Criptovalute ed energia, l’Islanda mette un freno al mining

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L'annuncio della premier Jakobsdóttir porta l'attenzione su un tema importante: nel mondo il consumo di energia dei centri dati è destinato a raddoppiare entro il 2026 e oltre metà dell’attività di Bitcoin è basata sulle rinnovabili.

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L’Islanda intende dare priorità alla sicurezza alimentare rispetto ai proventi generati dai centri dati di Bitcoin e altre criptovalute, e per fare ciò pensa che le ingenti energie rinnovabili di cui dispone debbano soddisfare soprattutto la domanda delle famiglie islandesi, invece che quella degli operatori di criptovalute.

Lo ha affermato la premier del Paese nordico, Katrín Jakobsdóttir, in un’intervista al Financial Times.

Le recenti proteste degli agricoltori in Europa e le interruzioni del commercio impongono all’Islanda di ridurre la sua dipendenza dalle importazioni, ha detto la premier.

“Non è esattamente facile essere un agricoltore in Islanda. I campi non sono proprio fantastici. Abbiamo ghiacciai che coprono gran parte del Paese. Ma è una parte importante della nostra strategia per la sicurezza in questo mondo”, ha spiegato Jakobsdóttir.

La preziosa elettricità rinnovabile dovrebbe essere riassegnata dai centri dati alle abitazioni e ad altre industrie, ha detto la prima ministra, affermando che la sua priorità è il fabbisogno energetico dei 375.000 cittadini islandesi.

Corrente a basso costo

La vasta presenza di impianti idroelettrici e geotermici dell’Islanda, prezzi dell’elettricità piuttosto bassi, sommati al suo clima freddo, che favorisce il raffreddamento dei calcolatori, ha reso il Paese una meta attraente per i centri dati di criptovalute.

Il prezzo al consumo della corrente è stato infatti di circa 0,15 €/kWh nel primo semestre del 2023, la metà rispetto alla media di 0,30 €/kWh per i consumatori dell’euro-area, secondo la Commissione europea.

Nonostante in Islanda sia installata in termini assoluti una potenza di calcolo molto bassa rispetto a quella di altri Paesi, la capacità rinnovabile a basso costo dell’isola e la sua piccola popolazione hanno reso questa Nazione nordica quella con la potenza di calcolo di Bitcoin (hashrate) pro capite maggiore al mondo.

Viste però le poche nuove centrali elettriche in costruzione in Islanda, il settore del “mining” di criptovalute non dovrebbe crescere nel Paese, secondo Hashrate Index. Ciò non sembra però rassicurare il governo islandese.

Più cibo, meno criptovalute

“I centri dati in Islanda utilizzano una quota significativa della nostra energia verde”, ha dichiarato la premier. Una nuova proposta per incrementare l’energia eolica darebbe “priorità” alle industrie verdi per raggiungere la neutralità di carbonio. “Bitcoin e criptovalute, che utilizzano molta della nostra energia, non fanno parte di questa missione“, ha dichiarato.

Secondo la società di ricerca Luxor, i centri dati di Bitcoin assorbono 120 MW di potenza elettrica in Islanda, più delle famiglie del Paese. Ma la carenza di elettricità durante l’inverno ha costretto gli impianti di lavorazione del pesce islandesi a ricorrere a generatori diesel per il loro fabbisogno energetico, cosa che Guðlaugur Þór Þórðarson, ministro dell’Ambiente islandese, ha definito “inaccettabile”.

I commenti della premier Jakobsdóttir giungono nel contesto delle preoccupazioni per la sicurezza alimentare in Europa, in una fase in cui i grandi esportatori di prodotti agricoli, come Francia e Olanda, stanno cercando di bilanciare la produzione agricola, responsabile di circa l’11% delle emissioni complessive dell’Unione, con la necessità di raggiungere i rigorosi obiettivi climatici dell’Ue.

L’Islanda, dove la scarsa luce del giorno e le temperature rigide rendono difficile le coltivazioni, sta introducendo un nuovo sistema di finanziamento delle aziende agricole per stimolare la produzione.

“Una delle cose che stiamo iniziando a fare è coltivare il mais in Islanda, cosa che non è stata fatta sistematicamente, anche se è possibile”, ha detto Jakobsdóttir al Financial Times.

L’Islanda produce la maggior parte dei prodotti animali che consuma, ma solo l’1% dei cereali e il 43% delle verdure. Secondo la Banca Mondiale, solo un quinto del territorio nazionale è utilizzato per la produzione agricola.

“È anche importante coltivare qualcosa da soli”, ha concluso Jakobsdóttir.

Centri dati affamati di energia

I centri dati sono una base fondamentale della digitalizzazione, insieme all’infrastruttura elettrica che li alimenta. La quantità sempre crescente di dati digitali richiede quindi l’espansione e l’evoluzione dei data center.

L’utilizzo di energia elettrica nei centri dati è destinato a raddoppiare entro il 2026, secondo un recente rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), che attribuisce la responsabilità della crescente domanda all’aumento dei carichi ad alta intensità energetica, come l’intelligenza artificiale (AI) e il mining di criptovalute.

Nel 2022, i centri dati hanno impiegato 460 TWh, pari al 2% del consumo mondiale di corrente, ha indicato la Iea.

“A seconda del ritmo di diffusione, della gamma di miglioramenti dell’efficienza e delle tendenze dell’intelligenza artificiale e delle criptovalute, prevediamo che il consumo globale di elettricità dei data center sarà compreso tra 620 e 1.050 TWh nel 2026, con il nostro scenario di base per la domanda di poco più di 800 TWh, in aumento rispetto ai 460 TWh del 2022”, hanno scritto gli autori del rapporto.

Panorama dei centri dati

Attualmente, esistono più di 8mila data center di tutti i tipi a livello globale, di cui circa il 33% negli Stati Uniti, il 16% in Europa e quasi il 10% in Cina, secondo la Iea.

La previsione dell’agenzia è che il consumo di elettricità dei centri dati negli Usa crescerà rapidamente nei prossimi anni, passando da circa 200 TWh nel 2022 (circa il 4% della domanda di elettricità degli Stati Uniti), a quasi 260 TWh nel 2026, per rappresentare il 6% della domanda totale di elettricità del Paese.

Nell’Unione Europea, il consumo di elettricità dei data center è stimato a poco meno di 100 TWh nel 2022, quasi il 4% della domanda totale di elettricità dell’Ue. Nel 2022 erano operativi in Europa circa 1.240 data center, la maggior parte dei quali concentrati nei centri finanziari di Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino.

Con un numero significativo di data center aggiuntivi in programma nei prossimi anni, la Iea stima che il consumo di elettricità nel settore raggiungerà quasi 150 TWh entro il 2026 nell’Unione Europea, pari a poco più del 5% del totale.

In Cina, invece, il consumo dei centri dati dovrebbe salire a 300 TWh entro il 2026, pari a poco meno del 3% del suo consumo elettrico complessivo.

La rapida integrazione dell’AI nella programmazione del software in diversi settori aumenta la domanda complessiva di elettricità dei data center. Strumenti di ricerca come Google potrebbero veder decuplicare il loro fabbisogno di elettricità nel caso di una completa implementazione dell’AI.

Confrontando la domanda media di elettricità di una tipica ricerca su Google (0,3 Wh di elettricità) con quella di ChatGPT di OpenAI (2,9 Wh per richiesta), e considerando 9 miliardi di ricerche al giorno, ciò richiederebbe quasi 10 TWh di elettricità aggiuntiva in un anno.

Entro il 2026, il settore dell’AI sarà cresciuto in modo esponenziale e consumerà almeno dieci volte la domanda del 2023, secondo la Iea

Per quanto riguarda le criptovalute, nel 2022, hanno consumato circa 110 TWh di elettricità, pari allo 0,4% della domanda annuale a livello globale.

Nel suo scenario base, la Iea stima che il consumo di elettricità delle criptovalute aumenterà di oltre il 40%, raggiungendo circa 160 TWh entro il 2026. Bitcoin dovrebbe avere consumato circa 120 TWh entro il 2023, contribuendo a una domanda totale di elettricità delle criptovalute di 130 TWh.

Da notare che, attualmente, il 54,6% della potenza di calcolo dei centri dati di Bitcoin a livello mondiale è alimentata da energie rinnovabili, secondo le stime di Daniel Batten, un ricercatore e investitore in società del settore. Un dato del genere renderebbe quello di Bitcoin uno dei comparti più sostenibili in assoluto nell’economia mondiale.

Bitcoin può aiutare la sicurezza alimentare islandese

Frattanto, in risposta anche all’intervista pubblicata dal Financial Times, c’è chi sottolinea una possibilità opposta a quella indicata dalla premier Jakobsdóttir, e cioè che i data center di Bitcoin o per l’intelligenza artificiale possano contribuire alla sicurezza alimentare della nazione nordica, così come di altre.

È quanto indica un articolo pubblicato da Forbes che riporta, per esempio, il caso di Bitcoin Brabant, una società olandese che utilizzando il calore di scarto generato dalla “estrazione” di bitcoin ottimizza l’uso di energia rinnovabile e fornisce, fra le altre, soluzioni convenienti di riscaldamento per serre dove coltivare prodotti alimentari, anche in climi freddi e inospitali come quello islandese.

“Questo approccio rappresenta un modello praticabile per l’Islanda, mostrando come l’integrazione dell’estrazione di bitcoin con le fonti di energia rinnovabile possa contribuire alla sostenibilità ambientale, supportando l’agricoltura locale e riducendo la dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari”, si legge nell’articolo di Forbes, secondo cui il mining di bitcoin e la sostenibilità alimentare sono obiettivi in sinergia che non si escludono a vicenda.

Calcolatori usati verso Africa e Sud America

Il calcolo e il raffreddamento delle apparecchiature assorbono ciascuno il 40% della corrente usata complessivamente in questi centri dati.

A meno di un mese dal dimezzamento della ricompensa per la pubblicazione di un blocco di transazioni di Bitcoin, si registra un’accelerazione della domanda di macchine più energeticamente efficienti per il mining, che possano compensare almeno in parte il dimezzamento dei ricavi.

Ciò vuol dire che centinaia di migliaia di vecchie macchine per il mining di Bitcoin, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti, saranno presto sostituite, ricondizionate e rivendute ad acquirenti d’oltreoceano che desiderano trarre profitto dal mining in località dove la corrente costa meno, secondo una recente analisi di Bloomberg.

Queste macchine, fra cui 600mila apparecchi ASIC (Application-Specific Integrated Circuit) della serie Bitmain Antminer s19 che costavano fino a 11.500 dollari l’una, stanno uscendo dagli Stati Uniti per dirigersi verso Paesi africani come l’Etiopia o il Sud America, dove l’energia è più economica e dove verranno vendute a soli 350 dollari l’una, secondo Bloomberg.

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