I settori industriali hard-to-abate come siderurgia, chimica, ceramica, carta, vetro e cemento sono stati responsabili nel 2023 dell’11% delle emissioni italiane, mentre il trasporto pesante su strada, aereo e marittimo pesa per l’8%.
In questi due ambiti, la decarbonizzazione è una sfida complessa, poiché i loro vincoli tecnologici o operativi limitano molto l’efficacia di elettrificazione, efficientamento energetico e adozione di fonti rinnovabili.
Di questo problema, e di alcune possibili soluzioni, si occupa la seconda edizione dello “Zero Carbon Technology Pathways Report”, redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato questa mattina, incentrato su cemento e trasporto pesante su gomma, due settori “tra i più impattati dall’evoluzione del quadro regolatorio nei prossimi anni”.
Decarbonizzare i veicoli commerciali pesanti
Le soluzioni per la decarbonizzazione del trasporto merci tramite veicoli commerciali pesanti possono essere suddivise in due macrocategorie: uso di carburanti sostenibili che alimentano truck “convenzionali” (ossia dotati di un normale motore a combustione interna), oppure utilizzo di veicoli a trazione elettrica. Nel rapporto è stato analizzato il TCO (“Total Cost of Ownership”) per entrambe, avendo come riferimento per il “caso base” il camion alimentato a diesel fossile, il più diffuso sul mercato.
Se si prende il caso di un mezzo che percorre giornalmente circa 400 km, il TCO di riferimento (diesel fossile) è di 0,65 €/km, che diventa 1,02 €/km per i veicoli elettrici (BET) e addirittura 2,47 €/km per i veicoli ad idrogeno (FCEV), mentre le soluzioni HVO (carburante sintetico) e BIO-GNL (biocarburante) sono simili al “caso base”.
Lo scenario non cambia molto anche se si considerano diversi range giornalieri, con un ampliamento delle differenze inversamente proporzionale all’aumento della percorrenza.
Il grafico riportato sotto, che analizza il TCO al variare della percorrenza giornaliera, mostra come sul costo chilometrico dei mezzi a trazione elettrica impattino notevolmente le spese in conto capitale (capex).
Infatti, nel caso di una percorrenza pari a 400 km/giorno, l’acquisto del veicolo BEV conta per il 43% del totale e quella del veicolo FCEV per il 46%, contro il 20-25% delle tecnologie tradizionali. Quando la percorrenza sale a 600 km/giorno, il peso scende a 28% e 37% per BEV e FCEV, comunque superiore al 17-19% dei truck alimentati a carburanti sostenibili.
Altri due elementi relativi al carburante sono di particolare interesse: una crescita del TCO del veicolo BEV superata la soglia dei 400 km/giorno, dovuta alla necessità di ricorrere a infrastrutture di ricarica pubblica più costosa rispetto a quella privata, e l’impatto notevole del costo del carburante per il veicolo FCEV dovuto al prezzo dell’idrogeno verde.
La situazione cambierebbe con l’implementazione di opportune policy ad-hoc per il sostegno di veicoli a zero emissioni: nel rapporto è stato considerato l’impatto sul Total Cost of Ownership del meccanismo ETS 2 (il sistema europeo per lo scambio di quote di emissione di gas serra, ndr) che porterà a un aumento del 10-15% del prezzo del carburante tradizionale, e dell’eventuale rimozione dei pedaggi autostradali per questi mezzi.
Inoltre, è stato modellizzato un prezzo dei biocarburanti superiore a quello attuale, in modo da rifletterne il valore. Con queste assunzioni, l’analisi mostra che il veicolo BEV potrebbe raggiungere già oggi la parità di costo con il veicolo alimentato ad HVO, anche se l’elevato costo inziale del mezzo resterebbe una barriera significativa alla diffusione di truck elettrici.
In Italia la quota di mercato delle alimentazioni alternative sulle immatricolazioni totali è del 2% (dato riferito al 2023). La quasi totalità del parco circolante di HDV è costituito da veicoli a diesel.
L’incertezza normativa, il costo di acquisto, la mancanza di meccanismi di incentivazione adeguati, le carenze a livello infrastrutturale e, non ultimo, l’assenza di domanda di mercato per un trasporto ‘green’ sono i fattori che rallentano la diffusione di truck alternativi.
Cemento, la CCS non è sostenibile
Le emissioni di CO2 lungo il processo produttivo del cemento possono essere suddivise in emissioni dirette (dovute alla reazione di calcinazione, 48% del totale, e all’uso di combustibili, 25% del totale) ed emissioni indirette, attribuibili all’approvvigionamento di materie prime (23%) e al consumo di energia elettrica (4%).
Ad oggi sulle prime si può intervenire in diversi modi, come l’ottimizzazione dei consumi di energia termica, l’uso di combustibili a minore impatto ambientale, la sostituzione delle materie prime, l’elettrificazione dei processi produttivi, la carbon capture.
L’analisi svolta nel rapporto ha prodotto un modello dell’impatto economico di diverse tecnologie di cattura sul costo di produzione del cemento, mostrando come, ad oggi, la carbon capture (CCS) non sia economicamente sostenibile se non adeguatamente supportata.
Infatti, la somma dei costi all’impianto di cattura, del trasporto e dello stoccaggio della CO2 catturata comporterebbe un aumento del costo di produzione del cemento del 150-230% rispetto all’attuale, che si rifletterebbe inevitabilmente sulla filiera delle costruzioni.
In assenza di impianti di cattura un produttore si troverebbe a fronteggiare costi aggiuntivi di circa 82 €/t dovuti alle quote di emissione del meccanismo EU ETS, rispetto a una media attuale del costo di produzionee circa 61 €/t, per un costo totale di circa 143 €/t, mentre il costo aggiuntivo in caso di cattura e stoccaggio della CO2 porta a un aumento, come detto, del 150-230% a 152-201 €/t.
Nel caso del cemento si aggiunge poi un altro fattore, vale a dire che, a meno di progettualità che però ad oggi sono ancora sulla carta, non esistono soluzioni di cattura di CO2 su scala industriale attive nel nostro Paese.
Per i soli impianti di cattura di CO2 nel settore del cemento occorrerebbero al 2050 in Italia tra i 3,6 e i 6,8 miliardi di euro, mentre la totalità dei finanziamenti europei dell’European Innovation Fund, il principale programma dell’Unione Europea per promuovere lo sviluppo e l’adozione di tecnologie per la decarbonizzazione dell’industria, a ottobre 2024 si fermava a 164 milioni.
Serve un cambio di passo
La distanza evidenziata nei due settori oggetto di approfondimento tra le soluzioni potenzialmente disponibili per la decarbonizzazione e la loro reale diffusione sul mercato, con il calcolo delle risorse teoricamente necessarie, mette in luce come sia necessario un deciso cambio di passo per supportare la decarbonizzazione dei settori hard-to-abate, a livello europeo e non solo italiano.
Gli strumenti in campo sono insufficienti quanto a risorse disponibili. L’European Innovation Fund a ottobre 2024 aveva destinato ai Paesi europei 7,42 miliardi di euro, di cui il 54% per i settori hard-to-abate, ma solo il 2% dei fondi europei è associato a progetti sviluppati in Italia, contro il 12% della Germania, l’11% della Spagna e il 7% della Francia.
Anche per quanto riguarda il trasporto pesante su gomma, l’incentivo “Camion Green” definito dal Dm 6 agosto 2024 non pesa abbastanza: mette a disposizione 25 milioni di euro nel 2024 per l’acquisto di truck sostenibili, mentre le analisi presentate nel rapporto mostrano che nel 2025 gli operatori dovrebbero investire 50 milioni in più rispetto all’acquisto di mezzi diesel per essere in linea con i target.
- Il report (pdf)