In Italia ci sono complessivamente 76 miniere attive, 22 delle quali relative a materiali che rientrano nell’elenco delle 34 materie prime critiche dell’Ue.
A un mese dall’approvazione del “DL Materie prime critiche”, nato per adeguare la normativa nazionale sul settore minerario agli obiettivi e standard europei previsti dal regolamento Critical Raw Materials Act (Crma), ISPRA ha presentato il 24 luglio a Roma il database GeMMA (Geologico, Minerario, Museale e Ambientale).
Si tratta di una banca dati aggiornata nell’ambito del progetto PNRR GeoSciencesIR che rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione del programma minerario nazionale, imposto dal Crma e affidato all’ISPRA con il DL 84/2024.
Il Critical Raw Materials Act, approvato in via definitiva dal Consiglio europeo lo scorso 18 marzo, impone che entro il 2030 il consumo annuale del blocco Ue sia composto per almeno il 10% da minerali estratti localmente, per il 40% da elementi lavorati all’interno dell’Ue e per il 25% da materiali riciclati.
Allo stesso tempo, nessun Paese terzo potrà fornire più del 65% del consumo annuale europeo di uno qualsiasi dei materiali chiave, per evitare condizioni di dipendenza.
L’estrazione di minerali metalliferi, che rappresentano la maggior parte dei materiali critici, ha interessato circa 900 siti ed è attualmente inesistente.
In Italia non vengono, per ora, estratti Critical Raw Materials metallici e per la loro fornitura il nostro Paese è totalmente dipendente dai mercati esteri. “Alla luce delle nuove tecniche di esplorazione e dell’andamento dei prezzi di mercato, molti dei depositi conosciuti andrebbero rivalutati”, scrive ISPRA.
“L’obiettivo del Governo e del Mase è di rilanciare il settore minerario italiano attraverso iter autorizzativi semplificati per i progetti strategici, con procedure non più lunghe di 18 mesi per le estrazioni e 10 mesi per il riciclo. In questa direzione va il decreto-legge sulle materie prime critiche, che sarà ulteriormente rafforzato in fase di conversione”, ha dichiarato la viceministra all’Ambiente e Sicurezza Energetica Vannia Gava.
In 20 delle 76 miniere attive si estrae feldspato, minerale essenziale per l’industria ceramica, e in 2 la fluorite (nei comuni di Bracciano e Silius), che ha un largo uso nell’industria dell’acciaio, dell’alluminio, del vetro, dell’elettronica e della refrigerazione.
In particolare, la miniera di fluorite di Genna Tres Montis (Sud Sardegna), che rientrerà in piena produzione al termine dei lavori di ristrutturazione, sarà una delle più importanti d’Europa.
Feldspato e fluorite sono ad oggi le uniche materie prime critiche coltivate in Italia, ma i permessi di ricerca in corso, i dati sulle miniere attive in passato e quelli sulle ricerche pregresse e recenti, documentano la potenziale presenza di varie materie prime critiche e strategiche come il litio, scoperto in quantitativi importanti nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani (per approfondire Risorse di litio, un potenziale italiano ancora inesplorato) e altri minerali da cui si producono metalli indispensabili per il modello di sviluppo decarbonizzato.
Inoltre, depositi di rame, minerale essenziale per tutte le moderne tecnologie, sono già noti nelle colline metallifere, nell’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, Trentino, Carnia e in Sardegna. In diversi siti è stato estratto manganese, soprattutto in Liguria e Toscana.
Il tungsteno è documentato soprattutto in Calabria, nel cosentino e nel reggino, nella Sardegna orientale e settentrionale e nelle alpi centro-orientali, spesso associato a piombo-zinco; il cobalto è documentato in Sardegna e Piemonte, dove il deposito di Punta Corna è ritenuto di strategica importanza europea, la magnesite in Toscana e i sali magnesiaci nelle Prealpi venete.
Conosciuta anche la presenza di un giacimento di titanio nel savonese, così come le problematiche ambientali che ne precludono l’estrazione a cielo aperto. Le bauxiti, principale minerale per l’estrazione di alluminio, sono invece localizzate in quantitativi modesti in appennino centrale ma più consistenti in Puglia e soprattutto nella Nurra (SS), dove la miniera di Olmedo, ultima miniera metallifera ad essere chiusa in Italia, è ancora mantenuta in buone condizioni.
Le bauxiti di Olmedo, come le altre bauxiti, contengono possibili quantitativi sfruttabili di terre rare, che sono sicuramente contenute all’interno di buona parte dei depositi di fluorite, come nel caso di Genna Tres Montis.
Possibili depositi di celestina, principale minerale dello stronzio, materiale critico dai molteplici usi, sono documentati nelle solfare siciliane, soprattutto del nisseno. La presenza di litio è nota nelle pegmatiti dell’Isola d’Elba, del Giglio e di Vipiteno, ma è la recente scoperta di importanti quantitativi di litio nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani a rivestire un’ottima opportunità di estrazione a basso impatto ambientale.
Sette permessi di ricerca sono stati rilasciati dalla Regione Lazio e inseriti nel database, insieme agli altri attualmente vigenti. Il litio è uno dei minerali fondamentali per la transizione, utilizzato soprattutto nei sistemi di accumulo.
Tra i materiali critici non metalliferi, depositi significativi di barite, importante minerale per l’industria cartaria, chimica e meccanica, sono localizzati nel bergamasco, nel bresciano ed in Trentino.
Di fondamentale interesse per la nuova tecnologia sono i depositi di grafite, precedentemente estratti per coloranti, lubrificanti e per la fabbricazione delle matite. I depositi noti sono localizzati nel torinese (attualmente interessati da due permessi di ricerca), nel savonese e nella Sila.
A livello mondiale sta crescendo l’interesse della coltivazione degli scarti minerari come fonte di materie prime. In Italia le pregresse attività minerarie hanno lasciato un’eredità di circa 150 milioni di metri cubi di scarti di lavorazione, che si trovano in strutture di deposito spesso fatiscenti e che rappresentano un serio problema ambientale, con inquinamento diffuso delle acque superficiali/sotterranee e dei suoli da metalli pesanti, cioè gli stessi che potrebbero essere recuperati.
Per ISPRA sarebbe “necessario un cambio di paradigma: da rifiuti inquinanti da bonificare, a potenziale risorsa da recuperare”.