Perché Trump non può invertire la transizione energetica

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Le elezioni Usa determineranno il ritmo del cambiamento: una accelerazione o una frenata? Forse l’elezione presidenziale americana più importante di sempre per il mondo.

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Se Donald Trump sarà eletto presidente degli Stati Uniti il prossimo novembre, è molto probabile che la transizione energetica degli Usa e del mondo rallenterà.

Ciò a causa del preannunciato indebolimento della regolamentazione climatica e ambientale, del minore sostegno finanziario alla decarbonizzazione e del venire meno della partecipazione americana alle maggiori  iniziative climatiche degli ultimi anni, come l’Accordo di Parigi del 2015.

Anche nel primo dibattito elettorale di ieri sera con la candidata democratica Kamala Harris, Trump non ha risposto alla domanda su cosa intenda fare per contrastare i mutamenti climatici, mentre sul fronte squisitamente energetico ha asserito in maniera molto distorta che la Germania, dopo aver provato ad accelerare la decarbonizzazione, avrebbe deciso di tornare a costruire centrali energetiche “normali”.

Nonostante la contrarietà manifesta del candidato repubblicano alla transizione energetica, è probabile che leggi chiave come l’Inflation Reduction Act (IRA) sopravvivano grazie alla creazione di posti di lavoro e ai benefici economici che questa normativa sta già portando in molti Stati dell’Unione.

Ciò che le prossime elezioni presidenziali Usa determineranno è quindi soprattutto il ritmo dell’azione climatica americana. Una presidenza del candidato repubblicano rallenterebbe molto il passo della decarbonizzazione, mentre una vittoria della sua avversaria democratica presumibilmente lo accelererebbe o almeno lo lascerebbe invariato.

Visto che secondo il consenso scientifico il tempo per rallentare il surriscaldamento dell’atmosfera è poco e che questo decennio sarà cruciale nell’indirizzare la crisi del clima in peggio o in meglio, ciò che succederà nei prossimi 4 anni avrà un impatto decisivo sulle sorti del pianeta e dell’umanità.

Il prossimo mandato presidenziale Usa scadrà nel dicembre 2028, appena 12 mesi prima dell’inizio del 2030, o 24 mesi dalla fine della prima scadenza cruciale che il mondo si è dato per ridurre e mitigare gli effetti peggiori del surriscaldamento. Una seconda presidenza Trump non ci lascerebbe probabilmente tempo sufficiente per rimediare, visto il passo già lento con cui il mondo si è avviato sulla strada della transizione energetica.

Un nuovo mandato a Trump, con tutti i bastoni fra le ruote che metterebbe alle rinnovabili e all’efficienza energetica, senza un ecosistema organico e completo di politiche climatiche, sperpererebbe molto probabilmente le ultime possibilità che la maggiore economia mondale ha di evitare gli esiti peggiori della crisi del clima.

In nessuna elezione americana del passato la posta in gioco è stata mai così alta probabilmente, e non solo per chi vive negli Usa. Vediamo qui alcune delle possibili ripercussioni che una presidenza Trump potrebbe avere in tema di decarbonizzazione, transizione energetica e clima.

Le (probabili) conseguenze di una seconda presidenza Trump

  • Su regole e norme

Trump attuerebbe una sostanziale revoca dei regolamenti che limitano le attività economiche climalteranti. Ad esempio, potrebbe essere annullato il tentativo di Biden di imporre una tassa sulle emissioni di metano dell’industria petrolifera e del gas.

È probabile che anche la norma dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) statunitense sugli standard di emissione dei veicoli, volta a stimolare la domanda di veicoli elettrici, venga annullata, come quella recentemente finalizzata a ridurre le emissioni delle centrali elettriche a carbone e a gas nel 2030, a meno che queste non dimostrino una profonda riduzione delle emissioni.

  • Per le emissioni

I cambi in corsa di molte regole sotto un’amministrazione Trump potrebbero portare a 4 miliardi di tonnellate di emissioni statunitensi in più entro il 2030 rispetto ai piani democratici, secondo un’analisi di Carbon Brief.

Questi 4 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 in più entro il 2030 causerebbero danni climatici globali per oltre 900 mld $, secondo le ultime valutazioni della stessa EPA statunitense.

Per contestualizzare, 4 Gt di CO2 equivalgono alle emissioni annuali combinate dell’Ue e del Giappone, o al totale annuale combinato dei 140 Paesi a più basse emissioni del mondo. In altre parole, le 4 Gt di CO2 in più derivanti da un secondo mandato Trump annullerebbero, moltiplicati per due, tutti i risparmi di CO2 ottenuti negli ultimi cinque anni grazie a eolico, fotovoltaico e altre tecnologie pulite in tutto il mondo.

  • Su geopolitica e commercio

Se venisse eletto, Trump presumibilmente cercherebbe con maggiore incisività un accordo di pace fra Russia e Ucraina, o almeno punterebbe a un cessate il fuoco temporaneo. Per quanto auspicabile sia di per sé una soluzione duratura ed equa del conflitto, una tale eventualità, assieme alle nuove licenze di esplorazione e trivellazione che Trump vuole offrire, aumenterebbe in tempi brevi i flussi di petrolio e gas, contribuendo potenzialmente a un calo dei prezzi degli idrocarburi.

Il calo dei prezzi petroliferi rallenterebbe gli investimenti in nuovi giacimenti nel futuro, ma la produzione odierna e quella che seguirebbe alle azioni di Trump sarebbero già più che sufficienti a danneggiare gli sforzi pro-clima.

Inoltre, è probabile che gli Usa intensificherebbero le tensioni commerciali con la Cina, che produce il grosso dei moduli fotovoltaici del mondo e che controlla altri fattori critici per la decarbonizzazione. Tutto ciò accelererebbe la diffusione di fonti climalteranti e frenerebbe quella delle tecnologie verdi.

  • Per la politica industriale

È improbabile che l’Inflation Reduction Act venga abrogato completamente a causa delle difficoltà di far passare una misura del genere in un Congresso diviso o controllato dai Democratici. L’impossibilità di abrogare l’Obamacare, cioè le norme introdotte da Barak Obama per allargare le coperture assicurative sanitarie, ne sono un esempio.

Inoltre, gli Stati a maggioranza repubblicana hanno beneficiato in modo significativo dell’IRA, con circa l’80% degli investimenti in energia pulita confluiti nei distretti repubblicani, e con la creazione di molti posti di lavoro.

Molte aziende e investitori si opporrebbero alla sua abrogazione. Tuttavia, l’attuazione dell’IRA potrebbe incontrare delle difficoltà, tra cui qualifiche più severe per i crediti d’imposta e ritardi dovuti all’insufficienza dl personale aziendale formato e governativo.

Sebbene si preveda che l’IRA sopravviva, circa il 30% dei suoi finanziamenti per l’energia e il clima potrebbe essere ridimensionato. Alcuni crediti d’imposta per i consumatori, come quelli per i veicoli elettrici, e i finanziamenti non fiscali del Dipartimento dell’Energia potrebbero essere ridotti.

I finanziamenti per lo sviluppo del programma National Electric Vehicle Infrastructure nell’ambito dell’Infrastructure Investment and Jobs Act saranno probabilmente ridotti a causa dell’impopolarità dei veicoli elettrici tra i repubblicani e della lentezza con cui i finanziamenti vengono distribuiti ai progetti.

  • Per gli investimenti

In base alle politiche attuali, ci dovrebbero essere circa 7.700 miliardi di dollari di investimenti per il settore energetico statunitense nel periodo 2023-2050, secondo la società di analisi Wood Mackenzie.

Nel caso di un’elezione di Trump, tale cifra sarebbe inferiore di 1.000 miliardi di dollari (1 trilione di dollari), se i repubblicani annullassero le politiche chiave che sostengono l’energia a basse emissioni di carbonio e i miglioramenti infrastrutturali.

“Questo ciclo elettorale influenzerà realmente il ritmo degli investimenti energetici, sia nei prossimi cinque anni che fino al 2050. Gli investimenti in forniture a basse emissioni di carbonio devono essere effettuati nel breve termine per realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione a lungo termine. Le emissioni di carbonio degli Stati Uniti potrebbero aumentare, mettendo fuori portata lo zero netto”, ha commentato David Brown, responsabile di Wood Mackenzie per la ricerca sulla transizione energetica.

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