Mezzogiorno, hub delle rinnovabili e della nuova industrializzazione green

Il Sud Italia può essere dentro uno scenario europeo in evoluzione nel quale aumenteranno gli scambi di elettricità da fonti rinnovabili. Un'occasione per costruire un nuovo tessuto produttivo. Scelte che vanno accompagnate con intelligenza e coinvolgendo tutti.

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Dopo che per anni la Germania e i paesi scandinavi hanno tirato la volata alle rinnovabili, e di certo continueranno a correre, si profila anche una riscossa del Sud Europa, con segnali chiari da Portogallo, Spagna e Grecia.

E poi c’è l’Italia rimasta bloccata al 36-37% della domanda elettrica dal 2014, seppure con qualche aumento delle installazioni nel 2022.

Anche da noi è il Mezzogiorno ad avere tutte le carte da giocare per fare inserire il paese tra i partner di punta della transizione energetica. Consideriamo che il 90% della produzione eolica italiana viene dal sud e che proprio in queste regioni verranno installati molti impianti fotovoltaici di grande taglia.

La presidente Meloni ha evidenziato come ci sia “un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibili”. Ma è andata oltre, affermando che il Sud potrebbe divenire un “hub per l’approvvigionamento europeo”, parlando del gas e delle rinnovabili.

Una dichiarazione che verrà contestata da chi intravvede un modello di sfruttamento delle risorse del Mezzogiorno a favore di altre economie più avanzate.

Bisogna dunque essere chiari considerando alcuni parametri nel formulare un giudizio: gli obiettivi delle rinnovabili, gli scambi internazionali, il paesaggio, l’impatto occupazionale e le ricadute industriali.

Partiamo da quanto dovrebbe contribuire l’elettricità verde al 2030: il 72% della domanda elettrica. Poi fra 28 anni, nel 2050, l’Italia, come altre decine di paesi nel mondo, dovrà essere “climate neutral”.

Per capire cosa implichi questa scelta, possiamo fare riferimento al documento presentato dal governo italiano in Europa nel gennaio 2021, “La Strategia Italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”, che prevede, tra le altre cose, un incremento della potenza solare da 10 a 15 volte rispetto agli attuali valori, cioè 200-300 GW, oltre ad un deciso incremento dell’eolico. Tutti i paesi europei hanno elaborato le proprie strategie, alcuni anche anticipando la data per raggiungere la neutralità climatica.

E le criticità che si sono manifestate con l’aggressione russa non faranno che accelerare la corsa delle rinnovabili con la definizione di obiettivi più ambiziosi.

Così ha fatto il Portogallo che adesso punta all’80% di elettricità verde al 2026 o la Germania che intende diventare 100% rinnovabile nel 2035.

Del resto, il World Energy Outlook 2022 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, appena rilasciato, afferma che la crisi energetica globale innescata dalla guerra può rappresentare un punto di svolta storico verso un futuro più pulito e sicuro.

In questo contesto di fortissima accelerazione della transizione, si può immaginare un aumento degli scambi internazionali di elettricità verde, già utilizzati oggi nei paesi scandinavi e previsti in futuro su larga scala anche tra paesi lontani, come tra Marocco e Regno Unito.

È allora prevedibile un aumento dei flussi di elettricità tra i vari paesi, in relazione delle condizioni di ventosità e soleggiamento nei diversi giorni e periodi dell’anno, in modo da ottimizzare l’utilizzo della generazione da rinnovabili.

Il loro sviluppo sarà impetuoso sul versante della produzione distribuita; pensiamo al prossimo decollo delle Comunità energetiche, ma anche sul fronte dei grandi impianti, come le centrali solari e i parchi eolici offshore.

Quindi il Sud “hub delle rinnovabili” può essere immaginato all’interno di uno scenario europeo in evoluzione nel quale aumenteranno gli scambi di elettricità solare verso i paesi del Nord, che a loro volta ci forniranno kWh eolici d’inverno.

Ma torniamo al Sud Italia. Si può conciliare una diffusione delle rinnovabili con impatti limitati sul territorio?

Certo, occorrerà un’attenzione crescente nell’inserimento dei nuovi impianti che comporteranno un’evoluzione del paesaggio, che, del resto, muterà, così come è si è trasformato negli ultimi secoli.  Ma intanto chiariamo che parliamo del 2-3% della superficie agricola, a seconda delle opzioni utilizzate (l’agrivoltaico occupa più spazio, ma consente la produzione agricola).

C’è poi un tema molto importante che riguarda l’industrializzazione green del Sud.

Mentre sono in crisi raffinerie, petrolchimici e altre industrie impattanti, si possono creare le condizioni per costruire un nuovo tessuto produttivo con rilevanti ricadute occupazionali: fabbriche di moduli fotovoltaici (come quella che Enel sta ampliando a Catania), di aerogeneratori (come le pale che Vestas realizza a Taranto), sistemi di accumulo piccoli e grandi, auto e autobus elettrici, pompe di calore, elettrolizzatori.

Ma parliamo anche dei porti che si trasformeranno, in parte, in aree per l’assemblaggio di parti degli aerogeneratori dei parchi eolici offshore. E centri di ricerca e sperimentazione delle nuove tecnologie.

La spinta verso le rinnovabili va accelerata, anche in considerazione del nostro ritardo. Ma va accompagnata con intelligenza con il coinvolgimento di cittadini, associazioni ambientaliste, istituzioni e università. E va prevista fin dall’inizio in una logica di ricadute sul fronte industriale e della ricerca.

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