Eni vuole rompere con Gazprom su Blue Stream in risposta all’invasione russa dell’Ucraina

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La partecipata italiana segue BP, Shell e Total. Breve cronistoria degli annunci degli ultimi giorni e quali lezioni trarne.

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La presenza di Eni in Russia risale agli anni ’60 del secolo scorso, quando il cane a sei zampe iniziò a importare il primo greggio in Italia, e da allora la rete dei suoi investimenti nel paese e di accordi con società russe si è estesa molto. Ma tale presenza potrebbe ora diventare meno assidua.

Facciamo a tal proposito una breve cronistoria degli annunci succedutisi negli ultimi giorni riguardo la presenza delle società euorpee in Russia.

Già a inizio settimana, in segno di condanna per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, giganti del settore petrolifero come Shell e BP, non meno presenti in Russia di Eni, hanno annunciato di voler tagliare i ponti con le due principali società russe del settore, Gazprom e Rosneft, entrambe controllate dal Cremlino, uscendo da tutta una serie di accordi nei comparti del greggio e del gas.

Fino a ieri, aleggiava una domanda sui social media da parte del mondo ambientalista e delle energie rinnovabili: perché Shell e BP riescono a prendere posizione e si affrettano ad uscire da Gazprom e Rosneft, mentre Eni non lo fa? Perché “loro” sì e “noi” no? Quali diverse condizioni o considerazioni lo permettono?

Ora sembra qualcosa si stia muovendo anche in Eni.

Nella serata di ieri, l’Ansa ha riportato la dichiarazione di un portavoce del gruppo, secondo cui, “per quanto riguarda la partecipazione congiunta e paritaria con Gazprom nel gasdotto Blue Stream, che collega la Russia alla Turchia, Eni intende procedere alla cessione della propria quota“.

“L’attuale presenza di Eni in Russia è marginale. Le joint venture in essere con Rosneft, legate a licenze esplorative nell’area artica, sono già congelate da anni, anche per le sanzioni internazionali imposte a partire dal 2014″, ha aggiunto il portavoce.

Anche la francese TotalEnergies, sempre nella serata di ieri, ha comunicato di appoggiare le sanzioni messe in atto dall’Europa e che “le attuerà indipendentemente dalle conseguenze (in corso di valutazione) sulle sue attività in Russia”.

“TotalEnergies non fornirà più capitali per nuovi progetti in Russia”, ha indicato la società transalpina.

Presenza in Russia di Eni

Eni ha una partecipazione del 50% nel gasdotto sottomarino Blue Stream, che collega la Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero, raggiungendo un totale di 774 chilometri su due linee con una capacità di trasporto di 16 miliardi di metri cubi all’anno.

“Blue Stream, joint venture creata per vendere gas dalla Russia sul mercato turco, è un asset che genera un flusso stabile di ricavi operativi, grazie alla vendita a lungo termine dei diritti di trasporto associati”, spiega il sito di Eni.

La partecipata pubblica italiana è anche partner di Rosneft per la realizzazione di progetti esplorativi nel Mare di Barents russo e nel Mar Nero. Fornisce inoltre gas all’ingrosso direttamente anche in Russia, per la precisione 2,47 miliardi di metri cubi nel 2020.

Eni è poi attiva pure nel mercato russo al dettaglio, con una stazione di servizio completa di negozio, caffè e un autolavaggio sulla strada di collegamento fra l’aeroporto Sheremetyevo di Mosca e il centro della città. Opera infine anche nel mercato all’ingrosso dei lubrificanti attraverso la controllata Eni Nefto. Qui di seguito, una mappa stilata da Greenpeace che illustra la presenza di Eni in Russia e altri paesi e le sue collaborazioni con società russe.

Presenza di BP e Shell in Russia

La presenza della britannica BP e della anglo-olandese Shell in Russia è ancora maggiore rispetto a quella di Eni.

BP ha annunciato che venderà la sua quota del 19,75% in Rosneft, il cui valore è stato stimato a 14 miliardi di dollari alla fine dello scorso anno.

Shell, da parte sua, ha comunicato che “uscirà dalle sue joint venture con Gazprom ed entità collegate” per un valore di 3 miliardi di dollari.

Le cessioni previste includono una quota del 27,5% nell’impianto di gas naturale liquefatto Sakhalin-II e una quota del 50% nella Salym Petroleum Development. Shell terminerà anche il suo coinvolgimento nel progetto del gasdotto Nord Stream 2, in cui detiene una quota del 10% del valore di 1 miliardo di dollari.

Il fattore-G

Il silenzio iniziale di Eni su una presa di distanze dalla Russia è probabilmente imputabile alle cautele legate a quello che potremmo chiamare il “fattore-G”. G come gas e come gettito.

In altre parole, BP e Shell non sono controllate da entità statali, ma sono espressioni di mercato di paesi come la Gran Bretagna e l’Olanda, i cui Stati non hanno grosse partecipazioni dirette nelle società, da cui incamerare gettito sia come erario che come azionisti, e in più sono meno dipendenti dalle importazioni di gas rispetto all’Italia.

Vedremo come si svilupperanno le promesse di cessione delle partecipazioni delle società europee nei vari progetti russi, ma la titubanza iniziale di Eni può essere considerata un’ennesima dimostrazione della posizione di maggiore debolezza del sistema Italia in materia di approvvigionamenti energetici rispetto a quella di altri paesi.

L’unico modo per uscire da questa posizione strutturale di debolezza è puntare in maniera altrettanto strutturale sull’elettrificazione a tappeto di quante più attività possibile, con il rafforzamento più rapido possibile delle reti di trasmissione e distribuzione, in modo che possano essere alimentate massicciamente con capacità sempre maggiori di energia fotovoltaica ed eolica, senza dimenticare lo sviluppo di biocarburanti per il trasporto pesante e l’idrogeno verde nella sostituzione di quello nero e grigio per settori vitali come quello chimico e dei fertilizzanti.

Breve termine

Nel breve termine, per ridurre il più possibile la dipendenza dal gas, associazioni come Italia Solare hanno chiesto a cittadini e imprese di fare uno sforzo.

“Se puoi…chiudi il gas e il riscaldamento a casa e in ufficio, potrai eventualmente indossare un maglione più pesante. Se non puoi spegnere il riscaldamento, per favore abbassa la temperatura ambiente a 18 gradi. Inoltre cerca di dare un taglio anche agli sprechi di energia elettrica. Se hai disponibilità economica comincia a investire in energie rinnovabili, rafforza l’indipendenza energetica dell’Italia. Se riuscissimo a farlo in tanti sarebbe un bene non solo per il portafoglio e per l’ambiente, ma anche per far capire a Putin che possiamo svincolarci dai suoi ricatti”, ha scritto la maggiore associazione italiana del settore fotovoltaico sui suoi social media.

Si tratta sostanzialmente della stessa posizione espressa da Michele Governatori, responsabile energia del centro studi indipendente ECCO, che a titolo personale, parlando con QualEnergia.it, ha esortato famiglie e aziende a informarsi presso i propri fornitori di gas qual sia il loro portafoglio di approvvigionamenti internazionali.

“Non è detto che lui ne abbia contezza a meno che non sia anche un importatore. Chiederlo, in ogni caso, farebbe sapere al fornitore che io sento questa esigenza, e non sarebbe poco. Soprattutto, posso chiedere alle istituzioni, Governo e Autorità per l’Energia, che colleghino la mia disponibilità a ridurre i consumi a un’azione unilaterale nazionale di riduzione o azzeramento dell’import di gas russo. Questo permetterebbe al sistema energetico di non collassare grazie alla disponibilità mia e di altri ad autoridurci. Ci sarebbero complessità tecniche? Sì, ma non insormontabili se ci fosse la seria volontà politica”, ha scritto Governatori sul suo blog.

Orizzonti delle fossili

Guardando al futuro di medio-lungo termine delle energie fossili, per tutta una serie di ragioni strutturali ed economiche, c’è una sostanziale impossibilità di riformare il settore oil and gas, secondo Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia.

“Il settore in prospettiva va probabilmente rinazionalizzato e riportato alla funzione che deve avere durante la transizione, cioè quella di garantire ciò che serve, ma con una prospettiva di chiudere i business convenzionali e di spostarsi su altri business”, garantendo l’equità sociale della transizione ed evitando soluzioni “improbabili” come la cattura e stoccaggio del carbonio, ha detto Onufrio a QualEnergia.it.

Bisogna insomma che il fattore G non si riferisca più al gas, ma ad una gestione giusta e globale della decarbonizzazione.

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