In tempo di crisi ci servono nuovi scenari energetici

Non possiamo più affidarci a strategie di corto respiro, ma accelerare subito su rinnovabili e riqualificazione energetica dell'edilizia.

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“Transizione ecologica addio: più gas e carbone per difendersi da Putin”. Questo titolo campeggia sulla prima pagina del Domani di domenica 26 febbraio.

Nello stesso giorno su Fortune si legge “Putin potrebbe avere dato il via alla rivoluzione energetica verde in Europa”.

Per dare un ordine di grandezza della posta in gioco, si consideri che il conto delle importazioni di fossili dell’UE è aumentato del 70% tra dicembre 2020 e dicembre 2021, raggiungendo 380 miliardi di euro. Un importo pari al fabbisogno aggiuntivo di investimenti in energia pulita stimato dalla Commissione europea nella sua valutazione d’impatto sugli obiettivi 2030.

La tragica invasione dell’Ucraina sta in effetti provocando riflessioni molto diverse sulle scelte energetiche da avviare a fronte delle incertezze, innanzitutto economiche, sulle importazioni di gas russo.

Da parte delle classi dirigenti del paese (politica, media, parte delle imprese) sembra prevalere un messaggio difensivo: ritorno al carbone, rilancio del nucleare e aumento del gas con trivellazioni, LNG e altri metanodotti.

Anche una parte del sindacato si ritrova in posizioni di retroguardia, come quando si lamenta per i risultati delle recenti aste sul capacity market per il 2024 che hanno visto come l’Enel non abbia puntato sui cicli combinati, ma sulle batterie, con 500 MW in Sardegna, saturando così il fabbisogno di capacità programmabile dell’isola.

Mentre, in una lettera a Draghi, le associazioni ambientaliste hanno sottolineato ancora una volta le soluzioni vere già alla nostra portata: un mix formidabile rappresentato da energie rinnovabili, accumuli, pompaggi, reti, risparmio ed efficienza energetica.

Nella stessa direzione vanno le dichiarazioni del ministro tedesco per l’economia e il clima Robert Habeck: “Penso decisamente che la situazione attuale aiuterà la transizione verso le energie rinnovabili in Germania e in Europa”.

Ma in Italia, oltre a quelli degli ambientalisti, negli ultimi giorni sono arrivati segnali molto interessanti anche da altri importanti settori.

Le utility, infatti, hanno proposto di puntare con forza sulle rinnovabili per arrivare a 60.000 MW verdi in tre anni, consentendo così di ridurre di quasi un quinto le importazioni di metano. Un target molto più ambizioso di quanto chiesto dalle stesse associazioni ambientaliste fino ad una settimana fa e che ribalta l’impostazione del PNIEC che prevedeva invece una crescita importante delle installazioni nella seconda parte del decennio.

Il contributo dell’accelerazione delle rinnovabili da solo corrisponderebbe alla metà delle importazioni dalla Russia.

A questo obiettivo si aggiunga poi il passaggio entro il 2030 della produzione di biometano dalla frazione organica dei rifiuti urbani e agricoli da 1 a 10 miliardi di metri cubi, cioè un target potenzial che è oltre un terzo delle attuali importazioni di gas dalla Russia.

E infine c’è il comparto dell’edilizia, molto energivoro, come sappiamo. Le politiche di riqualificazione spinta possono consentire di ridurre i consumi di energia del 60-70%. Incisivi interventi di risparmio permetterebbero di contenere significativamente la domanda di 33 miliardi di metri cubi annui di gas corrispondente ad oltre il 40% della domanda di metano.

Nella revisione della Direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia EPBD, presentata a fine dicembre dalla Commissione Ue, si propone lo stop a incentivi per le caldaie a gas dal 2027. Legambiente e Kyoto Club hanno proposto di anticipare al 2025 questa scadenza. Alla luce della crisi in atto, gli incentivi andrebbero eliminati dal 2023, favorendo l’impiego delle pompe di calore.

Insomma, visti i rischi in termini di prezzi e di disponibilità delle importazioni di metano c’è un ampio spettro di opzioni per ridurre i consumi.

La rapidità dei tagli è strettamente legata alle scelte della politica. Ma non solo: vanno affrontate anche le dinamiche che agiscono come blocco a livello locale.

Prendiamo le rinnovabili. Con un serio percorso di semplificazione (anche per i piccoli impianti) si potrebbe mettere in moto una valanga. E sinceramente non si capisce (o forse si capisce) la timidezza con la quale si muove il governo.

Ma andrà affrontato con serietà il coinvolgimento delle realtà locali. L’opposizione che si riscontra in molti casi è pretestuosa, che si tratti di digestori anaerobici, parchi eolici (magari a 65 km dalla costa) o impianti solari.

E si dovranno evidenziare i benefici legati alla diffusione delle fonti rinnovabili che saranno facilitati dalla diffusione delle comunità energetiche, ma dovranno valere anche e soprattutto per i grandi impianti.

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