Gas, un ponte pericolante sulla strada della decarbonizzazione

Un nuovo studio del MIT sottolinea le difficoltà di contenere le perdite di metano in fase di estrazione, stoccaggio e distribuzione.

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Affinché il gas naturale sia veramente una componente utile agli sforzi di decarbonizzazione del mondo, gli attuali metodi di controllo delle perdite di metano in fase di produzione, stoccaggio e distribuzione devono migliorare dal 30 al 90%.

È una delle indicazioni principali emerse da un nuovo studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT).

Molti governi, come per esempio quello italiano, ritengono il gas naturale un’alternativa meno climalterante di altre fonti fossili e quindi importante come “tecnologia ponte” per permettere una progressiva integrazione delle energie rinnovabili all’interno del mix energetico.

Ma, viste le attuali difficoltà nel controllare le fuoriuscite accidentali di metano, raggiungere i livelli di riduzione indicati nello studio potrebbe essere difficile, dicono i ricercatori.

Secondo il MIT, invece, politiche che favoriscano un passaggio diretto a fonti di energia senza carbonio, come l’eolico, il fotovoltaico e il nucleare, potrebbero consentire di raggiungere più facilmente gli obiettivi di emissione anche senza miglioramenti nella mitigazione delle perdite di metano.

E comunque sia, ha aggiunto il MIT, il gas naturale rimarrebbe comunque una componente significativa del mix energetico.

La difficoltà di contenere le fuoriuscite di metano è testimoniata dal fatto che, sebbene ci sia un incentivo a minimizzarle visto il suo valore di mercato, continuano a verificarsi sia lo sfiato di metano associato alle estrazioni petrolifere, in cui il gas viene bruciato di proposito alla fonte (flaring), sia il suo sfiato intenzionale allo stato non combusto (venting).

Bruciare gas naturale per generare elettricità produce circa la metà dell’anidride carbonica rispetto al carbone. Ma anche il metano è un potente gas a effetto serra, e aumentarne l’uso come strategia per decarbonizzare l’elettricità aumenterà anche il potenziale di tali emissioni di metano “fuggitivo“, ha rilevato lo studio.

Il metano è infatti un gas a effetto serra molto più forte dell’anidride carbonica, anche se non ha una durata così lunga in atmosfera: permane cioè per decenni, invece che per secoli, come la CO2.  Se calcolato in media su un lasso temporale di 100 anni, il metano è circa 25 volte più potente nell’intrappolare calore rispetto all’anidride carbonica. Ma se calcolato in media su un periodo di 20 anni, è 86 volte più potente.

Ricerche recenti hanno documentato anche la difficoltà di misurare i livelli di emissioni odierni.

Secondo il MIT, queste considerazioni sono importanti per decidere se valga la pena investire ancora nelle infrastrutture del gas naturale piuttosto che accelerare il passaggio diretto a fonti di energia meno inquinanti.

I risultati sono apparsi nei giorni scorsi sulla rivista Environmental Research Letters, in un articolo di Magdalena Klemun e Jessika Trancik (allegato in fondo all’articolo).

I tassi di perdita effettivi associati all’uso del metano sono ampiamente distribuiti, altamente variabili e molto difficili da individuare. Utilizzando dati provenienti da una varietà di fonti, i ricercatori hanno trovato che il range complessivo si colloca tra l’1,5% e il 4,9% della quantità di gas prodotta e distribuita.

Parte delle perdite avviene nei pozzi, parte avviene durante la lavorazione e parte dai serbatoi di stoccaggio e dal sistema di distribuzione. Pertanto, sarebbero necessari diversi tipi di sistemi di monitoraggio e misure di mitigazione per affrontare i diversi tipi di perdite.

“Le emissioni fuggitive possono fuoriuscire da dove il gas naturale viene estratto e prodotto, fino all’utente finale”, ha detto Trancik a MIT News. “È difficile e costoso monitorarlo lungo il percorso”. Questo rappresenta un ostacolo.

“Una cosa importante da tenere a mente quando si pensa ai gas serra è che la difficoltà nel tracciare e misurare il metano è di per sé un rischio,” ha detto. Se i ricercatori non sono sicuri di quanto ce n’è e dove si trovi, è difficile per i responsabili politici formulare strategie efficaci per mitigarne la fuoriuscita.

L’approccio di questo studio è quello di prendere atto di tale incertezza, ha detto Trancik. L’incertezza stessa dovrebbe quindi informare le strategie attuali, dicono gli autori, motivando gli investimenti rispetto al rilevamento delle perdite per ridurla o per una più rapida transizione dal gas naturale verso energie più pulite.

“I tassi di emissione per lo stesso tipo di apparecchiature, nello stesso anno, possono variare in modo significativo,” ha aggiunto Klemun. “Può variare a seconda dell’ora del giorno in cui lo si misura, o del periodo dell’anno. Ci sono molti fattori”.

I ricercatori hanno esaminato l’intera gamma di incertezze: da quanto metano fuoriesce a come caratterizzare i suoi impatti climatici, in una varietà di scenari diversi.

Un approccio ha posto l’enfasi sulla sostituzione degli impianti a carbone con quelli a gas naturale; in altre simulazioni si sono aumentati gli investimenti in fonti a zero emissioni di carbonio, mantenendo comunque un ruolo per il gas naturale.

Visto che praticamente tutti gli scenari per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas serra richiedono, in ultima analisi, la graduale eliminazione del gas naturale, senza includere la cattura e lo stoccaggio del carbonio entro la metà del secolo, “una certa quantità di investimenti probabilmente ha senso per migliorare e utilizzare le infrastrutture attuali, ma se siamo interessati ad obiettivi di riduzione davvero profondi, i nostri risultati rendono più difficile, in questo momento, sostenere una espansione” degli investimenti nel gas naturale, ha detto Trancik.

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