Incentivi e transizione energetica: non tutti ne stanno beneficiando

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Un’analisi su incentivi e detrazioni fiscali per fotovoltaico e riqualificazione energetica mostra che la transizione energetica in corso non è equa, ma produce nuove disuguaglianze socio-spaziali.

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Società civile e ricercatori si interrogano da tempo sulle ricadute della transizione energetica in termini di giustizia sociale.

Se in un primo momento è parso che il passaggio dalla produzione centralizzata di energia da fonti fossili a quella distribuita da fonti rinnovabili potesse essere di per sé stessa sostenibile, e quindi equa, ci siamo presto dovuti ricredere.

La transizione energetica, ancorché improcrastinabile, sarà equa e potrà portarci verso la democrazia energetica solo a certe condizioni, al momento non ancora ben definite (vedi Non c’è sistema energetico sostenibile senza una transizione energetica giusta).

Sono chiare, invece, le dinamiche che riproducono le diseguaglianze già sperimentate con le fonti fossili e che rischiano di interessare anche la rivoluzione attesa con il recepimento della direttiva europea sulle comunità energetiche rinnovabili (CER).

In che modo e in che misura le politiche messe in atto per accelerare la diffusione delle rinnovabili, del risparmio e dell’efficienza energetica, hanno favorito in Italia i gruppi sociali più deboli e i territori marginali? E se li avessero invece sfavoriti, riproducendo preesistenti disuguaglianze sociali e spaziali?

Giovanni Carrosio e Natalia Magnani, sociologi rispettivamente dell’Università di Trieste e di Trento hanno investigato (anche) questo tema nel loro ultimo libro dal titolo “Understanding the Energy Transition – Civil society, territory and inequality in Italy”.

Scrivono che la transizione energetica è stata promossa all’interno del modello di sviluppo esistente.

Un modello che ritiene di risolvere i problemi ambientali attraverso strategie basate sulla crescita economica, con logiche di mercato che si limitano ad aggiornare il modo di produrre energia, dalle fossili alle rinnovabili, per contrastare il cambiamento climatico, senza considerare che una transizione giusta non solo non deriva dalla sostituzione delle fonti, ma che, al contrario, tale cambiamento tecnologico potrebbe rivelarsi ancora meno sostenibile del precedente sia socialmente che in termini di sfruttamento delle risorse.

Le politiche incentivanti per la produzione di energia da Fer, il risparmio energetico e l’efficientamento degli edifici hanno infatti determinato i maggiori benefici per le famiglie delle classi medio-alte, con redditi stabili, capacità di risparmio e di spesa per far fronte agli investimenti per l’installazione di impianti fotovoltaici, interventi di efficientamento energetico delle proprie abitazioni, acquisto di automobili ecologiche e di case in classi energetiche elevate.

Per le ragioni opposte, le classi medio-basse hanno avuto difficoltà ad accedere a questi incentivi: redditi scarsi e precari, nessuna forma di risparmio e la scarsa conoscenza delle opzioni disponibili hanno di fatto escluso la parte più debole della popolazione determinando anche un forte scetticismo rispetto a un impegno nelle questioni ambientali.

Le classi medio-basse, infatti, non percepiscono alcuna connessione tra la transizione energetica un miglioramento della loro qualità di vita.

Disuguaglianza spaziale e sociale: la produzione fotovoltaica

Se da un lato sono state le famiglie delle classi medio-alte che hanno beneficiato degli incentivi per la produzione di energia da rinnovabili con impianti medio-piccoli, dall’altro la ricerca di spazi per realizzare grandi impianti fotovoltaici a terra ha intercettato i territori più fragili, nelle aree rurali e in quelle più marginali.

Grazie agli incentivi per la produzione di energia da rinnovabili, dal 2000 al 2020 sono stati realizzati più di 800.000 impianti fotovoltaici. Di questi, il 33% ha riguardato impianti tipicamente familiari, fino a 3 kWp, per una potenza pari al 3,85% della potenza totale installata.

Il 58% degli impianti, attribuibili a famiglie e PMI, ha una potenza tra 3 e 20 kW, e rappresenta il 17% della potenza totale installata; gli impianti industriali, infine, sopra i 200 kWp, finanziati in parte dalle imprese e in parte dai fondi di investimento rappresentano circa l’1% del totale, ma il 57% della potenza totale installata.

Se a livello provinciale, la prevalenza di tanti piccoli impianti dimostra una diffusione più democratica della tecnologia solare tra i cittadini, il prevalere di impianti più grandi ci dice che in queste aree c’è stato un accentramento del controllo della transizione energetica con importanti investimenti da parte delle grandi imprese e dei fondi.

Gli impianti di più grandi dimensioni (>40 kWp) sono infatti concentrati nelle province del sud e in quelle del nord a più basso reddito.

A ulteriore conferma c’è inoltre una correlazione inversa tra il reddito pro capite e la dimensione media degli impianti: con poche eccezioni, dove i redditi sono più alti gli impianti sono piccoli e quindi più diffusi, mentre dove i redditi sono bassi gli impianti sono grandi e più concentrati.

Prove di democrazia energetica, quindi, per chi se la può permettere e una nuova modalità di sfruttamento del territorio da parte di grandi imprese e fondi di investimento per le aree marginali, spesso coincidenti anche con una minore capacità di avviare iniziative di messa in discussione degli interventi (vedi Come coinvolgere la popolazione in un progetto eolico: l’Inchiesta Pubblica) come già accaduto con le centrali alimentate a carbone e gas.

Efficientamento energetico: detrazioni fiscali e superbonus 110%

Dal 2008 una delle più importanti politiche per promuovere l’efficienza energetica è stata la detrazione fiscale: le famiglie che potevano detrarre il 65% delle loro spese dal reddito tassabile hanno fatto vari tipi di interventi di efficientamento energetico.

L’agevolazione del 65% secondo vari osservatori è stato un successo nel contrastare la crisi dell’industria delle costruzioni: tra il 2008 e il 2017 la detrazione fiscale ha determinato 34 miliardi di euro di investimenti riducendo la perdita di impiego nel settore delle costruzioni. In 10 anni sono stati realizzati più di 12 milioni di interventi di retrofit energetici per una spesa complessiva a carico dello Stato di 11 miliardi in detrazioni fiscali.

Purtroppo, le detrazioni fiscali non hanno prodotto retrofit strutturati: sono state utilizzate per modernizzare i sistemi di riscaldamento e hanno incentivato più che altro le case indipendenti rispetto ai condomini.

Anche in questo caso, un’importante fetta di popolazione è rimasta esclusa non avendo capienza di reddito per le detrazioni, come si vede dalla distribuzione degli investimenti per regione.

Dal 2020, con il superbonus 110% e il trasferimento dei crediti si è superato il problema della capienza di reddito.

Tuttavia, l’aggiornamento di ENEA (pdf) a gennaio di quest’anno dice ancora di una prevalenza di interventi nelle case indipendenti, con 215.000 asseverazioni rispetto alle 51.000 dei condomini, che farebbe pensare, anche in questo caso, ad un maggior utilizzo da parte delle classi medio-alte.

Tuttavia, in assenza di dati puntuali sull’utilizzo del 110% per classi di reddito, è difficile capire che tipo di effetti abbia realmente avuto. Certamente la possibilità di cedere il credito ha incluso, almeno formalmente, anche gli incapienti e le famiglie prive di possibilità di fare investimenti, non intervenendo tuttavia sulla dotazione di strumenti cognitivi, a loro volta indispensabili per operare delle scelte.

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