Il Consiglio comunale di un piccolo paese nel sud-ovest della Sardegna, Villanovaforru, 660 abitanti, sfida la Regione e il governo sulla metanizzazione dell’isola, quell’inutile e dannoso progetto che è parte del recente Piano Energia Clima nazionale, così come della vecchia SEN, la Strategia Energetica Nazionale approvata dal precedente esecutivo.
I consiglieri comunali hanno approvato lo scorso 29 luglio una delibera (allegata in basso), piuttosto articolata e ricca di informazioni, che condanna l’uso del metano sull’isola e invita la Regione a ripensare il piano energetico regionale. La strada da seguire è quella dell’abbandono delle fonti fossili e di puntare tutto su efficienza energetica e fonti rinnovabili.
Nessun giornale nazionale, e crediamo pochissime testate sarde, parleranno di questa netta presa di posizione di un ininfluente paesino dell’entroterra sardo. Ma si sa, gran parte dell’informazione è la cassa di risonanza del pensiero unico della crescita, a prescindere, e delle lobby sostenitrici delle grandi opere, a proprio beneficio.
Eppure una delibera di questa portata dovrebbe essere “copiata” e fatta propria da tutti i 377 Comuni della Sardegna perché su queste tematiche si giocherà il futuro dell’isola, un potenziale laboratorio per l’innovazione e le energie rinnovabili con vantaggi di lungo periodo per i suoi abitanti.
Dopo aver snocciolato alcuni dati energetici ed evidenziato l’impatto del gas sul clima, nella sua delibera il piccolo Comune chiede alla Regione Sardegna di non procedere alla stipula di nuovi contratti per la realizzazione delle reti cittadine del gas e di abbandonare l’uso di fonti fossili.
Bisognerà invece inserire nel rinnovato Piano energetico ambientale regionale obiettivi di efficientamento energetico e target importanti di energia elettrica per cittadini e imprese da soddisfare con la generazione distribuita. Vanno spinte l’elettrificazione dei consumi e gli impianti a fonti rinnovabili elettriche e solari termici per la produzione di calore a bassa e media temperatura.
Si chiede poi che la Regione si impegni ad adottare tutte le misure di supporto necessarie per raggiungere questi obiettivi. Uno strumento importante sarebbe, secondo la delibera, quello di acquisire le reti a media e bassa tensione, sfruttando la rimodulazione dei fondi europei gestiti dalla Regione, accedere ad altri programmi dell’Ue, istituire fondi dedicati, ecc.
In più occasioni il Presidente della Regione, Francesco Pigliaru, ha dichiarato che la dorsale del gas o metanodotto, proposta da SNAM e da Società Gasdotti Italia, è indispensabile per la regione (attualmente in fase di VIA).
Ma molti sperano anche nell’altra parte del piano di metanizzazione in Sardegna: nuovi rigassificatori, depositi di stoccaggio del gas e due centrali a metano da 400 MW ciascuna.
Un piano sproporzionato che va molto oltre il fabbisogno dell’isola e che avrebbe impatti notevoli dal punto di vista paesaggistico.
Il ricorso al gas nasce dal timore che l’uscita dal carbone, prevista a livello nazionale per fine 2025, possa mettere in ginocchio la regione dal punto di vista occupazionale ed economico.
In questi mesi sono in corso degli incontri tra la Regione e il MiSE sul phase out del carbone. L’esecutivo sardo resta inflessibile sul tema, tanto che a febbraio ha fatto ricorso al TAR contro il decreto del Direttore Generale per le Valutazioni e le Autorizzazioni Ambientali del Ministero dell’Ambiente che vorrebbe attuare in tempi rapidi l’uscita dalla produzione termoelettrica alimentata a carbone.
Ma questa preoccupazione potrebbe essere gestita con razionalità, visto il tempo che intercorre fino allo stop del carbone sull’isola. In fondo per la Sardegna si tratta della chiusura di due sole centrali, quella di Portovesme e di Fiumesanto.
Le rinnovabili e gli accumuli sono tecnologie tecnicamente ed economicamente fattibili e capaci di soddisfare la richiesta dell’isola anche in prospettiva futura. Un recente studio del Joint Research Center ne illustra il potenziale, soprattutto per quanto riguarda il fotovoltaico da installare nelle aree industriali e carbonifere dismesse della Sardegna.
C’è ancora da lavorare sulla sicurezza della rete, ma i tanti esempi di ottima gestione dei carichi e di bilanciamento della rete con nuove e vecchie tecnologie di storage (inclusi invasi) dimostrano che l’intermittenza delle fonti eolica e solare può essere risolta.
Ricordiamo che il consumo elettrico annuale in Sardegna è oggi relativamente basso: intorno ai 9 TWh (9,1 TWh nel 2018). Al netto del fabbisogno, altri 4 TWh vengono esportati nel continente. Inoltre la punta di potenza richiesta è stata nel 2018 di appena 1,41 GW, registrata nel pomeriggio del 4 agosto.
Ci sarebbero dunque le condizioni per puntare decisamente su FV ed eolico e accumuli, rendendo l’isola un esempio mondiale di decarbonizzazione, creando indotto e benefici economici per la popolazione.
Siamo di fronte a sconvolgimenti epocali del clima che non riescono a sollecitare però necessarie e drastiche decisioni. A nessun livello: dal basso c’è la frustrazione per le piccoli azioni a causa della percezione di non poter incidere su eventi di scala planetaria; dall’alto, a causa delle modalità astruse su cui si incardinano negoziati internazionali con target deboli e incerti che da decenni non riescono a portare risultati degni di nota, grazie soprattutto al lavoro ai fianchi sugli Stati svolto dai veri nemici del clima: le grandi multinazionali energetiche fossili.
Un lavoro incessante dal basso e dall’alto dovrà però continuare, provando a ribaltare questo modello economico ed energetico basato sulle fonti fossili e sul sovrasfruttamento delle risorse. Non è più un’opzione, è ormai un dovere di tutti chiedere un cambiamento.
Bloccare tutte le nuove infrastrutture che, direttamente o indirettamente, saranno causa di ulteriori emissioni deve diventare un imperativo, per tutti. In Italia: il TAV, la TAP, rigassificatori, trivelle, centrali a fonti fossili, così come la metanizzazione di un’isola che non avrebbe poi più spazio per fare il suo processo di decarbonizzazione, generando poi altre cattedrali nel deserto.
Investire in infrastrutture basate sulle fonti fossili sposta sine die gli investimenti in un modello energetico pulito, basato su rinnovabili, efficienza e generazione distribuita.
Ovunque, come nel caso della Sardegna, il cambiamento del modello energetico non dovrà essere fatto sulle spalle dei cittadini e delle imprese, ma pianificato (parola ormai dimenticata) con loro, avendo sempre come punto di riferimento la comunità nel suo complesso e i suoi veri bisogni.
La presa di posizione del piccolo comune sardo meriterebbe, per tutto questo, il clamore della stampa nazionale.