Il Decreto Rilancio, per quanto riguarda le misure di sostegno alle rinnovabili e all’efficienza energetica, è giustamente ambizioso sulla carta, volto come è a realizzare interventi di ampio respiro, coerentemente fra l’altro con le priorità contenute nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).
Ma è una macchina che potrebbe ingolfarsi prima ancora di partire, a causa delle prevedibilissime complicazioni burocratiche da risolvere entro una finestra temporale ristretta e di vecchie chiavi inglesi regolamentari dimenticate nel motore, che rischiano di gripparlo alla prima accensione, se non saranno tolte durante la ratifica parlamentare.
Chiariremo più in là di quale dimenticanza si tratti.
Vediamo intanto perché il poco tempo a disposizione per mettere a punto la complicata macchina bancaria, fiscale e amministrativa potrebbe rendere impossibile o molto difficile sprigionare a terra la forza propulsiva delle misure pur buone contenute nella norma.
I dettagli del provvedimento, lungo oltre 450 pagine e varato dopo settimane di difficili negoziati, sono scaricabili dal link in fondo all’articolo, ma, in estrema sintesi, ricordiamo che il Decreto Rilancio porta al 110% in cinque anni le detrazioni fiscali sui lavori di riqualificazione energetica degli edifici, come descritto in dettaglio in questo articolo, estendendo tale possibilità anche alle classiche ristrutturazioni, come indicato dall’art. 128, comma 4 del Decreto Rilancio.
Tali lavori possono essere eseguiti sia sui condomìni che sulle singole unità abitative adibite a prima casa – nei 18 mesi dal 1 luglio 2020 al 31 dicembre 2021 – a condizione che si realizzino interventi sostanziali e si migliori la prestazione energetica dell’immobile di due classi, o se non possibile tecnicamente si raggiunga comunque la classe energetica più alta possibile, anche tramite l’installazione di impianti fotovoltaici, per l’accumulo elettrico e a pompa di calore.
Misure ambiziose
L’ambiziosità del provvedimento consiste nel fatto che mira a fortificare il ventre molle del vetusto parco immobiliare italiano, cioè quella maggioranza di edifici colabrodo dal punto di vista delle prestazioni termiche e dei consumi elettrici, migliorando i quali l’Italia farebbe un grosso passo avanti dal punto di vista dell’efficienza energetica e della riduzione delle emissioni nocive.
Legare la super-detrazione al miglioramento di due classi energetiche va proprio in questa direzione: salire di una classe in un Attestato di Prestazione Energetica (APE) certificata da un tecnico abilitato riflette infatti una riduzione della propria impronta energetica di circa un quarto e fino a circa un terzo rispetto alla situazione precedente.
Migliorare di due classi è un obiettivo realisticamente raggiungibile solo per gli immobili più malmessi, che sono appunto quelli che hanno più bisogno di migliorie.
Bene quindi se si mira a tappare le fonti maggiori di sprechi energetici: una norma del genere imprimerebbe infatti un’accelerazione alla decarbonizzazione, peraltro necessaria se vogliamo raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati per il 2030 e 2050.
Secondo Roberto Calabresi , certificatore energetico e collaboratore del Kyoto Club, interventi capaci di migliorare le prestazioni di un paio di classi energetiche per una villetta o un appartamento, anche se non facilissimi, potrebbero essere un sistema di ventilazione meccanica controllata, oppure di ventilazione con dei recuperatori di calore – semplici aspiratori d’aria con recuperatori di calore al loro interno.
Migliorata l’efficienza termica di un’abitazione con interventi “sulla ventilazione, che aiuta molto,” la seconda voce che consentirebbe un salto di qualità alle prestazioni energetiche è sicuramente l’installazione di un sistema a energie rinnovabili, come impianti fotovoltaici e solari termici, ha detto Calabresi a QualEnergia.it.
Se poi la casa ha una classe energetica molto bassa, tipo classe G, “magari già semplicemente cambiando la caldaia oppure adottando i sistemi di regolazione del calore per stanza invece che per tutto l’appartamento, quindi mettendo sui termosifoni le valvole termostatiche, insieme ad una caldaia più efficiente, si può arrivare ad un buon salto di efficienza,” ha aggiunto.
Fin qui, dunque, le misure di merito del Decreto Rilancio in materia di energia sembrano poggiare su basi metodologiche solide e condivisibili.
Applicazione problematica
Secondo Cecilia Hugony, Amministratore Delegato di Teicos Group, impresa di costruzioni specializzata in interventi di riqualificazione energetica, il fatto che una maggioranza di italiani viva in edifici condominiali pone però delle notevoli complessità.
Fare “due salti di classi su un appartamento in un condominio in cui non sono padrone del mio tetto e della mia facciata è estremamente difficile. Cambiando tutti gli infissi forse si può fare il salto di una classe, ma se sono attaccato ad un impianto [di riscaldamento] centralizzato, senz’altro, muovendomi da solo sul mio appartamento non riesco a ottenere questo incentivo, dai casi che ho studiato io; comunque resta estremamente complicato”, ha spiegato Hugony a QualEnergia.it.
“Non credo che intervenendo solamente sul lato impianto si possano ottenere due salti di classe”, ha detto. La soluzione, quindi, sarebbe coinvolgere l’intero condominio per interventi sull’involucro dell’edificio, che per fare un salto di due classi energetiche dovrebbero riguardare superfici vicine al 50% dell’edificio, più che al 25% – la soglia prevista dalla norma – riguardando magari anche le coperture o i solai, puntualizza Cecilia Hugony.
Ammettendo anche che i condomìni italiani riescano a mettere rapidamente da parte le loro tradizionali litigiosità e ad accordarsi su opere di ampio respiro di efficientamento energetico dell’edificio-impianto nel suo insieme, le misure architettate dal governo rischiano comunque di andare a sbattere contro le procedure previste per la loro applicazione.
Secondo Hugony, un punto debole è l’estensione del beneficio fiscale del 110% e della relativa cessione del credito anche agli interventi che non ricadono nel perimetro tipico degli ecobonus, come i casi di ristrutturazione classica. “Riteniamo che questo sia deleterio da ogni punto di vista,” ha detto Hugony.
La cessione del credito, nelle intenzioni, dovrebbero consentire al privato a corto di liquidità o fiscalmente incapiente di riconoscere direttamente o indirettamente il proprio vantaggio fiscale, pari al 110% della spesa sostenuta, alla ditta installatrice, o al fornitore o alla banca, sotto forma di credito sulle loro imposte.
L’impresa è comunque chiamata, direttamente o indirettamente, ad anticipare l’intera spesa per gli interventi, pagando di tasca propria o facendosela finanziare, di fatto, almeno finora, dai fornitori oppure, da adesso in poi, anche dalla propria banca, cedendo il credito direttamente a lei.
Ma qualsiasi finanziamento si basa sul merito creditizio dell’impresa. Quando la cessione del credito si riferiva solo alla versione ristretta dell’Ecobonus, l’impresa doveva farsi finanziare una percentuale ridotta del fatturato, un 20% in media, cosa che, pur con qualche difficoltà, generalmente, riusciva a fare.
“Ora, se tutto va in cessione, la richiesta di supporto finanziario crescerebbe di gran lunga ad oltre la metà del fatturato, se non addirittura sul 100%, rendendo insostenibile la situazione”, ha osservato l’amministratore delegato di Teicos Group, secondo cui questa criticità rischia di mettere in pericolo l’intero sistema dell’offerta.
Come già successo per la questione dello sconto in fattura, “il mercato delle ristrutturazioni rimarrebbe solo nelle mani delle grandi utility, che però non sono né pronte né interessate a quest’attività. Di conseguenza avremo un blocco di molti mesi del mercato”, ha detto la manager.
Anche la cessione del credito direttamente alle banche pone dei problemi.
“L’iniziativa è lodevole ma bisogna essere concreti: quanto tempo ci metteranno le banche ad attrezzarsi: otto mesi? Un anno? Lesineranno il prodotto alle imprese di costruzioni lamentando il merito creditizio, come hanno fatto finora con i prestiti ponte per la cessione del credito”, teme Hugony, che ha sottolineato come la misura durerà solo 18 mesi.
Stesso discorso per le procedure di eventuale cessione dello sconto in fattura alle banche. Quanto tempo ci vorrà per metterla a punto, si è chiesta Hugony.
Il rischio è che di fronte a una crescita potenziale della domanda anche forte, l’offerta delle aziende non sia in grado di assorbirla, da parte delle società medio-piccole a causa di problemi di capitalizzazione e accesso al credito, da parte delle aziende più grandi, poiché non fanno questo tipo di interventi polverizzati sul territorio.
Hugony ha fatto notare che la cessione alle banche è già possibile da tre anni per gli incapienti, ma che nessuna banca ha mai attivato il prodotto e l’Agenzia delle Entrate non ha mai pubblicato la circolare per renderla operativa.
Dimenticanze pericolose
Tornando alle “chiavi inglesi” dimenticate negli ingranaggi della norma e che rischiano di gripparne il motore, per la concessione della detrazione del 110%, il decreto prevede l’obbligo di usare materiali che rispettino dei “criteri ambientali minimi”.
Peccato che il 5 maggio scorso, l’Agenzia Nazionale Anticorruzione (ANAC) abbia, di fatto, sospeso l’applicazione di tali criteri ambientali minimi (per la precisione si sospende l’attività per l’adozione delle relative Linee Guida relative agli appalti pubblici, ndr), in attesa di una loro revisione ad opera del Ministero dell’Ambiente.
È chiaro quindi che l’inserimento nella norma di un criterio al momento inapplicabile ponga un serio ostacolo agli interventi, se non sarà eliminato o corretto durante l’approvazione parlamentare del decreto.
Conclusioni
Come spesso succede in Italia, per valutare la reale efficacia di questo provvedimento nelle sue parti riguardanti l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, bisognerà quindi stare attenti soprattutto alle misure applicative. Cosa fare quindi?
Secondo Hugony, “benissimo la norma, ma progettiamo come fare andare avanti i cantieri finché questa norma non sia realmente utilizzabile e applicabile, per esempio, senza ampliare gli interventi cedibili, senza modificare i passaggi burocratici per la cessione del credito, in modo tale da evitare un nuovo blocco in attesa di chiarimenti e interpelli.”