Produzione oil&gas in crescita del 3-4% l’anno, lancio di una nuova società satellite dedicata alle tecnologie per catturare, utilizzare e immagazzinare la CO2 (CCUS: Carbon Capture Utilisation and Storage) e intesa con l’azienda petrolifera statale malese Petronas per costituire una joint venture in Indonesia e Malesia.
Queste le priorità di Eni nei combustibili fossili, indicate nel Piano strategico 2025-2028 presentato giovedì scorso, 27 febbraio, al Capital Markets Update. Gli investimenti netti annuali previsti dal documento, in totale, ammontano a 7 miliardi di euro.
Come ha commentato l’amministratore delegato della società, Claudio Descalzi, “Eni è focalizzata su business in cui detiene punti di forza distintivi in termini di competitività, basati su tecnologia e catene del valore integrate, e che generano crescita e rendimenti attrattivi in rapporto al rischio. Il nostro approccio strategico sempre coerente ci ha consentito di adattare all’evoluzione del mercato i nostri punti di forza tradizionali, come l’upstream”.
Non ci sono dubbi, quindi, che il cane a sei zampe continuerà a puntare su gas e petrolio, anche se non ha annunciato un vero e proprio “reset” delle attività come bp. Il 26 febbraio il colosso anglosassone ha infatti presentato un piano industriale con un’inversione a “u” rispetto agli obiettivi green precedenti (si veda Bp ci ripensa: più investimenti oil&gas, rinnovabili tagliate).
Molto critico il commento di Greenpeace e ReCommon.
Mentre Eni si racconta come un’azienda “green”, spiega una nota congiunta, “i numeri raccontano invece una storia diversa. Dal 2023 la capacità installata di rinnovabili è passata da appena 3 GW a 4,1 GW, con un target modesto di 15 GW al 2030 e una crescita di poco meno di 2 GW annui”, mentre “nello stesso periodo la sola produzione di gas peserà per il 60% del portafoglio aziendale”.
La CCS, proseguono le due associazioni, è “spacciata come soluzione salvifica a partire dai progetti di Ravenna e Hynet nel Regno Unito, mentre in realtà si tratta di una tecnologia sperimentale costosa, rischiosa, inefficiente e totalmente inadatta a fronteggiare l’emergenza climatica”.
Tornando al Piano 2025-2028, in tema di transizione energetica Eni sottolinea che i relativi business – Plenitude ed Enilive – “hanno non soltanto un loro valore di mercato, ma contribuiscono altresì alla diversificazione e resilienza a livello di gruppo, generando utili e flussi di cassa crescenti”.
Così si prevede che la capacità installata in rinnovabili di Plenitude cresca di circa quattro volte al 2030, arrivando a 15 GW complessivi.
C’è poi l’obiettivo di produrre oltre 5 milioni di tonnellate di biocarburanti entro il 2030, con la possibilità di generare anche 2 milioni di tonnellate di carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF: Sustainable Aviation Fuel).
Il gruppo è poi impegnato nella trasformazione della sua società Versalis, “in risposta a un mercato europeo della petrolchimica profondamente deteriorato”.
Pertanto, Eni sta cessando le attività relative allo steam cracking (pirolisi degli idrocarburi), per proseguire il percorso di sviluppo di nuove piattaforme di business, tra cui polimeri specializzati, biochimica e circolarità attraverso il riciclo chimico e meccanico.
Il piano di trasformazione di Versalis, si spiega, “include anche la realizzazione di nuove iniziative industriali coerenti con la strategia di Eni, sia nella bioraffinazione sia nello stoccaggio di energia e, potenzialmente, anche nei data center e nell’intelligenza artificiale”.
Tornando alla citata intesa con Petronas, la joint venture “potrà generare importanti sinergie per diventare uno dei principali operatori nel settore del Gnl nella regione – secondo Eni – garantendo nel medio termine una produzione sostenibile di 500 mila barili di petrolio equivalente al giorno”.
La riserve della jv ammontano a circa 3 miliardi di barili, mentre il potenziale esplorativo è di circa 10 miliardi di barili.