Sviluppo “eccezionale” del fotovoltaico, idrogeno, biometano: cosa c’è nella Strategia nazionale di lungo termine

Trasmesso a Bruxelles il documento che spiega come dovrebbe muoversi l'Italia per azzerare le emissioni a metà secolo.

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Nelle stesse ore in cui Mario Draghi incontrava le associazioni ambientaliste per poi annunciare che il suo governo avrà un ministero della Transizione ecologica come quello francese o spagnolo, il ministero dell’Ambiente del governo uscente ha inviato a Bruxelles la Strategia nazionale di lungo termine con cui l’Italia punta ad azzerare le emissioni di CO2 al 2050 in linea con il Green Deal europeo.

Il documento, infatti, previsto dall’accordo di Parigi sul clima (l’Italia avrebbe dovuto presentare la strategia entro il 2020), traccia i possibili percorsi per raggiungere la “neutralità climatica” entro metà secolo.

Ciò significa che le emissioni residue di anidride carbonica al 2050 dovranno essere compensate dagli assorbimenti di CO2 (ad esempio nelle foreste) e dall’eventuale utilizzo di tecnologie per catturare le emissioni di carbonio e stoccarle nel sottosuolo (cosiddetto CCS: carbon capture and storage).

La nuova strategia prende le mosse dal Piano nazionale integrato su energia e clima (Pniec) al 2030.

Va detto però che l’attuale Pniec è stato già superato dal nuovo traguardo europeo che prevede di ridurre le emissioni del 55% al 2030 rispetto ai livelli del 1990. L’Italia insomma dovrà installare più fonti rinnovabili, ridurre la sua dipendenza dal gas fossile, de-carbonizzare più velocemente i trasporti, incrementare le misure di efficienza energetica nelle industrie e nel settore residenziale.

Per quanto riguarda le rinnovabili, rischiano di mancare all’appello 47 GW di eolico e fotovoltaico al 2030 se non ci sarà una decisa accelerata degli investimenti e una riduzione della burocrazia; in particolare dovranno essere tagliati i tempi per autorizzare nuovi impianti e per potenziare quelli esistenti.

Ciò precisato, nella strategia al 2050 appena trasmessa a Bruxelles, si afferma che “trascinando” al 2050 le dinamiche energetico-ambientali virtuose del Pniec, non sarebbe possibile azzerare le emissioni di gas-serra (espresse in termini di CO2 equivalente: resterebbero circa 200 milioni di tonnellate di CO2 eq al 2050).

Di conseguenza, evidenzia il documento, (neretti nostri), “è necessario prevedere un vero e proprio cambio del paradigma energetico italiano che, inevitabilmente, passa per investimenti/scelte che incidono sulle tecnologie da applicare, sulle infrastrutture ma anche sugli stili di vita dei cittadini”.

Per quanto riguarda l’ultimo aspetto – gli stili di vita – si parla della disponibilità dei cittadini a usare maggiormente i mezzi pubblici e i percorsi ciclopedonali al posto delle auto private per gli spostamenti urbani, oltre alla disponibilità a eseguire interventi “invasivi” per la riqualificazione profonda degli edifici.

La Strategia di lungo termine fissa tre linee d’intervento principali, spiega in una nota il ministero dell’Ambiente: una riduzione spinta della domanda di energia, legata soprattutto al calo dei consumi nella mobilità privata e nel settore civile; un cambio radicale nel mix energetico a favore delle rinnovabili, coniugato a una profonda elettrificazione degli usi finali e alla produzione di idrogeno; un aumento degli assorbimenti garantiti dalle superfici forestali (compresi i suoli forestali), ottenuti attraverso la gestione sostenibile, il ripristino delle superfici degradate e interventi di rimboschimento.

Vediamo qualche dettaglio in più.

In particolare, si legge nel documento, la produzione elettrica dovrà più che raddoppiare rispetto a quella attuale, arrivando a 600-700 TWh con una quota di rinnovabili del 95-100% grazie a “un eccezionale sviluppo del solare” con una capacità installata nel fotovoltaico che dovrà essere tra 200-300 GW al 2050, vale a dire, 10-15 volte il livello odierno.

Per l’eolico si fissa un traguardo indicativo di 40-50 GW tra impianti a terra e offshore. Si parla poi di installare 30-40 GW di sistemi di accumulo elettrochimico, oltre a potenziare i pompaggi idroelettrici; e si afferma che il 25-30% di energia elettrica sarà destinato alla produzione di idrogeno e di carburanti sintetici (cosiddetti e-fuel) da impiegare nelle industrie, nei trasporti e nella rete gas esistente.

Inoltre, rimarca il documento, “significativo dovrebbe essere anche l’apporto delle bioenergie, in particolare con il massimo sviluppo del biogas e del relativo upgrade in biometano, che può essere utilizzato negli usi finali termici ma anche nel settore di generazione”, inoltre la cattura della CO2 proveniente dalle bioenergie “può essere utilizzata per la produzione di combustibili alternativi come il metano sintetico”.

C’è tantissimo su cui lavorare in questa strategia, con la piena consapevolezza che tra i primi ostacoli da rimuovere c’è il nodo delle autorizzazioni per costruire nuovi impianti.

Quindi c’è urgente necessità – ecco uno dei primi compiti per il futuro ministro della Transizione ecologica – di definire regole chiare e certe a livello nazionale, che permettano di aprire i cantieri (per il fotovoltaico, l’eolico e tutte le altre opere necessarie alla transizione energetica) rispettando i criteri ambientali (tutela del paesaggio, consumo di suolo) senza incagliarsi nei comitati del “no” e nelle opposizioni locali.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), opportunamente modificato, potrebbe essere un punto di partenza verso una politica green più efficace.

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