Qualsiasi strategia nazionale che voglia ridurre i consumi di energia, e sia al contempo in grado di produrre benefici ambientali, economici e occupazionali nel medio e lungo periodo, oltre che miglioramento della qualità della vita, deve passare per una riqualificazione spinta del parco edilizio.
A maggior ragione in Italia dove i nostri edifici residenziali, e condomini in particolare, sono degli esempi di scarsissima qualità energetica e, di conseguenza, di comfort e esborsi per le famiglie.
Come un mantra chi si adopera per l’efficienza energetica in questo paese spiega che quasi il 40% dei consumi energetici finali sono imputabili all’edilizia (cosa in parte vera anche in Europa), oltre ad essere la fonte del 35-37% delle emissioni.
Sul banco degli imputati le abitazioni costruite nell’immediato dopoguerra e anche ben oltre gli anni ’70. Un nocciolo duro da cui partire, considerando che la quasi totalità di questi edifici richiedono ormai interventi di ristrutturazione straordinaria.
Secondo un rapporto del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate del 2017, “Gli immobili in Italia”, il patrimonio immobiliare italiano è composto da 63 milioni 800mila unità immobiliari, di cui 34 milioni e 711mila (il 54%) sono abitazioni e oltre il 50% di queste ha più di 40 anni.
Possiamo a giusto titolo dire che si tratta di una “grande opera”, visto che questa ormai è una delle parole chiave nei media mainstream e della politica. Una “grande opera decentralizzata”, sarebbe meglio da dire, perché mettere mano in modo sistematico a questo settore richiede prima di tutto flessibilità e capacità di adeguare l’applicazione delle diverse tecnologie, che comunque oggi sono ampiamente disponibili: isolanti, sistemi schermanti, vetri e infissi, sistemi per la gestione integrata delle funzioni tecnologiche dell’edificio (building automation), oltre che a livello impiantisco.energetico.
Ma la specificità sarà da trovare anche negli interventi finanziari più adeguati e mirati, in grado di consentire questa opportunità anche, e soprattutto, alle famiglie che non potrebbero sostenere queste spese. Una particolare attenzione poi dovrà essere dedicata alla partita rifiuti in un’ottica di economia circolare.
Una proposta di legge
Trasformare gli attuali colabrodi in “edifici a quasi zero energia” (NZEB) è un percorso complesso e pieno di insidie, come tutte le volte che ci si muove in questo comparto. Sono misure toccate dalla nuova direttiva europea sull’efficienza energetica (844/2018) e anche dal Piano Energia Clima.
Ma anche da una proposta di legge (Pdl) dedicata che verrà presentata il 3 aprile a Roma presso una sala della Camera dei Deputati.
La proposta di legge, di iniziativa dei deputati Andrea Vallascas e Paolo Parentela del M5S, è certamente ancora un punto di partenza che, una volta incardinata presso la Commissione, andrà discussa in specifiche audizioni con tutti gli stakeholder per approdare ad una legislazione capace di promuovere un ampio processo di riqualificazione energetica e di rinnovo edilizio del patrimonio immobiliare.
Secondo la relazione introduttiva della Pdl si punterà a incentivare gli interventi più complessi e più profondi sull’intero corpo dell’edificio, superando l’attuale approccio caratterizzato da singole misure di efficientamento energetico, spesso limitate ad alcune unità abitative.
Intervenire secondo un approccio da deep renovation (demolizione fino allo scheletro o addirittura demolizione e successiva ricostruzione) è una grossa sfida in primis legata alla particolare struttura della proprietà immobiliare: tanti piccoli proprietari, con diverse disponibilità a investire nella riqualificazione del bene-casa.
Due tipologie di intervento e incentivi
Gli interventi devono puntare a riqualificare innanzitutto gli edifici in classe G, F, E, sino al raggiungimento della classe A1 o successive (per gli interventi senza demolizione) e alla classe NZEB in caso di demolizione e ricostruzione.
Vengono proposte quindi due tipologie di intervento edilizio. La prima è la “riqualificazione profonda energetica”: interventi volti a migliorare le performance energetiche e il comfort ambientale delle abitazioni, senza la necessità di demolire l’edificio nella sua totalità.
La seconda tipologia è rappresentata dalla “riqualificazione profonda con rinnovo edilizio”: un intervento che prevede la demolizione del preesistente e la ricostruzione di un edificio di nuova concezione.
Per promuovere questo processo di riconversione vengono indicate alcune misure di natura finanziaria e si pensa di rimodulare parzialmente il sistema degli incentivi e dei titoli di efficienza energetica.
Gli interventi di riqualificazione energetica usufruiranno delle detrazioni fiscali con la possibilità di cessione a terzi del credito d’imposta e la cessione del credito a istituti di credito e intermediari finanziari.
Invece, nel caso più complesso del “rinnovo edilizio” gli interventi potranno usufruire sia delle detrazioni fiscali sia dei certificati bianchi.
L’idea è che le detrazioni siano calcolate sul preventivo dei lavori che si sarebbero dovuti realizzare per conseguire la migliore classe, con la sola riqualificazione energetica. I certificati bianchi, invece, sono calcolati sulla base del risparmio addizionale ottenuto (a partire dalla migliore classe energetica conseguibile con la sola riqualificazione) moltiplicato per una previsione di vita dell’edificio pari a 20 anni.
Per sostenere sotto il profilo economico gli interventi di riqualificazione verrebbe istituito un fondo di rigenerazione urbana alimentato da un’imposta sui prodotti da costruzione diversi dagli aggregati riciclati.
Il fondo intende coprire parzialmente le spese di demolizione e garantire il funzionamento del meccanismo della cessione del credito a istituti di credito e agli intermediatori finanziari, da parte di soggetti diversi da quelli no tax area. Nell’intera impalcatura proposta questo è un punto molto delicato, e anche criticato da alcuni operatori del settore edilizio.
Rifiuti da costruzione e demolizione
A tal proposito tra i punti fermi della Pdl sono i concetti di circolarità e di corretta gestione dei rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione fissati dalla direttiva 2018/851/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018.
Il 42% nazionali dei rifiuti deriva dalle attività di costruzione e demolizione (anche se si tratta di rifiuti speciali ma non pericolosi). Inoltre si stima che la riduzione dei consumi energetici associati ai processi di riciclaggio è stimabile tra 14,7 e 18,2 milioni di Tep, circa il 10% dei consumi di energia annuali in Italia.
Sarebbe inutile, spiegano i promotori, che da una parte si riduca la domanda di energia delle abitazioni, mentre dall’altra se ne crea altra non attivandosi per il riciclo dei rifiuti. Il riciclaggio, infatti, comporta il contenimento dei prelievi di inerti naturali da attività estrattive e di materie prime non rinnovabili, con conseguente preservazione di risorse naturali e riduzione della spesa energetica legata alla produzione di materiali edili, nonché un contenimento delle quantità di rifiuti da smaltire e dei relativi costi di smaltimento.
La complessità dell’iniziativa legislativa – si spiega nella Pdl – richiederà una fase iniziale di monitoraggio da parte dell’ENEA, con i risultati prodotti dalle misure introdotte.
Insomma questa resta comunque una sfida sul piano progettuale, tecnico, finanziario e sociale che avrà bisogno di molte messe a punto, ma è bene che si inizi a predisporre una struttura operativa valida per i prossimi anni, perché questi interventi occuperanno quasi il 100% del nostro settore edile che dovrà innovare e industrializzarsi, visto che ormai non è più tempo di nuove costruzioni e di occupazione di suolo.