Industria auto: l’elettrico non toglierà occupati, ma incombe il “made in Asia”

Le sfide e le opportunità per le case automobilistiche nel passaggio verso i modelli elettrici in un'analisi di Boston Consulting.

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Come deve cambiare l’industria dell’automotive per vincere la sfida dell’elettrico?

E quali conseguenze comporta, a livello produttivo, passare dai modelli benzina/diesel a quelli elettrici?

Una recente analisi di Boston Consulting Group (BCG), Shifting Gears in Auto Manufacturing (link in basso), esamina le differenze tra auto convenzionali e veicoli “alla spina” e approfondisce alcuni aspetti che riguardano la transizione industriale da un tipo all’altro di mobilità.

Un primo punto evidenziato dagli autori dell’analisi, è il seguente: è inaccurato pensare che l’auto elettrica richieda una minore intensità di lavoro e manodopera in confronto a un veicolo convenzionale.

Al contrario, si legge nell’articolo pubblicato da BCG, l’assemblaggio di una vettura plug-in richiede sostanzialmente la stessa quantità di lavoro dell’assemblaggio di un modello con motore termico.

Certo, il funzionamento di un motore elettrico è più semplice rispetto a un propulsore termico e poi richiede molta meno manutenzione, ma i componenti da assemblare in un’auto elettrica sono comunque numerosi: batterie, inverter, cavi ad alto voltaggio, tubi di raffreddamento per gli accumulatori e così via.

Ecco perché le grandi case auto hanno già sviluppato – e continuano a sviluppare – nuovi stabilimenti con linee produttive dedicate esclusivamente alla produzione di modelli elettrici, grazie anche alla creazione di piattaforme modulari riservate ai BEV (Battery Electric Vehicles).

Si può anche adottare un approccio denominato FCM, flexible-cells manufacturing: in pratica, sono linee produttive molto flessibili che consentono a ogni tipo di vettura di avere il suo percorso di assemblaggio “dedicato” nell’ambito di uno stesso stabilimento, secondo le necessità dello specifico modello, tradizionale oppure elettrico.

Nel complesso, secondo Boston Consulting Group, per costruire un’auto elettrica serve quasi la stessa quantità di lavoro e manodopera che per costruire un modello a benzina/diesel della stessa tipologia.

Gli analisti, come riassume l’info-grafica sotto, hanno considerato i vari anelli della catena produttiva che riguardano la produzione e l’assemblaggio di tutti i singoli componenti richiesti nelle vetture.

Il rischio, in termini soprattutto di occupazione, per le case automobilistiche, è che una quota rilevante del valore aggiunto nella filiera si sposti sempre più verso i fornitori di celle e batterie, che in questo momento sono in massima parte asiatici.

Si spiega così il tentativo europeo di investire in giga-factory di batterie nel vecchio continente: l’obiettivo è strappare all’Asia il predominio in una fetta decisiva della filiera produttiva dell’elettrico.

E poi molto dipende dalle strategie adottate dai costruttori auto: affidare la produzione di batterie e di componenti elettronici in outsourcing (a fornitori terzi), o produrre il più possibile in casa?

Da ciò consegue, infine, che secondo la strategia scelta, le case auto dovranno pianificare eventuali riduzioni della forza lavoro e riqualificare una parte dei lavoratori per impiegarli nelle linee produttive dedicate ai BEV.

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