Nuovo turbogas a Brindisi, un passato che non vuole passare

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Il progetto di Enel per la centrale Federico II ci ancorerebbe per altre decine di anni all’obsoleto modello fossile. Un intervento di Rossella Muroni, ecologista e vicepresidente della Commissione Ambiente della Camera.

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Lo ricorderemo per la pandemia, ma anche per il Green Deal e le rinnovabili. Nei primi sei mesi del 2020 infatti, grazie anche alle chiusure imposte dai lockdown, il 40% dell’elettricità dell’Ue è stata generata dalle rinnovabili.

I dati sono contenuti in un rapporto del think thank sul clima Ember e fanno segnare una prima assoluta nella storia visto che il contributo dell’energia pulita ha superato per la prima volta quello delle fossili, ferme al 34%.

Limitandoci alla sola Italia, nel mese di maggio il contributo delle Fer ha addirittura superato il 50% della domanda elettrica. L’Europa ha inoltre affermato con nettezza l’obiettivo della neutralità climatica al 2050, accompagnato da una forte priorità della transizione energetica. Un orizzonte oggi più vicino di ieri, grazie alle tecnologie, alle competenze, alla ricerca, all’innovazione e al calo sensibile dei costi dell’energia rinnovabile.

In questo quadro l’Enel ha chiesto e ottenuto di poter anticipare al prossimo anno la chiusura del gruppo 2 della centrale a carbone Federico II di Brindisi, fermo restando il phase out dal carbone entro il 2025. Potrebbe sembrare una buona notizia. Finalmente a Brindisi, città che ha pagato un alto prezzo al modello di sviluppo fossile, si potrà costruire un futuro all’insegna dell’energia pulita e di una nuova economia attenta alla salute e all’ambiente.

Ma le cose non stanno affatto così. L’Enel non intende fermare i gruppi produttivi a carbone per sostituirli con generazione rinnovabile, bensì con una produzione a turbogas. Una scelta miope, motivata con argomentazioni poco convincenti.

La prima è la necessità di garantire energia programmabile per la stabilità della rete. Peccato che con le tecnologie oggi disponibili combinando generazione rinnovabile ed efficienti sistemi di accumulo, come quelli elettrochimici e a sali fusi, si raggiungono gli stessi obiettivi. Senza inquinare.

La stessa Terna chiede un cambiamento del modello energetico verso una produzione di più piccola scala, ma rinnovabile e diffusa, dove quindi la produzione sia più vicina al luogo di consumo.

Una centrale termoelettrica alimentata a gas ancorerebbe la città per altre decine di anni al modello fossile e continuerebbe a produrre emissioni climalteranti, per alcuni gas l’impatto sarebbe persino maggiore rispetto a quello attuale.

Come se non bastasse Brindisi già produce una quantità di energia sensibilmente maggiore rispetto a quella che consuma e non si capisce per quale logica si debba mantenere questo squilibrio.

Considerato poi che il Paese è già dotato di un numero sufficiente di impianti a gas che potrebbero sopperire alla chiusura di quelli a carbone, viene il legittimo sospetto che si continuino a proporre nuove centrali a gas pensando più al nuovo sussidio del capacity market, che alle esigenze reali.

In più ora in molti cercheranno di conquistare parte delle ingenti risorse del Recovery Fund.

La stessa Commissione Europea ha criticato il nostro Piano nazionale integrato energia e clima proprio per la centralità del gas nel futuro mix energetico, una presenza prepotente che contraddice l’obiettivo di decarbonizzare la nostra economia.

Per essere realistici il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo sul clima di Parigi richiederebbe una riduzione dell’intensità carbonica del 7,5% annuo, mentre secondo il report PWC ‘Low Carbon Economy Index 2019’ in Italia siamo appena alla metà (dato riferito al 2018).

Non regge neanche la motivazione occupazionale: la prospettiva per la centrale e gas sarebbe di impiegare al massimo 70 persone, ma si potrebbe aspirare a ben altri numeri se invece, come chiedono associazioni ambientaliste e sindacati, si facesse di Brindisi un polo per l’energia pulita e la ricerca sulle rinnovabili innovative.

Considerazioni che si ritrovano nelle osservazioni inviate al ministero dell’Ambiente dalle associazioni cittadine Centro Turistico Giovanile, Forum Ambiente Salute e Sviluppo, I.S.D.E. – Medici per l’Ambiente, Italia Nostra, Legambiente, No al Carbone, Salute Pubblica e WWF e di cui la commissione Via chiamata a esprimersi sul progetto non potrà non tener conto.

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