Il terreno di scontro tra Harris e Trump nella corsa alla Casa Bianca è ricoperto da un tappeto di investimenti green.
In sette Stati in bilico si concentra la gran parte degli investimenti in energia e clima dell’Inflation Reduction Act (Ira), la più importante legislazione sul clima nella storia degli Stati Uniti e del mondo.
L’esito delle elezioni presidenziali americane del prossimo 5 novembre sarà determinato soprattutto da chi si aggiudicherà la maggioranza in Pennsylvania, Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, Carolina del Nord e Wisconsin, definiti “Swing States” perché non rappresentano una roccaforte per nessuno dei due partiti e tendono ad assegnare i propri grandi elettori ai repubblicani o ai democratici in maniera non prevedibile (alla scorsa tornata elettorale sono stati vinti con meno di 3 punti percentuali di scarto).
Dall’approvazione dell’Ira sono stati stanziati quasi 150 miliardi di dollari per nuovi impianti made Usa per la produzione di auto elettriche, batterie e componenti per le rinnovabili.
Di questi, 63 miliardi, quasi la metà, andranno ai sette “Swing States”, per oltre 50mila nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero, secondo un’analisi condotta per il Guardian da Atlas Public Policy, società di analisi di mercato con sede a Washington.
Il clima non scalda la campagna elettorale
La transizione energetica e la crisi climatica non sembra però essere un argomento che scalda gli elettori americani, e fatica a entrare all’interno del dibattito tra i due candidati. Quindi sarà difficile che l’Ira diventi ago della bilancia del prossimo quadriennio Usa.
Gli Stati indecisi restano in bilico tra Harris, vicepresidente degli Stati Uniti al momento dell’approvazione della legge, che però ha appena sfiorato l’argomento durante la campagna elettorale, e Trump, che l’ha definita una “truffa verde” e ha promesso di abolirla.
Solo 4 elettori americani su 10 hanno sentito parlare dell’Ira, secondo i sondaggi di Atlas Public Policy. E solo il 49% di chi si è dichiarato democratico liberale ha affermato di conoscere più nel dettaglio il provvedimento.
È in questo vuoto che si sono insinuate le critiche: negli ultimi due anni, tra i principali canali di informazione via cavo, metà delle menzioni dell’Ira sono avvenute su Fox News, network storicamente vicino ai repubblicani, nelle cui trasmissioni la legge è stata dipinta come uno “spreco”.
L’Ira ha però creato una cornice normativa che ha spinto gli investimenti in energia pulita che ora rappresentano oltre la metà della crescita totale degli investimenti privati nel Paese, mentre i posti di lavoro nel settore si moltiplicano.
Il futuro dell’Ira
Crediti d’imposta a pioggia per le rinnovabili per tutto il prossimo decennio (che potrebbero superare i mille miliardi di dollari), sovvenzioni per la riduzione delle emissioni industriali, sconti per gli americani che vogliono acquistare auto elettriche, incentivi per chi vuole installare pompe di calore: l’Ira supporta la decarbonizzazione sotto diversi aspetti, e i benefici saranno significativi.
Per citare due esempi, Goldman Sachs prevede 3 trilioni di dollari complessivi per le rinnovabili come effetto del provvedimento, mentre il Tesoro degli Stati Uniti stima in 5 trilioni di dollari i benefici economici globali derivati dalla riduzione delle emissioni entro il 2050.
Grazie al ruolo chiave che svolge nella creazione di posti di lavoro e ai benefici economici che sta già portando in molti Stati, è probabile che l’Ira sopravviva all’eventuale rielezione di Trump, nonostante la sua contrarietà alla transizione energetica.
Le aree rurali ed extraurbane repubblicane sono quelle che hanno ricevuto la quota maggiore della spesa, un dato che sta provocando un certo nervosismo tra alcuni membri repubblicani del Congresso, contrari alle dichiarazioni di chiusura del loro candidato.
Se restasse inalterata nel prossimo decennio, l’Ira potrebbe contribuire a creare 9 milioni di nuovi posti di lavoro, come dimostra un’analisi del Political Economy Research Institute presso l’Università del Massachusetts, riducendo anche le emissioni del 40% entro il 2030.
Una vittoria di Donald Trump potrebbe comunque portare a conseguenze dannose, come un aumento delle emissioni di 4 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2030, rispetto ai piani attuali, secondo uno studio di Carbon Brief, sito britannico specializzato sugli impatti climatici delle politiche energetiche.
È utile ricordare che il prossimo mandato presidenziale Usa terminerà nel dicembre 2028, appena due anni prima di una scadenza cruciale per ridurre gli effetti peggiori del surriscaldamento globale, con gli obiettivi di triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica globale.