Più biometano e idrogeno, così l’Europa si può decarbonizzare

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Uno studio di Navigant per il consorzio Gas for Climate evidenzia i vantaggi di utilizzare quantità crescenti di gas “pulito” al 2050. I dati in sintesi.

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Ci vuole più gas, o meno gas, e di che tipo, per azzerare le emissioni nette di CO2 in Europa al 2050?

Il dibattito in corso sugli scenari per de-carbonizzare il mix energetico vede moltiplicarsi gli studi, le opinioni, i rapporti di questa o quell’altra organizzazione: ultimo arrivato è il documento preparato dalla società di consulenza Navigant per il consorzio Gas for Climate, che riunisce sette società di trasporto gas, tra cui Snam, oltre a due associazioni che promuovono l’utilizzo di combustibile “verde”, il Consorzio Italiano Biogas (CIB) e l’European Biogas Association (EBA).

E la conclusione di questa ricerca, in sintesi, è che il gas pulito può avere un ruolo decisivo per ridurre progressivamente le emissioni di anidride carbonica nei prossimi decenni.

Attenzione però alla definizione di “pulito”, che comprende risorse prodotte in modo molto diverso: non solo biogas/biometano ricavato da rifiuti organici e scarti agroforestali, ma anche l’idrogeno verde prodotto con elettrolizzatori partendo da energia elettrica rinnovabile (Power-to-gas, P2G) e l’idrogeno cosiddetto “blu” prodotto dal gas naturale con un processo chimico di steam reforming da abbinare poi alle tecnologie CCS (Carbon Capture and Storage) per eliminare le relative emissioni di gas-serra.

Nello scenario “optimised gas”, secondo gli analisti di Navigant, nel 2050 l’Europa potrebbe immettere nelle reti esistenti una quantità di biometano e idrogeno equivalente a 272 miliardi di metri cubi di gas naturale (in termini di “contenuto energetico”: si parla di 1.170 TWh di biometano e 1.710 TWh d’idrogeno).

Lo schema sotto riassume questo scenario.

Nel complesso, lo studio stima che un mix energetico con queste caratteristiche farebbe risparmiare 217 miliardi di euro/anno rispetto a uno scenario “minimal gas” che invece punta soprattutto a elettrificare gli usi finali dell’energia (auto elettriche, pompe di calore e così via).

Da notare, però, che fino al 2050 si assume che la maggior parte dell’idrogeno sia quello generato con lo steam reforming: l’idrogeno da rinnovabili si diffonderà su vasta scala negli anni successivi, quando il suo costo di produzione sarà diminuito.

Un’ipotesi, quest’ultima, che contrasta con altri rapporti in cui si afferma che produrre idrogeno con elettricità rinnovabile sia già competitivo in alcune circostanze e lo sarà sempre di più in pochi anni (vedi qui).

Mentre un recente studio di Agora Energiewende evidenzia la necessità di sviluppare già all’orizzonte 2030 un primo nucleo di sistemi P2G con cui iniziare a produrre tutto quel gas verde che sarà indispensabile, sostengono i ricercatori tedeschi, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici.

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