La cucina solare per una gastronomia sostenibile

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Barbecue e forni solari per una cucina sostenibile non solo nei prodotti ma anche nella loro preparazione: l’esempio di un ristorante a Marsiglia sta creando in Francia un vero e proprio movimento gastronomico.

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Un’atmosfera di festa, piatti raffinati e colorati e pranzi all’aperto: ecco l’aria che si respira al ristorante “Le Présage” di Marsiglia, prima esperienza in Europa di impiego della cucina solare.

L’approccio di questo ristorante, situato al Tecnopolo Château Gombert, si fonda sulla constatazione che la transizione energetica passa anche dal cibo e che un’agricoltura a chilometri zero, biologica e sostenibile non deve essere poi rovinata da una cottura ad alto consumo di energia.

Una cottura che rivela il vero gusto del cibo: il gusto del sole.

Spuntini al sole

Questa particolare osteria offre “spuntini solari” dal lunedì al venerdì, dalle 11,30 alle 14, per sfruttare ovviamente le ore di maggiore insolazione e attivare così con la maggiore efficacia possibile i suoi forni solari.

È possibile consumare sul posto oppure ottenere un servizio da asporto ma, in ogni caso, i gestori suggeriscono di portare i propri contenitori così da diminuire il consumo di stoviglie.

Le Présage, che è in grado anche di garantire servizi di catering per eventi che mirano alla totale sostenibilità, offre anche una serie di prodotti in linea con la filosofia generale del ristorante: verdura biologica, succhi di frutta, limonate e bevande fatte in casa e, come ciliegina sulla torta, organizza dei laboratori pratici di cucina solare.

Una grigliata particolare

Ma cos’è questa cucina solare sulla quale il ristorante francese ha scommesso?

Si tratta semplicemente dell’utilizzo di piccoli sistemi solari termici che impiegano il meccanismo della concentrazione per ottenere le temperature tipiche dei forni casalinghi ed essere così in grado di preparare un elevato numero di possibili piatti.

Per esaminare le tecnologie disponibili sul mercato, si può prendere ad esempio i prodotti offerti dalla Solar Brother, una delle aziende francesi più attive.

Il barbecue solare SUNGLOBE®, ad esempio, con un costo di circa 500 euro, garantisce temperature di cottura tra i 200 e i 240 °C.

Il piatto, dotato di un sistema di rotazione per una cottura sicura, ha un peso di 5 kg, una potenza di 850 W e una capacità compresa tra 2 e 4 litri, adatta fino a un massimo di 5 persone.

Grazie alla forma parabolica con un diametro di 100 cm e a un sistema di puntamento verso il sole, i raggi si concentrano rapidamente al centro e riscaldano i cibi in modo uniforme: una cottura sana, senza fiamme fumo e priva di qualsiasi emissione inquinante in atmosfera o al suolo.

Il riscaldamento richiede appena una decina di minuti e i produttori consigliano di regolare la posizione del piatto ogni 25 minuti in base al movimento del sole.

Cucinare in libertà

La cottura solare funziona sulla “regola delle 3 C”: concentrare, catturare e conservare i raggi del sole intorno al vostro piatto.

I forni solari sono del tutto simili a un forno tradizionale e, perciò, utilizzano il principio della concentrazione per riscaldare in ambiente chiuso, realizzato con una scatola scura e sottile, dove sono inseriti i contenitori con i cibi in cottura.

Molto importante, poi, è evitare le dispersioni, tramite metodi diversi secondo la tipologia di forno utilizzato, ad esempio utilizzando un doppio tubo di vetro concentrico, dal funzionamento simile a un tradizionale termos. Grazie all’effetto serra, quindi, il forno solare arriva rapidamente alla temperatura desiderata.

È doveroso sottolineare che il raggiungimento delle temperature necessarie alla cottura, tra i 100 e i 300 °C, è solo parzialmente legato alla temperatura esterna e, quindi, questi prodotti possono fornire ottime prestazioni in tutte le stagioni a patto, ovviamente, che la giornata offra una buona quantità di radiazione solare diretta. Indicativamente si può cucinare con il sole dalle 8 alle 18 nei giorni estivi e dalle 10 alle 14 in inverno. Ciò rappresenta un potenziale significativo compreso tra, secondo la propria località, 150 e 300 giorni all’anno.

Un ultimo elemento da notare è che questo tipo di cucina offre una totale autonomia energetica e, non producendo fiamme o fuoco, non è soggetta ad alcun tipo di restrizione in nessun luogo.

Scatole, tubi e parabole per una cucina ecologica

Il modello più noto e diffuso di forno solare è quello “a scatola”, normalmente realizzata in sughero e dotata di un coperchio di vetro.

I raggi del sole sono proiettati direttamente sul rivestimento metallico posizionato sul fondo della scatola. La temperatura all’interno della scatola, quindi, aumenterà gradualmente, mentre il vetro e il materiale isolante presenti nelle pareti impediranno la perdita di calore verso l‘esterno.

Un altro tipo di forno piuttosto comune è il modello “a tubo”, che ha un funzionamento simile a quello di un thermos, grazie a una parete a doppio vetro. Si tratta, in sostanza, dello stesso principio alla base dei collettori solari termici a tubi sottovuoto. Per inserire il cibo, è sufficiente far scorrere il cassetto tubolare nel tubo e mettere il cibo desiderato nel tubo prima di chiuderlo.

L’ultima tipologia, poi, è quella parabolica, costituita da un riflettore a forma di parabola le cui superfici lucide catturano i raggi del sole e li concentrano per rifletterli sul piatto e cuocere il cibo. Con questa tecnologia, che offre prodotti con un peso tra 3 e 10 kg, è possibile raggiungere temperature fino a 230 gradi in soli 10 minuti.

E una sfida ai francesi?

Torniamo alla nostra taverna solare a Marsiglia, un container marittimo recuperato e trasformato in cucina adatto, come visto, alla cottura solare.

Un presidio che impiega anche pannelli solari ibridi per produrre calore ed elettricità, che si propone di trasformare i rifiuti organici in loco per produrre biogas, che ha realizzato un edificio bioclimatico e che prevede spazi attorno al ristorante per effettuare test e sperimentazioni con aziende innovative del territorio.

La domanda, allora, sorge spontanea: non sarebbe possibile replicare questa iniziativa così innovativa e sostenibile in qualche ristorante italiano?

Non vorremmo mica perdere davvero questa sfida gastronomica con i cugini d’oltralpe?

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