Energia dalle onde, in Europa ci si riprova

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La cosiddetta Wave Energy è al momento una delle delusioni tecnologiche della transizione energetica. Ora un ampio gruppo europeo sta lavorando ad un progetto con alcune interessanti innovazioni. Ne fa parte anche la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

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Nel sito della REN, la rete elettrica portoghese si aggira un fantasma: da anni, nel grafico delle fonti elettriche del giorno, appare la voce “Wave”, la generazione di elettricità dalle onde del mare.

Peccato però che in tutto questo tempo da quella fonte non sia arrivato neanche un kWh. Quindi quello della REN è un auspicio, nato forse dal fatto che il Portogallo, con la sua costa flagellata dalle potenti onde atlantiche, è sempre stato uno dei paesi dove si è più sperimentato, e sperato, in questa forma di energia rinnovabile.

La Wave Energy è forse una delle più grandi delusioni tecnologiche della transizione energetica: pur essendo stata concepita in Francia addirittura nel 1799, da allora, nonostante centinaia di brevetti, decine di prototipi e milioni di euro spesi, nessun impianto commerciale è stato varato, tanto che la “Saltire prize challenge”, che aveva previsto nel 2017 un contributo di 10 milioni di sterline a chi avesse prodotto in due anni 100 GWh di elettricità con un impianto a onde, non è stato mai assegnato.

Sono anni che assistiamo all’annuncio di prototipi estremamente promettenti, nei tre campi in cui il settore è diviso: oggetti galleggianti che si muovono al passare delle onde convertendo il movimento in elettricità (per esempio il Pelamis), “vasche-trappola” per l’acqua sollevata oltre il livello del mare dall’onda sfruttandone poi il ritorno in basso con una turbina idraulica (come in questo progetto) e uso dell’energia dell’aria compressa dalle onde in condotti verticali per muovere una turbina ad aria (per esempio questo progetto italiano da installare nei frangiflutti).

A questi tre tipi, se vogliamo, possiamo aggiungere il prototipo innovativo ideato qualche anno fa dal matematico Michele Grassi, installato a Marina di Pisa e poi acquistato da Enel Green Power, che però sembra aver subito la stessa sorte di desaparecido degli altri.

Eppure, che le onde siano quasi sempre disponibili, anche se molto variabili, e che contengano tanta energia, lo sa chiunque sia stato travolto da un cavallone in mare. E allora cosa è andato storto?

Ce lo spiega Marco Fontana, ingegnere roboticista della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che è coinvolto con colleghi di Gran Bretagna, Germania, Belgio, Grecia, Portogallo e Irlanda nel progetto europeo nell’ambito Horizon, finanziato con 4 milioni di euro, “Modular Electrical Generator – Mega PTO Wave”.

“Il problema dell’energia da onde si può riassumere nel detto “Pay for peak, get from the average”, paghi per il picco dell’energia, ma incassi solo dalla media dell’energia.

In pratica, essendo l’ambiente marino così variabile e distruttivo, ti tocca costruire sistemi di conversione meccanica estremamente robusti, per resistere alle peggiori tempeste immaginabili. Poi, però, l’energia che si ottiene è quella delle onde “normali”, medie, quindi molto più bassa”, dice Fontana.

Insomma, i prototipi di conversione delle onde in elettricità, arrivati ai 900 kW di un progetto Pelamis in Scozia, alla fine non hanno convinto gli investitori, che si sono trovati di fronte a dispositivi molto costosi, che però avrebbero prodotto relativamente poco.

Per un po’ di tempo ci hanno puntato, sopra in attesa di miglioramenti, ma poi, visto che il settore non decollava, hanno chiuso i rubinetti, mandando a gambe all’aria le società che ci avevano creduto.

“Ci sono poi altri problemi: fare in mare riparazioni e manutenzione costa molto caro e non sempre può essere fatto, per cui un dispositivo a onde che si rompa durante una tempesta, magari resterà inattivo per settimane, prima che si riesca a riparare. Anche l’eolico offshore corre gli stessi rischi, ma essendo molto più collaudato, e con le parti mobili a decine di metri sopra il mare, è molto meno soggetto a questi problemi”, aggiunge Fontana.

Forse allora non vale la pena puntare su questo settore, visto che ci sono ormai sistemi molto più sperimentati per ottenere energia da fonti rinnovabili?

“In realtà l’energia dalle onde avrebbe notevoli vantaggi”, chiarisce l’ingegnere.

“Prima di tutto si tratta di una fonte molto abbondante; uno studio di alcuni anni fa stimava che da essa si potrebbe ottenere almeno il 10-15% dell’elettricità globale. In secondo luogo, l’acqua è 1000 volte più densa dell’aria: questo vuol dire che si possono ottenere grandi quantità di energia con impianti molto più compatti delle turbine eoliche. Terzo aspetto, le onde trasportano l’energia del vento per migliaia di chilometri, quindi, sono molto più costanti di quella eolica locale. Infine, le onde sono molto prevedibili: se il solare può diventare imprevedibile in pochi minuti, a causa del meteo, e l’eolico in poche ore, la potenza delle onde lungo una costa, seguendole dall’orbita, si può prevedere con precisione almeno un giorno prima, il che le rende preziose per il bilanciamento delle varie fonti rinnovabili e in grado di spuntare prezzi migliori delle altre sul mercato dell’elettricità”.

Infine, aggiungiamo noi, i dispositivi per sfruttare le onde, sono poco visibili, per cui la fonte si presterebbe bene per alimentare luoghi attenti all’impatto paesaggistico, come molto arcipelaghi nel mondo che vivono di turismo, o anche zone costiere remote in cui l’installazione di convertitori per onde potrebbe risultare più veloce ed economica di turbine eoliche e pannelli solari.

E allora come pensa, con i suoi colleghi europei, di rilanciare nella Unione europea questo settore piuttosto incagliato?

“Partiamo da due innovazioni ideate dai colleghi scozzesi. Prima di tutto un sistema a ingranaggi magnetici, che collega il dispositivo di conversione del moto delle onde all’alternatore, e che, oltre a far girare quest’ultimo alla velocità giusta, distacca automaticamente le due parti in caso di onde troppo violente, ricollegandosi da solo quando si torna sotto al limite. Così non c’è bisogno di progettare tutto il dispositivo per le onde più potenti, risparmiando costi e complessità. La seconda innovazione è un sistema di alternatori modulare, in pratica una pila di generatori che può essere aumentata o diminuita a secondo della potenza massima prevista per il dispositivo, così che la stessa macchina possa essere usata per le coste con onde più o meno potenti, senza riprogettarla ogni volta; in caso se ne rompesse uno, permetterebbe al dispositivo di continuare a funzionare”.

Il gruppo italiano si occuperà dei sistemi di controllo e di realizzare un modello matematico che preveda il comportamento del dispositivo inserito in tre tipi diversi di convertitori di onde.

“Una volta completata questa fase teorica, manderemo un prototipo del dispositivo in Germania, presso un’azienda che testa turbine eoliche, per validarne efficienza e robustezza. Solo allora, se troveremo nuovi finanziamenti, i meccanismi da noi inventati e messi a punto, saranno inseriti in un vero convertitore a onde in mare aperto e testati nel mondo reale: una fase che richiederà investimenti molto più consistenti di quelli ottenuti con Horizon”, conclude Fontana.

Non c’è che augurare al gruppo di cui fa parte il roboticista del Sant’Anna di Pisa ogni successo.

Forse il settore della Wave Energy, dopo una fase un po’ avventurosa e spericolata, che ha portato alla chiusura di tante aziende, ha imboccato una strada più matura e prudente, che usa i fallimenti del passato per creare dispositivi in grado di essere veramente competitivi sul mercato.

Una strada ben simboleggiata dal fatto che dalle ceneri della chiusura delle maggiori aziende scozzesi che si occupavano di queste tecnologie, come la stessa Pelamis, sia sorto l’ente no profit Wave Energy Scotland, che ne ha acquisito i brevetti, mettendoli a disposizione degli sviluppatori, al fine di creare qualcosa che, stavolta, sia affidabile e appetibile, e attiri abbastanza capitali da raggiungere il mercato.

Ma forse è proprio questo il punto cruciale che rischia di affondare le speranze di chi crede nell’energia delle onde, o in altre forme innovative di energia rinnovabile.

In presenza di giganti supercollaudati come le industrie del settore fotovoltaico ed eolico, ormai in grado di sfornare centinaia di gigawatt di impianti ogni anno, in grado di produrre energia tanto competitiva da restare ormai tale anche passando attraverso sistemi di accumulo, perché investire in novità inevitabilmente più rischiose e inizialmente più costose? Alle onde l’ardua sentenza.

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