La transizione energetica, tra crescita delle rinnovabili e dipendenza dalle materie prime

Il necessario forte sviluppo delle rinnovabili potrà creare dipendenza da una serie di materie prime e terre rare per buona parte controllate dalla Cina. Quali approcci sono perseguibili?

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Finora abbiamo temuto che la forte dipendenza dal carbone della Cina sarebbe stata un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di Parigi. Ora che Xi JinPing ha annunciato di puntare alla neutralità carbonica al 2060, si aprono prospettive decisamente interessanti.

Nei prossimi decenni dovremo però superare un altro ostacolo alla rivoluzione climatica globale, la reale disponibilità delle materie prime necessarie. E ancora una volta fa capolino Pechino.

Ma andiamo con ordine.

Se negli ultimi 100 anni abbiamo visto guerre e colpi di stato per il petrolio, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi cento?

Considerando che i maggiori paesi si sono dati l’obbiettivo di raggiungere la neutralità climatica/carbonica nei prossimi 30-40 anni, è chiaro che il ruolo dei combustibili fossili andrà progressivamente riducendosi.

Ma crescerà invece la dipendenza da una serie di materie prime critiche.

La transizione ecologica dell’economia comporterà infatti la crescita rapidissima non solo di acciaio, rame, cemento, alluminio, ma anche di elementi strategici come il litio, il cobalto e le terre rare che al momento vengono largamente controllati dalla Cina.

Quindi c’è il rischio concreto di passare dalla dipendenza dai paesi arabi a quella da Pechino.

Si consideri, ad esempio, che il 98% delle terre rare utilizzate nelle tecnologie rinnovabili e nella mobilità elettrica in Europa proviene dalla Cina.

Uno scenario che preoccupa anche l’Unione Europea che lo scorso 29 settembre ha lanciato la “Alleanza europea delle materie prime”.

Il vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič ha sottolineato come l’approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime sia un prerequisito per un’economia resiliente.

Solo per le batterie delle auto elettriche e lo stoccaggio di energia, l’Europa avrà bisogno, ad esempio, di una quantità di litio fino a 18 volte superiore entro il 2030 e fino a 60 volte di più entro il 2050. Costruiremo quindi una forte alleanza per passare da un’elevata dipendenza dall’estero ad un approvvigionamento interno e punteremo alla circolarità e all’innovazione”.

Dunque, il tema delle risorse rappresenta una criticità da non sottovalutare e da affrontare con saggezza e lungimiranza.

Non certo però con il taglio provocatorio del pezzo “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?” comparso l’11 novembre su un blog del Sole 24 Ore. L’articolo, che alterna dati veri e inesattezze, arriva ad ipotizzare soluzioni impraticabili su larga scala come la cattura della CO2 dall’atmosfera.

Utilizzando la tecnologia della svizzera Climeworks, all’avanguardia in questo settore, per rimuovere la CO2 annualmente prodotta dai combustibili fossili, 38 miliardi di tonnellate, si dovrebbe infatti utilizzare metà della produzione mondiale di energia elettrica, oltre ad una quantità di energia termica quattro volte superiore…

 “Di circa una decina di materiali alla base della ‘rivoluzione verde’ le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili”, si legge inoltre nel pezzo.

Naturalmente non è così, ma la sfida della domanda dei materiali e dell’impatto ambientale legato alla loro produzione andrà affrontata con grande serietà.

Vediamo quali approcci sono perseguibili.

Un elemento importante per contenere la pressione sugli approvvigionamenti riguarda l’innovazione tecnologica.

Ricordiamo che il contenuto di silicio nelle celle solari è passato dai 16 grammi/Watt nel 2004 ai 4 grammi/W nel 2017. E si potranno aprire nuove frontiere, come con le celle solari organiche ultrasottili.

Oppure, consideriamo il recente annuncio di Tesla di voler produrre batterie prive di cobalto, che altri costruttori già fanno.

C’è poi un secondo filone, molto interessante, che riguarda il recupero dei materiali dai prodotti a fine vita.

Nel caso delle batterie al litio, nel 2018 si sono riciclate quasi 100.000 tonnellate su scala globale, circa il 50% di quelle che hanno raggiunto il “fine vita”.

La percentuale di recupero a livello mondiale delle terre rare è invece a livelli molto bassa, dell’1%, ma si ritiene di potere arrivare a recuperarne un terzo nel medio periodo.

Abbiamo poi le nuove attività di esplorazione.

A settembre, ad esempio, negli Usa è stato presentato il Reclaiming America Rare Earths Act che prevede incentivi fiscali per le compagnie coinvolte nell’estrazione e nel riciclo delle terre rare e di metalli nel territorio americano.

È prevedibile, dunque, l’avvio di nuove iniziative minerarie in diversi paesi, dall’Australia al Canada, dagli Usa all’Europa.

C’è infine una riflessione più di fondo, decisiva.

Le possibili criticità sull’uso delle risorse minerali e idriche impongono non solo una maggiore attenzione alla riduzione dei consumi energetici, ma sollecitano anche una rivisitazione dell’attuale modello economico e lanciano un messaggio ad una maggiore sobrietà.

Sono proprio i temi toccati nel recente summit “Economy of Francesco” nel quale Bergoglio ha tracciato un percorso per la ripresa dopo la pandemia, affemarmando:

“Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile… non possiamo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse”.

L’articolo di Gianni Silvestrini è tratto dal’editoriale del n.5/2020 della rivista bimestrale QualEnergia.

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