Emissioni negative: una via piena di rischi per salvare il clima

Riforestazione, ripristino di ecosistemi, CCS, bioenergie: le soluzioni per rimuovere la CO2 dall’atmosfera sembrano sempre più indispensabili per raggiungere gli obiettivi climatici. Vediamo perché e su quali conviene puntare.

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Proprio un anno fa, era il febbraio 2018, l’organismo che riunisce le accademie scientifiche nazionali dei paesi europei (28 Stati membri Ue più Norvegia e Svizzera), aveva pubblicato uno studio in cui esaminava il potenziale delle tecnologie per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera.

Il rapportone dell’IPCC sui cambiamenti climatici sarebbe uscito qualche mese dopo, ma già dalle prime indiscrezioni sul “malloppo” preparato dagli scienziati delle Nazioni Unite (Intergovernmental Panel on Climate Change) era chiara una cosa: il tempo a disposizione dell’uomo per limitare gli effetti più rovinosi del surriscaldamento globale si sarebbe esaurito molto velocemente.

Ecco perché, un anno fa, si stava intensificando il dibattito sulle tecnologie riassunte dall’acronimo inglese CDR, Carbon Dioxide Removal: quelle soluzioni che dovrebbero consentirci di sottrarre all’atmosfera svariati miliardi di tonnellate di CO2 rilasciata in precedenza dalle nostre attività, soprattutto con l’utilizzo di combustibili fossili.

Ora il consiglio delle accademie scientifiche europee (EASAC, European Academies Science Advisory Council) è tornato sul tema, con nuove e più dettagliate osservazioni (documento allegato in basso).

Parliamo dei sistemi con cui catturare l’anidride carbonica e immagazzinarla da qualche parte, in modo “naturale”, ad esempio attraverso la riforestazione e il ripristino di ecosistemi (boschi, paludi, praterie), oppure con impianti CCS (Carbon Capture and Storage), da applicare alle centrali a carbone o alle bioenergie (nel secondo caso si parla di BECCS, cioè Bioenergy with Carbon Capture and Storage).

Difatti, si usa spesso l’acronimo NET per identificare questo gruppo di rimedi contro l’eccessiva concentrazione di CO2 nell’aria: Negative Emission Technologies, tecnologie che hanno l’obiettivo di raggiungere un equilibrio tra l’anidride carbonica complessivamente immessa nell’atmosfera e quella complessivamente rimossa (ovviamente bisognerà eliminare più CO2 rispetto a quella immessa in precedenza: solo così avremo ottenuto un bilancio netto negativo).

E poiché sta aumentando il divario tra la tendenza attuale delle emissioni e quella richiesta dagli accordi di Parigi per stare sotto 2 gradi di riscaldamento, si legge nel documento (traduzione nostra dall’inglese, con neretti), “con ogni probabilità sarà necessario applicare tecnologie per le emissioni negative su una scala potenzialmente enorme”.

Questo fatto, secondo gli scienziati dell’EASAC, non deve distrarci dal nostro compito principale, sforzarci il più possibile di abbattere le emissioni di CO2 investendo nelle fonti rinnovabili e nelle strategie di “mitigazione” dei rischi climatici.

Che poi è quello che sostiene il super modello climatico presentato dalla Leonardo DiCaprio Foundation. Secondo gli scienziati che hanno lavorato al One Earth Climate Model, infatti, siamo ancora in tempo per risolvere la crisi ambientale con una diffusione massiccia di tecnologie conosciute e ben sperimentate.

Le soluzioni NET, invece, in buona parte sono tutt’altro che conosciute e ben sperimentate: anzi, alcune sono circondate da tali e tante incertezze sui costi e sulla loro reale efficacia, che gli esperti dell’EASAC sconsigliano di scommettere troppo su di esse.

Soprattutto sconsigliano di puntare eccessivamente sugli impianti BECCS: cioè queli che prevedono di sfruttare le biomasse (boschi e piantagioni di vario tipo) per assorbire l’anidride carbonica durante la loro crescita, poi per produrre energia elettrica, catturando però con un impianto CCS la CO2 emessa attraverso la combustione e iniettandola in depositi sotterranei.

Il problema, evidenziano gli scienziati delle accademie europee, è che si rischia di produrre più CO2 nel ciclo di vita, considerando vari aspetti tra cui l’uso di fertilizzanti, il trasporto delle biomasse eccetera, rispetto a quella effettivamente “mangiata” dalle piante e stoccata nel sottosuolo.

L’ampio potenziale assegnato alle bioenergie da molti scenari che limitano il surriscaldamento a +1,5-2 gradi, rimarca l’EASAC (traduzione nostra dall’inglese, con neretti), “non è supportato dalle recenti analisi e i decisori politici dovrebbero evitare di prendere decisioni affrettate che tendono a favorire una singola tecnologia, come la BECCS”.

Più tenero il giudizio sul CCS applicato a gas e carbone: si suggerisce di provare a sviluppare questa tecnologia su una scala più ampia.

La soluzione più low-cost applicabile subito con un buon margine di successo, chiarisce lo studio, prevede un mix di riforestazione e recupero di ecosistemi degradati, incrementando così la quantità di anidride carbonica stoccata nei bacini naturali (natural carbon sinks). Tenendo presente, però, che la capacità di questi bacini molto probabilmente si esaurirà nei prossimi decenni.

In definitiva, riassume il documento dell’EASAC, la strategia per salvare il clima dovrebbe integrare alcune misure di emissioni negative fin da oggi, per non rischiare di doversi aggrappare, in futuro, a delle soluzioni che potrebbero rivelarsi fallimentari o esageratamente costose.

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