Gli allarmi di S&P e Black Rock: per le fossili sale il rischio di “stranded asset”

  • 27 Gennaio 2021

S&P ha aumentato la sua valutazione di rischio per l’intera industria di gas e petrolio. Intanto due mega-fondi pensione di New York disinvestono 4 miliardi di dollari dalle compagnie oil & gas.

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La concorrenza delle fonti rinnovabili sta minacciando sempre di più le aziende dei settori fossili e creando nuove opportunità di investimento.

Questa tendenza è stata appena confermata da S&P Global Ratings: nelle prossime settimane, infatti, l’agenzia di rating potrebbe abbassare la valutazione dei titoli di 13 colossi petroliferi mondiali, tra cui Chevron, Exxon Mobil, Shell, Total, ConocoPhillips, oltre ad alcuni big cinesi come China Petrochemical e China Petroleum & Chemical.

E l’agenzia di rating, evidenzia S&P in una nota, ha aumentato la sua valutazione di rischio – da “intermedio” a “moderatamente elevato” – per l’intera industria di gas e petrolio a causa di molteplici fattori: volatilità dei prezzi, scarsi profitti, transizione energetica con crescita del mercato delle fonti rinnovabili.

Intanto il gigante mondiale dei fondi di investimento, BlackRock, ha annunciato una nuova accelerata dei suoi piani volti a favorire gli investimenti maggiormente orientati ai criteri di sostenibilità ambientale.

Nella lettera annuale agli amministratori delegati, il presidente di BlackRock, Larry Fink, parla della necessità di “affrontare con maggiore determinazione la minaccia globale del cambiamento climatico”.

L’anno scorso, si legge nella lettera, (neretti nostri) “non abbiamo sperimentato solo i crescenti effetti fisici del cambiamento climatico, con incendi, siccità, inondazioni e uragani, ma anche le prime conseguenze finanziarie dirette, con le società energetiche costrette, a causa del clima, a svalutazioni miliardarie su asset che non potranno essere valorizzati […]”.

C’è quindi un esplicito richiamo ai cosiddetti stranded asset: infrastrutture, come gasdotti, piattaforme petrolifere, impianti a carbone, raffinerie, non più remunerative perché schiacciate dalla maggiore competitività delle energie pulite e dalle nuove politiche di riduzione delle emissioni inquinanti.

Così Fink scrive che “i modelli di business di tutte le società, nessuna esclusa, saranno profondamente interessati dalla transizione verso un’economia a zero emissioni nette”.

Pertanto, continua la lettera (neretti nel testo originale), “visto il ruolo centrale che rivestirà la transizione energetica per le prospettive di crescita di tutte le società, chiediamo alle aziende di divulgare un piano relativo alla compatibilità del proprio modello di business con un’economia a zero emissioni nette, ovvero uno scenario in cui il riscaldamento globale sia limitato a un livello assai inferiore a 2°C, in linea con l’aspirazione globale di arrivare a zero emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050”.

Nei giorni scorsi poi due grandi fondi pensione della città di New York – si legge in un annuncio del sindaco della Grande Mela, Bill de Blasio – hanno deciso di disinvestire dalle aziende fossili per un valore complessivo di circa 4 miliardi di dollari (nella nota si afferma che tale disinvestimento fossile è uno dei più ingenti a livello mondiale).

Ricordiamo infine che l’ultimo rapporto del World Economic Forum (in corso a Davos in questi giorni), evidenzia che i rischi climatici sono quelli con le più alte probabilità di minacciare seriamente la tenuta delle economie mondiali nei prossimi dieci anni, soprattutto se governi e istituzioni continueranno a sottovalutare questi rischi.

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