverà anche dalla crescita dei volumi di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) raccolti, il cui 70% non viene gestito correttamente per la scarsa presenza di centri di raccolta fruibili e la ridotta consapevolezza dei cittadini.
Sarà cruciale investire nella realizzazione di nuovi impianti per il recupero e il trattamento, dato che ad oggi il 90% delle componenti dei RAEE da cui estrarre materie prime critiche viene esportato. In Italia, infatti, gli impianti adibiti alla gestione dei volumi prodotti sono insufficienti: ne risultano accreditati solo 47 su 1.071, cioè il 4,3%.