Primo calo delle emissioni in Cina. Il merito è delle rinnovabili

Per la prima volta le emissioni di CO2 cinesi calano senza crisi economica per la forte crescita di solare ed eolico e con il contributo del nucleare: coprono l’aumento della domanda elettrica e riducono il ricorso a carbone e gas.

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Diciamoci la verità, essere interessati alla transizione energetica può essere qualcosa di piuttosto frustrante, con continui passi avanti e inaspettate retromarce.

Dopo l’invasione dell’Ucraina, e il conseguente blocco del gas russo e l’impazzimento dei prezzi energetici in Europa, sembrava scontato che si procedesse alla massima velocità e decisione verso un sistema alimentato a fonti rinnovabili.

Invece, dopo tre anni siamo ancora ai ripensamenti, agli ostacoli, ai dubbi seminati ad arte (vedi cause del blackout spagnolo) e persino alle “armi di distrazione di massa”, come il fantomatico “piccolo nucleare”.

Stessa cosa si potrebbe dire per gli effetti globali dell’installazione di impianti a fonti rinnovabili.

Ogni anno vediamo nel mondo chilometri quadrati di pannelli solari e selve di turbine eoliche in mare e terra, ma il grafico delle emissioni di CO2 (vedi analisi Iea) continua indifferente a salire, dando l’impressione che tutto questo affannarsi a ripulire il sistema energetico sia solo una fatica di Sisifo: più si installa e più l’aumento dei consumi, coperto soprattutto dai fossili, annulla ogni progresso.

Per fortuna arriva una buona notizia a ribaltare questa pessimistica prospettiva: per la prima volta le emissioni di CO2 da parte del maggior produttore di gas serra al mondo, la Cina, sono scese in assenza di una crisi economica. Era già successo clamorosamente, per esempio, fra 2020 e 2022, ma per le conseguenze della pandemia e delle misure prese per contenerla. Anzi, questa volta sono scese in contemporanea a un notevole aumento complessivo dei consumi energetici nel paese.

Lo rivela un’analisi di Lauri Myllyvirta, analista capo dell’Asia Society Policy Institute per Carbon Brief, dedicato al gigante asiatico, che rivela come le emissioni della Cina siano diminuite dell’1,6% nel primo trimestre del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024, e dell’1% negli ultimi 12 mesi.

 

Calano le emissioni e aumenta la domanda di energia

“Ma l’aspetto interessante è che nel 2024 la domanda elettrica cinese ha raggiunto i 9.852 TWh, aumentando del 6,8% rispetto al 2023”, spiega Myllyvirta.

“Nonostante questo, le emissioni di CO2 dal settore elettrico sono calate del 2%, grazie all’incremento dell’elettricità prodotta soprattutto dall’enorme aggiunta di solare ed eolico, rispettivamente 220 e 80 GW, oltre che per l’aumento della produzione idroelettrica, per ragioni meteo”.

Nel primo trimestre 2025 le cose sono andate ancora meglio: le emissioni del settore elettrico sono diminuite del 5,8% sulle rispettive del 2024, nonostante una salita ulteriore della domanda elettrica del 2,5%.

“La ragione? Un calo della produzione da gas e carbone del 4,7%. E visto che stavolta la produzione idroelettrica è rimasta stabile, il merito di aver sostituito i combustibili fossili, va tutto a sole, vento e nucleare”, sottolinea l’analista.

Da notare però che una piccola quota della riduzione delle emissioni va ascritta a un aumento dell’efficienza media delle centrali a carbone di circa l’1%: spesso si sottolinea polemicamente come la Cina continui a installare centrali a carbone, ma non si dice che queste spesso vanno a sostituire impianti vecchi e inefficienti, riducendo le emissioni per GWh generato.

La riduzione delle emissioni sarebbe risultata anche maggiore se non fosse stato per alcuni settori industriali per ora non elettrificabili, come acciaio o industria chimica, che continuano a far salire i consumi di gas e carbone, nonostante per motivi meteo, i consumi di queste fonti ai fini del riscaldamento domestico siano stati nel 2024 più bassi del solito.

C’è poi la crisi del settore immobiliare che ha ridotto la domanda di materiali da costruzione e ha contribuito a contenere le emissioni.

“Interessante notare – aggiunge Myllyvirta – che i consumi di petrolio cinesi sono scesi dell’1% dal picco raggiunto nell’aprile 2024, nonostante il numero di auto nel paese sia passato da 329 milioni nel 2023 a 352 milioni nel 2024, mentre anche il resto del traffico stradale è aumentato in risposta alla crescita economica del 5%. Il mancato aumento dei consumi di petrolio è conseguenza evidente della massiccia elettrificazione del settore dei trasporti del paese, con circa la metà delle nuove auto vendute nel 2024 che ormai non richiedono più benzina o gasolio”.

Un trend destinato a continuare?

Insomma, l’Oriente è roseo, almeno per quanto concerne l’impressionante transizione energetica che sta effettuando il gigante cinese. Ma sarà proprio così?

Il punto è capire se si tratti della classica rondine che non fa primavera, con una risalita nei prossimi anni delle emissioni, oppure se quel piccolo calo è destinato a ampliarsi in futuro, realizzando il miracolo di dimostrare, proprio nella “fabbrica del mondo” fino a pochi anni fa alimentata essenzialmente a carbone, che la transizione energetica basata su fonti a basso rilascio di CO2 è possibile, efficace e veloce, visto che, in fondo, è cominciata solo una ventina di anni fa.

“Certo, è un dubbio che abbiamo tutti: non sarà che si tratta solo di un’anomalia statistica, che non indica un trend duraturo?”, ammette l’autore del rapporto.

“Potrebbe per esempio essere che un ristabilirsi di un po’ di ordine sui mercati, dopo il caos dei dazi, aumenti di nuovo la domanda di beni cinesi, e quindi di energia al di là di quanto la futura installazione di rinnovabili possa compensare. Oppure che il ‘nuovo ordine’ dei mercati imposto dall’amministrazione Trump riduca drasticamente la crescita economica cinese, spingendo il governo di Beijing a sospendere la transizione, cercando invece di recuperare competitività, tagliando gli investimenti sulle rinnovabili e tornando alle fonti più vecchie e inquinanti”.

Ma sono scenari improbabili: la Cina pianifica da decenni questa rivoluzione, proprio per acquistare autonomia e competitività tecnologica ed energetica. Non la manderà all’aria per un momentaneo rovescio forse destinato a durare solo pochi anni.

“Ci sono segni e dati che indicano che si tratta proprio dell’inizio di un trend di lungo periodo. Prima di tutto le emissioni cinesi sono in calo ormai da oltre un anno, dopo il picco raggiunto nel 2024, cosa che era già successa altre quattro volte negli ultimi 20 anni (2009, 2012, 2015, 2022, ndr), ma questa è la prima volta che la causa è la crescita delle energie pulite, e non più una crisi economica”, dice l’autore del report.

Inoltre, la crescita delle rinnovabili nel primo trimestre 2025 è stata superiore sia alla crescita della domanda attuale di elettricità che alla sua media degli ultimi 15 anni. Per questo un nuovo sorpasso della domanda elettrica sulla fornitura da rinnovabili sembrerebbe improbabile.

“Inoltre, praticamente tutti i settori economici cinesi, a parte la chimica alimentata a carbone, hanno registrato un calo delle emissioni da dicembre 2024, con alcuni casi clamorosi, come la diminuzione delle emissioni dalla produzione di cemento, oggi ridotte a marzo 2025 del 27% rispetto al picco del 2021”, dice Myllyvirta.

“A fronte di questo il governo cinese prevede una media di nuovi 200 GW di rinnovabili ogni anno, da qui al 2030, oltre ad almeno altri 30 GW di nucleare, la cui generazione corrisponderà più o meno ad altri 200 o 300 GW di rinnovabili. Insomma, l’inversione di tendenza nella crescita della CO2 cinese sembra veramente difficile da ri-invertire, anche se, occorre precisare, al ritmo attuale di diminuzione la Cina non riuscirebbe comunque a raggiungere i target di decarbonizzazione che si era data per rispettare l’accordo di Parigi. Per farlo, deve accelerare ulteriormente, e di molto”, conclude l’analista.

Vedremo se riuscirà anche in questo secondo miracolo. Intanto accontentiamoci di questo piccolo segno di speranza: sono tempi in cui non possiamo permetterci di snobbarne neanche uno.

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