Efficienza energetica, come rilanciare i progetti tra gli enti locali

Intervista a Benedetta Brighenti, neo vicepresidente Fedarene, Rete Ue agenzie e regioni per energia e ambiente: servono le “in house” nel motore delle Amministrazioni bloccate. Puntare su partenariati con il privato ed Epc.

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Secondo l’ultimo report Enea sull’efficienza energetica in Italia, pubblicato sul finire dello scorso anno, risulta che l’Amministrazione pubblica italiana ha consumato 9,7 TWh di elettricità nell’anno 2021.

Pochi mesi dopo, a marzo 2024, l’Agenzia ha fatto sapere che il 60% degli edifici pubblici o a uso pubblico nel nostro Paese rientra nelle classi energetiche E, F e G.

Tutto ciò senza dimenticare che il Programma di riqualificazione energetica della P.A. centrale vuole accelerare interventi su almeno il 3% annuo della “superficie coperta utile climatizzata” del patrimonio edilizio pubblico.

Queste premesse sono utili per porsi una domanda: gli enti pubblici, soprattutto quelli locali e periferici, sono in grado di stare al passo con la necessità di efficientare i loro immobili?

Ne abbiamo discusso con Benedetta Brighenti, da poco nominata vicepresidente della rete Ue agenzie e regioni per energia e ambiente, Fedarene, nonché presidente Aess, Agenzia per l’energia e lo sviluppo sostenibile, e Climate Pact ambassador della Commissione Ue.

Aess, che compie quest’anno 25 anni di vita, è una associazione senza scopo di lucro certificata ESCo che opera come ente “in house” dei suoi soci pubblici (riconosciuta da Anac), ovvero oltre 160 soggetti tra Comuni, Province e Città metropolitane diffusi su undici regioni.

Il rapporto delle P.A. locali con l’energia

Per rispondere alla nostra domanda bisogna sostanzialmente suddividere le P.A. locali in due blocchi. Un gruppo formato da enti più pronti che stanno correndo per centrare gli obiettivi climatici e un gruppo più in difficoltà, soprattutto per mancanza di competenze.

Nel mezzo ci sono le aziende del settore energia che (nel secondo caso) devono confrontarsi sia con amministrazioni scarsamente propense ad accogliere l’innovazione energetica sia con normative stringenti e finanziamenti non sempre alla portata delle piccole realtà.

“Parliamo prima dei casi d’eccellenza, quelli che possono fare da esempio per gli altri”, spiega Benedetta Brighenti. “Aess è diventata struttura tecnica e advisor di cinque dei nove Comuni italiani selezionate nella missione Ue 100 città intelligenti e a impatto climatico zero entro il 2030”, finanziata nell’ambito di Horizon Europe. In particolare, “abbiamo aiutato queste realtà a scrivere il Climate City Contract”.

Incrociando questi documenti si comprende che “gli scatti sulla CO2 si fanno con le grandi gare per riqualificare il patrimonio edilizio pubblico e l’illuminazione”. Ovviamente, a ciò va sempre aggiunto l’intervento “sugli immobili privati”, senza dimenticare che “il fotovoltaico può fare tantissimo per le città green” e gli accumuli “sono una grande sfida da finanziare”.

Infine, conclude la presidente di Aess, “se c’è un’adeguata generazione da rinnovabili si può anche sostenere la riconversione delle flotte di traporto e pianificare le infrastrutture”.

Questa, in breve, la ricetta adottata da enti locali per lo più grandi e strutturati. Ma c’è l’altra faccia della luna.

“La difficoltà più grande del Paese è legata a fattori chiari: le strutture comunali sono troppo deboli, con o senza Pnrr sarebbero arrivate politiche europee di riqualificazione e non possiamo pretendere che le attuali strutture comunali siano esperte di tutto”, ci dice Brighenti.

A fare la differenza tra opportunità e impossibilità d’azione, prosegue, “è la presenza o no di una in house pubblica su energia e sostenibilità” che dia concretezza a desideri e obiettivi.

Inoltre, non va dimenticato che “siamo in un Paese dove la normativa e la lungaggine dei processi pubblici non vanno di pari passo con azioni innovative, bilanci delle aziende private e repentini cambiamenti del clima”. Per questo motivo “serve un importante intervento nazionale sullo snellimento burocratico”; un appello alle semplificazioni che possa consentire alla P.A. di “affidarsi fortemente ai partenariati pubblico-privato e agli energy performance contract, Epc”.

Gli esempi, anche pionieristici, non mancano: “Attraverso un Epc sul calore della provincia di Modena abbiamo potuto inserire, tra le migliorie, perfino una caldaia a idrogeno autoprodotto per una scuola di Carpi, con generazione di idrogeno da fotovoltaico. Alla gara hanno partecipato otto aziende”.

Dunque, “se alcuni Comuni non fanno energy policy è perché ‘la macchina è inceppata’. A loro dico: servirebbero nuove agenzie energetiche”.

A fronte di ciò, comunque, non bisogna pensare che manchino passi in avanti. “Noi siamo grandi accompagnatori del Patto dei sindaci: un progetto a cui un Comune su due aderisce. Questo significa che un sindaco su due sa cosa significa pianificare queste tematiche. Se andiamo a ragionare meglio su come funziona la macchina amministrativa locale allora la multilevel governance migliorerà”. Infine, “serve una forte formazione sui temi della transizione, ad esempio legata ai principi nature based solutions, Nbs”.

La prospettiva delle normative energetiche nazionali ed europee

Tutto ciò detto riguarda, dunque, la dimensione territoriale dell’Amministrazione pubblica e il rapporto virtuoso o vizioso con l’efficientamento energetico. Uno scenario su cui incidono, inevitabilmente, anche le decisioni prese sul piano nazionale ed europeo.

Il fattore tempo ci può dare scacco matto!”, politiche europee di Green Deal o direttive come la Case green, “al di là di come saranno recepite, hanno segnato una strada verso la carbon neutrality. Nessun governo disconosce il valore della transizione ecologica in Europa. Noi eravamo alla Cop 28 con alcune città e lì l’Europa era compatta. Quindi concentriamoci sugli step che ci aspettano” anche perché “la direzione politica generale è già incardinata”.

Sul piano nazionale, infine, Benedetta Brighenti ricorda “i tempi sulle politiche per le Cer: tutti hanno sofferto della lunga procedura”.

Introdurre normative “che rallentano i processi è incompatibile con il momento storico”. Da questo punto di vista “siamo un Paese in cui vanno cautelate ricchezze e bellezze, ma entrambe possono scomparire sotto il peso del non agire”.

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