L’Italia rischia di pagare un conto molto salato per la decisione tedesca di modificare il sistema tariffario del trasporto gas.
Dopo i primi allarmi lanciati dall’Arera nei giorni scorsi e le interrogazioni di alcuni parlamentari al ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, il tema dei costi futuri del combustibile continua a tenere banco nel nostro paese, soprattutto perché si teme un ulteriore aggravio a carico delle imprese manifatturiere che potrebbero perdere competitività rispetto alle aziende in Germania.
Ripercorriamo in sintesi la vicenda.
Tutto ruota intorno alle mosse della Bundesnetzagentur, l’autorità tedesca di regolazione dei mercati energetici, che sta valutando l’introduzione di un nuovo metodo per calcolare le tariffe per il transito del gas in Germania.
Il problema sollevato dalla nostra autorità di regolazione è che tale metodo prevede una remunerazione più alta di prima per il combustibile in uscita dalla Germania (e, invece, introiti tariffari più bassi per quello in entrata), quindi finirebbe per aumentare i costi finali del gas commercializzato tra differenti nazioni (cross-border trade).
Più in dettaglio, l’Arera ha stimato un potenziale impatto per l’Italia pari a 300-500 milioni di euro l’anno di extra costi per le forniture, se Berlino approverà la sua riforma tariffaria.
Ricordiamo che il nostro paese importa la maggior parte del combustibile: la sua dipendenza dagli approvvigionamenti esteri supera il 90% con un ruolo prioritario della Russia, perché oltre il 40% del gas acquistato complessivamente dall’Italia proviene da Mosca.
E l’Arera, spiega l’agenzia EurActiv in un’analisi sulla disputa Roma-Berlino, ritiene che le nuove tariffe tedesche andranno a distorcere la formazione dei prezzi all’ingrosso del gas su vari mercati europei, tra cui soprattutto quello italiano, le cui dinamiche sono strettamente legate alle decisioni prese in Germania.
Tra l’altro, il “peso” della Germania nello scacchiere europeo del gas è destinato ad aumentare con la realizzazione di Nord Stream 2, il gasdotto che trasporterà altri 55 miliardi di metri cubi/anno dalla Russia direttamente in Europa attraverso il Baltico, con punto d’uscita finale nell’area di Greifswald.
Un progetto che rimane assai controverso (intanto la Danimarca sta ritardando la posa dei tubi, perché non ha ancora dato il suo benestare al passaggio del gasdotto nelle acque territoriali danesi): nei giorni scorsi, il Parlamento Ue ha approvato a larga maggioranza una risoluzione contro la Russia in cui, tra le altre cose, gli eurodeputati hanno criticato il progetto Nord Stream 2 perché contrario agli obiettivi europei di variare le rotte di approvvigionamento gas, riducendo la percentuale di combustibile importato da Mosca.
Tornando alla contesa tra Italia e Germania sulle tariffe, cosa succederà?
Pare improbabile un passo indietro di Berlino; la Commissione Ue, riferisce EurActiv, sta vigilando sulla corretta attuazione del regolamento 2017/460 che prevede una struttura “armonizzata” per le tariffe di trasporto del gas in Europa.
In sostanza, una procedura d’infrazione contro la Germania sarebbe presa in considerazione solo se le regole fissate dalla Bundesnetzagentur andassero a cozzare contro il regolamento del 2017; l’incremento delle tariffe sul gas in uscita, in sostanza, di per sé potrebbe essere accettato, a patto che siano rispettati determinati principi generali di non-discriminazione, trasparenza e non-distorsione degli scambi transfrontalieri di gas.