Dai gasdotti Nord Stream una delle peggiori perdite di metano di sempre

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A seguito dei rilasci dai gasdotti potrebbero entrare in atmosfera dalle 100mila a oltre 400.mila tonnellate di metano. C'è chi parla di disastro e chi ridimensiona la portata del danno. Comunque, è un altro segnale che dobbiamo uscire dalla dipendenza del gas.

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Le chiazze di acqua, larghe tra i 200 e i 1.000 metri, che ribollono nel Mar Baltico a causa delle esplosioni provocate ai gasdotti Nord Stream 1 e 2, che collegano la Russia all’Europa, fanno presagire un disastro climatico ancora difficile da quantificare.

Mentre si indaga sulle reali cause di quello che è stato già definito un “sabotaggio”, i dubbi per poter valutare i suoi effetti sono ancora molti: quanto gas c’era nei gasdotti al momento dell’esplosione? A quale temperatura e pressione veniva mantenuto e quanto è diffusa la rottura dei tubi?

La stima dell’esatta quantità di metano che è fuoriuscita nell’atmosfera è un compito estremamente impegnativo. In genere, ricorda Bloomberg, questi eventi vengono analizzati grazie alle immagini satellitari su gasdotti terrestri o siti di produzione di combustibili fossili, ma acquisire dati accurati sull’acqua è molto più difficile, perché la luce si riflette sulla superficie.

Nonostante la complessità del caso, dalla comunità scientifica arrivano le prime stime, basate sui dati attualmente noti, che annunciano una delle peggiori perdite di gas naturale di sempre

I due gasdotti Nord Stream coinvolti nell’esplosione non erano operativi, ma entrambi contenevano gas naturale pressurizzato, principalmente metano, un potente gas serra e una delle principali cause di riscaldamento globale.

Secondo le prime stime approssimative degli studiosi che si sono espressi in queste ore, riportate da varie testate internazionali, come il Guardian, e basate sul volume di gas contenuto in uno dei gasdotti, a seguito dei rilasci potrebbero entrare in atmosfera dalle 100.000 alle 350.000 tonnellate di metano.

La Federal Environment Agency (FEA) tedesca parla di perdite per circa 300.000 tonnellate di metano, “una quantità di gas che avrebbe all’incirca lo stesso impatto climatico su un periodo di 20 anni delle emissioni annuali di circa 5,48 milioni di automobili statunitensi“, scrive Bloomberg.

Entra nel dettaglio Jasmine Cooper, ricercatrice associata nel dipartimento di ingegneria chimica dell’Imperial College di Londra. Sentita dal Guardian, ha spiegato che il gasdotto Nord Stream 2, che aveva lo scopo di aumentare il flusso di gas dalla Russia alla Germania, conteneva 300 milioni di metri cubi di gas quando Berlino ha interrotto il processo di certificazione, poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Quel volume da solo si tradurrebbe in 200.000 tonnellate di metano.

Spiega la Cooper che se uscisse tutto questo gas, una eventualità piuttosto realistica, visto che non c’erano meccanismi di contenimento nel gasdotto (come confermato dalla FEA), questo evento disastroso supererebbe le 100.000 tonnellate di metano fuoriuscite dallo scoppio dell’Aliso Canyon, la più grande fuga di gas nella storia degli Stati Uniti, avvenuta in California nel 2015.

I danni climatici di questo evento erano stati paragonati al riscaldamento atmosferico provocato da mezzo milione di auto.

Anche Greenpeace ha diffuso alcuni calcoli preliminari, secondo i quali il potenziale impatto climatico della fuoriuscita di metano dai gasdotti Nord Stream 1 e 2 potrebbe essere di 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti in un periodo di 20 anni; pari alle emissioni annuali di 20 milioni di automobili nell’Ue.

In una nota diffusa ieri, 28 settembre, l‘Agenzia danese per l’energia indica che i gasdotti contenevano nel complesso 778 milioni di metri cubi di gas naturale. Più del doppio rispetto a quanto ipotizzato finora. Questo dato – spiega l’Agenzia – può essere convertito in un’emissione di gas serra di circa 14,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, pari al  32% delle emissioni annuali di CO2 danesi Secondo questa ipotesi, le stime della fuoriuscita di metano nell’atmosfera supererebbero le 400.000 tonnellate.

In ogni caso, l’Agenzia danese stima che più della metà del gas sia già uscito dai tubi, che dovrebbero svuotarsi entro domenica prossima (2 ottobre). 

Le perdite dai tre tubi sono in acque internazionali, nella zona economica esclusiva danese e in quella svedese.

“Questa perdita – ha commentato Greenpeace – evidenzia quanto sia pericoloso affidarsi al gas fossile. L’Ue e i governi dovrebbero fare tutto il possibile per promuovere la transizione alle rinnovabili e ridurre gli sprechi energetici, non cercare nuove forniture di gas”.

Una voce fuori dal coro arriva dall’Istituto sui cambiamenti climatici di Edimburgo. In un articolo pubblicato su politico.eu, Dave Reay, direttore esecutivo dell’Istituto, definisce la perdita di gas nel Baltico “una piccola bolla nell’oceano rispetto alle enormi quantità di metano che vengono emesse ogni giorno in tutto il mondo a causa di fracking, estrazione del carbone ed estrazione di petrolio”.

Anche secondo Jeffrey Kargel, senior scientist del Planetary Research Institute di Tucson, Arizona, le perdite sono state sicuramente ingenti, ma non è il disastro climatico che sembra. Anzi, l’evento “impallidisce rispetto all’accumulo di migliaia di fonti di metano industriali e agricole che stanno riscaldando il pianeta”.

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