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Perché la Germania prosegue nell’abbandono del nucleare?

Gli effetti e le conseguenze dell’emancipazione della Germania dall’energia nucleare. Un excursus storico.

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Si continua a discutere sull’inserimento del nucleare nella tassonomia europea delle attività ambientalmente sostenibili e quindi meritevoli di finanziamenti comunitari.

E di fronte alle varie voci pro-atomo che si stanno levando in Italia, può essere istruttivo fare un breve excursus storico delle ragioni che hanno portato la Germania a dire “no” all’energia nucleare.

L’esempio della Germania è importante perché è proprio dalle scelte di questo paese che è scaturito l’incredibile sviluppo delle energie rinnovabili negli ultimi 20 anni in tutto il mondo, sviluppo legato anche alla decisione di prendere le distanze dal nucleare.

Senza la Germania e la sua scelta di emanciparsi progressivamente dal nucleare, difficilmente oggi fotovoltaico ed eolico farebbero registrare record di installazioni e di efficienza di cui tantissimi si compiacciono, nonostante tali successi rimangano ancora insufficienti per la transizione energetica.

Ripercorriamo quindi brevemente l’esperienza tedesca, per mettere in prospettiva il dibattito odierno e chiarire perché, in una fase in cui le emissioni devono essere ridotte il più velocemente possibile, e l’installato delle rinnovabili ancora non basta ad alimentare l’Europa, la Germania abbia confermato la chiusura entro la fine dell’anno delle sue centrali nucleari, che pur producono energia senza emettere CO2.

Il no al nucleare ha aperto le porte alle rinnovabili

La transizione energetica in Germania ha preso le mosse proprio dal movimento antinucleare e dall’ascesa del partito dei Verdi alla fine degli anni ’70.

La convinzione che l’energia nucleare non debba far parte del mix energetico tedesco ha dunque una lunga storia, legata anche alla critica della proliferazione nucleare in ambito bellico, di cui gli usi civili sono una derivazione.

Dopo anni di proteste contro i progetti di centrali nucleari in diverse località tedesche, alimentate prima dall’incidente di Three Mile Island negli Stati Uniti nel 1979 e successivamente dalla catastrofe di Chernobyl nel 1986, il movimento antinucleare ha fatto sì che in Germania non sia stato costruito nessun reattore commerciale dopo il 1989. E l’incidente del 2011 a Fukushima, in Giappone, non ha fatto altro che cementare tale posizione.

Il cordone ombelicale che lega l’orientamento anti-nucleare della Germania e lo sviluppo delle rinnovabili fu la necessità di impedire che la rinuncia all’atomo si traducesse in un ancora maggiore ricorso alle fonti fossili, di cui già nei decenni scorsi si conoscevano gli effetti nocivi su natura e salute.

“È vero che all’inizio della transizione energetica in Germania abbiamo discusso soprattutto di energia nucleare. Ma parallelamente al phase-out nucleare, abbiamo creato nel 2000 la legge sulle energie rinnovabili. Con questa legge volevamo evitare che il phase-out nucleare portasse ad un aumento della produzione di energia fossile e ad un impatto sul clima”, ha spiegato a Clean Energy Wire Rainer Baake, capo della Climate Neutrality Foundation, ex segretario di Stato del ministero dell’Energia e fra gli architetti della prima legislazione tedesca sull’uscita dal nucleare.

Boom delle rinnovabili

Fu proprio questa prima legge sulle energie rinnovabili (la EEG), con la sua idea innovativa di dare incentivi in conto esercizio invece che in conto capitale, cioè solo per la produzione energetica e non per la costruzione degli impianti, a innescare un vero e proprio boom delle rinnovabili, imitato qualche anno dopo anche dall’Italia.

I prezzi di fotovoltaico ed eolico sono così calati drasticamente, consentendo alla quota di rinnovabili di crescere dal 6% dei consumi di energia elettrica tedesca nel 2000 al 46% nel 2020.

Fu insomma proprio grazie alla transizione innescata nelle forniture di energia, nota come “Energiewende“, che la Germania ha visto aumentare la consapevolezza e le ambizioni di decarbonizzare anche altri settori, portando alla decisione del 2020 di eliminare gradualmente l’energia da carbone entro il 2030.

Nemmeno le utility tedesche vogliono più il nucleare

Le stesse utility e gli operatori delle rimanenti centrali nucleari tedesche sono del tutto d’accordo sul fatto che non ci debba essere un’estensione del termine per la chiusura delle ultime sei centrali ancora in funzione, decisione confermata anche dalla nuova coalizione di governo (si veda la recente intervista de La Stampa a Nikolaus Valerius, direttore tecnico di  Rwe Power Nuclear).

Negli ultimi anni, le grandi società energetiche tedesche hanno abbracciato le rinnovabili e la sicurezza di pianificazione che la fine del nucleare garantisce.

Da un punto di vista più pratico, le utility tedesche hanno anche fatto notare che tutte le questioni legali di compensazione legate alle dismissioni nucleari sono state risolte, le licenze operative sono in scadenza e difficili da riottenere, i contratti con i fornitori e altre società di servizi sono stati terminati, il personale è stato riassegnato e non c’è più abbastanza combustibile.

È “completamente fuori questione che le centrali nucleari tedesche ottengano un’altra proroga, perché gli operatori non lo vogliono, perché non c’è nessuna seria forza politica che persegua questo obiettivo, e l’argomento non ha avuto alcun ruolo nei negoziati di coalizione. Gli elettori non hanno dimenticato Chernobyl e Fukushima e sanno che ci sono alternative migliori”, ha detto Baake.

Nucleare vs carbone

Sulle ragioni per cui il governo tedesco nel 2000 e poi di nuovo nel 2011 ha deciso di eliminare gradualmente il nucleare prima del carbone, bisogna ricordare che, all’epoca, porre fine all’uso di una fonte di energia storicamente familiare, reperibile domesticamente e affidabile come il carbone sarebbe stata una scelta straordinariamente precoce e irrealistica, quando le rinnovabili non fornivano ancora un’alternativa conveniente e affidabile come ora.

L’estrazione del carbone era profondamente radicata in Germania da 200 anni. Il carbone poteva cioè contare su una grande e orgogliosa forza lavoro, con una notevole influenza politica, e il settore carbonifero era il principale datore di lavoro e la roccaforte economica di varie regioni.

Per contro, anche se originariamente sostenuto dai partiti tedeschi negli anni ’60, il nucleare era un fenomeno relativamente nuovo, senza una solida base nella società, che presto avrebbe iniziato a contrastare tale scelta.

E, a riprova della lungimiranza della scelta, dalla decisione del 2000 di eliminare il nucleare prima del carbone, la quota di carbone nella produzione di elettricità in Germania è scesa dal 43% del 2011 al 23,4% del 2020. E nessuna nuova centrale a carbone è stata pianificata o costruita dal 2007.

“Le emissioni del settore energetico sono state dimezzate dal 1990… Sono gli altri settori che non sono riusciti finora a realizzare i loro tagli”, ha aggiunto Stefan Rahmstorf, uno dei responsabili dell’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico a Potsdam.

“Le riduzioni troppo lente delle emissioni della Germania non possono essere semplicemente legate alla tempistica del phase-out del nucleare e del carbone. Dopo gli anni del boom, il governo ha lasciato che i mercati delle rinnovabili crollassero. Con un’espansione più ambiziosa delle rinnovabili, la quota di produzione di energia senza CO2 poteva ora essere molto più elevata”, ha detto a Clean Energy Wire Simon Müller, direttore del centro studi Agora Energiewende.

Prospettive a breve termine

Il declino dell’energia nucleare porterà a un maggiore uso di fonti fossili e a un aumento delle importazioni, che faranno lievitare le emissioni di CO2 nel breve termine.

Tuttavia, queste dovrebbero essere rapidamente ridotte dall’espansione accelerata delle energie rinnovabili”, secondo gli economisti dell’Istituto Tedesco per la Ricerca Economica (DIW).

Nel breve, il nucleare verrà sostituito con fossili e con un aumento dell’import per 15 TWh. Le emissioni di CO2 potranno crescere di circa 40 milioni di tonnellate, secondo DIW.

Ma, nel complesso, le rinnovabili sono ora in una posizione migliore per prevenire le emissioni rispetto al nucleare, secondo il fisico Amory B. Lovins, professore aggiunto di ingegneria civile e ambientale alla Stanford University.

“Ogni 38 ore le rinnovabili hanno aumentato l’offerta e rimosso carbonio tanto quanto il nucleare ha fatto in tutto l’anno. All’inizio di dicembre, il punteggio per il 2021 è di -3 GW per il nucleare, +290 GW per le rinnovabili. Game over”, ha concluso Lovins in un editoriale su Bloomberg Law.

Senza contare che l’elettricità prodotta con il nucleare costa più del triplo di quella generata con fotovoltaico ed eolico.

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