Negoziati sul clima: i tanti temi sul tavolo, le assenze pesanti e le aspettative limitate

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Il presidente Usa Biden sarà a Sharm el-Sheikh, ma non quelli di Cina e India, rappresentati dai loro ministri. Una lista lunga di questioni sul tappetto, difficile da dirimere, a partire dai danni climatici che colpiscono i paesi più poveri.

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Nel corso della 27a Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici o Cop27, fino al 18 novembre molti potenti della Terra si riuniranno a Sharm el-Sheikh per discutere cosa fare per contrastare la crisi climatica globale.

I temi sul tavolo sono molti, le attese forse un po’ meno, visti gli esiti insoddisfacenti delle azioni seguite ai pur storici impegni sottoscritti alla Cop21 di Parigi nel 2015, quando la comunità internazionale stabilì l’obiettivo di contenere il surriscaldamento ben al di sotto di 2 °C e preferibilmente attorno a 1,5 °C.

Uno dei Paesi che esemplifica meglio le questioni sul tavolo è il Pakistan. Oggi questo Paese contribuisce a meno dell’1% delle emissioni di combustibili fossili che causano il surriscaldamento planetario, ma quest’estate ha subito piogge e inondazioni devastanti che hanno sommerso un terzo del suo territorio e provocato danni stimati in 30 miliardi di dollari.

Chi paga i danni climatici? Come mantenere le promesse occidentali, finora disattese, di investire 100 miliardi di dollari l’anno per il clima nel sud del mondo? Come rendere più stringenti gli impegni per tagliare le emissioni di metano e gli obiettivi di decarbonizzazione?

Sono queste alcune delle principali questioni che le delegazioni torneranno ad affrontare, nella speranza di una loro più puntuale e tempestiva attuazione e di una maggiore coesione delle parti.

“Il Nord del mondo deve rendersi conto che si tratta di un problema globale che oggi sta colpendo in modo sproporzionato i Paesi in via di sviluppo, ma il suo impatto sta aumentando e si sta diffondendo”, ha dichiarato Munir Akram, il diplomatico pakistano che presiede il gruppo dei Paesi in via di sviluppo G77. “È l’ultima prova della razionalità umana per essere in grado di lavorare insieme nonostante tutte le differenze che abbiamo a livello politico”.

Sembra improbabile che la Cop 27 partorisca nuovi accordi di portata storica, anche se non è da escludere del tutto che aspettative minori rispetto al passato possano sortire qualche risultato positivo inatteso, come indicherebbe un primo esito positivo che descriveremo fra breve.

L’anno scorso, inoltre, l’India ha inaspettatamente fissato un obiettivo di emissioni nette pari a zero per il 2070. È però molto più probabile che quella di Sharm El Sheikh sia una Cop “di attuazione“, dove cioè si cercherà di smussare qualche asperità per una più piena concretizzazione degli impegni già presi in passato, e già non sarebbe poca cosa.

Assenze pesanti

Fra i leader dei tre Paesi che di gran lunga sono i maggiori emettitori del mondo, Cina, Stati Uniti e India, solo il presidente americano Joe Biden sarà presente a Sharm El Sheikh, mentre gli altri due saranno rappresentati dai loro ministri.

Quelle del presidente cinese Xi Jinping e del primo ministro indiano Narendra Modi sono assenze pesanti, che potrebbero forse mettere maggiormente in risalto le posizioni degli Usa, che con l’Inflation Reduction Act hanno da poco varato la loro più ambiziosa iniziativa climatica mai tentata.

Biden intende riaffermare così la credibilità degli Stati Uniti in materia di decarbonizzazione, sia per scrollarsi di dosso la pesante eredità anti-clima di Donald Trump che per contrastare il potere di persuasione della Cina nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, i più esposti ai cambiamenti climatici.

“La competizione geopolitica può essere utile… gli Stati Uniti che fanno di più possono indurre la Cina a fare di più”, ha sostenuto Alexandra Hackbarth, esperta di Cina presso il think tank sui cambiamenti climatici E3G, con sede a Washington (vedi Cina-Usa: perchè non è vera crisi e l’azione sul clima potrebbe non risentirne più di tanto).

Poiché, spesso, i presidenti di Paesi come gli Usa non si presentano a queste manifestazioni a mani vuote, è probabile che Biden porti delle risorse economiche per sostenere uno degli obiettivi principali della Cop27, come il finanziamento di iniziative di mitigazione e adattamento da parte dei Paesi in via di sviluppo più duramente colpiti dalla crisi del clima, ha dichiarato a Politico, Joanna Lewis, professoressa associata alla Georgetown University ed esperta di politiche climatiche.

Perdite e danni

Come detto, la Cop 27 ha già ottenuto un risultato, riguardante i modi in cui i Paesi ricchi potrebbero contribuire a pagare i danni causati altrove dal riscaldamento globale. Si tratta di un passo procedurale potenzialmente importante, perché permetterebbe alla diplomazia di discutere ufficialmente per la prima volta le cosiddette “perdite e danni“, argomento molto spinoso che finora non si era riusciti ad affrontare da posizioni e su basi condivise.

Dopo 48 ore di intensi colloqui, il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha dichiarato che i negoziatori sono arrivati ad un compromesso: la discussione si concentrerà su “cooperazione e facilitazione” e non su “responsabilità o risarcimento”. “L’inclusione di questo ordine del giorno riflette un senso di solidarietà e di empatia con le sofferenze delle vittime”, ha dichiarato Shoukry dopo aver assunto ieri la carica di presidente della Cop27.

Fonti rinnovabili

Le rinnovabili sono la spina dorsale della transizione energetica, ma delle 183 parti dell’Accordo di Parigi che hanno componenti di energia rinnovabile nei loro Impegni Nazionali Determinati (NDC), solo 143 hanno obiettivi quantificati. E solo 12 Paesi si sono impegnati a raggiungere una determinata percentuale di rinnovabili nel loro mix energetico complessivo.

Il livello collettivo di ambizione nella transizione energetica non è quindi ancora sufficiente, nonostante il Patto per il clima della precedente Cop di Glasgow preveda l’aggiornamento degli obiettivi al 2030 negli impegni nazionali. Vedremo se un numero maggiore di paesi deciderà di indicare degli obiettivi precisi.

“In un momento in cui abbiamo un disperato bisogno di una rapida implementazione, invito i leader mondiali a colmare urgentemente il divario nella diffusione delle rinnovabili, per perseguire la resilienza, la sicurezza energetica e le economie inclusive”, ha detto il Direttore generale dell’International Renewable Energy Agency (IRENA), Francesco La Camera.

Finanziamenti per il clima

I Paesi ricchi hanno ripetutamente disatteso l’impegno di offrire ai Paesi poveri 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima all’anno fino al 2025, un obiettivo di per sé già considerato largamente insufficiente. Se a valle della Cop27 i flussi di finanziamenti ai paesi più bisognosi aumenteranno a quella cifra, si potrà dire che è già stata un successo, almeno parziale.

Si deve lavorare non solo al mantenimento del vecchio impegno, ma anche alla definizione di un nuovo obiettivo di finanziamento per il clima per il periodo successivo al 2025, che potrebbe ammontare a migliaia di miliardi di dollari.

La mobilitazione di trilioni di dollari non sarà possibile senza il sostegno del settore privato, ma permangono forti dubbi sul suo impegno nei confronti del clima e sulla sua capacità o volontà di evitare il “greenwashing“, anche perché la crisi climatica e l’invasione russa dell’Ucraina hanno riattizzato l’interesse degli investimenti nei combustibili fossili, come stiamo assistendo in questi giorni anche in Italia.

Impegni sul metano

L’anno scorso, il Global Methane Pledge, un impegno a ridurre del 30% le emissioni di uno dei gas serra più potenti entro la fine del decennio, ha raccolto più di 120 firme.

Cina e India sono i principali assenti, ma c’è la possibilità che la prima annunci un suo piano di riduzione del metano durante la Cop27, ha indicato Bloomberg Green, secondo cui si sta lavorando per convincere altri grandi emettitori di metano come Algeria, Azerbaigian e Turkmenistan a sottoscrivere l’impegno.

Purtroppo, la sola firma non basta e potrebbe rappresentare un ennesimo caso di greenwashing e promesse disattese. Le emissioni di metano sono ancora in aumento, anche da parte di chi ha già firmato l’impegno.

Mercati del carbonio

Riguardo uno strumento ancora troppo frammentario e troppo poco utilizzato a livello globale, cioè i certificati di emissione, i negoziatori della Cop27 dovranno stabilire linee guida rigorose per garantire che i crediti utilizzati nel mercato globale della CO2 rappresentino riduzioni reali delle emissioni, in attesa che vengano imposte delle carbon tax efficaci, se mai saranno adottate.

Solo alcune regioni, come l’Ue, la California e da non molto tempo la Cina hanno dei mercati obbligatori e regolamentati per lo scambio dei certificati. Gli accordi attuali consentono lo scambio di vecchi crediti di carbonio che non necessariamente riducono le emissioni.

Carbone e una giusta transizione energetica

Le discussioni fra i Paesi più ricchi e quelli più poveri tendono spesso a mettere in secondo piano un gruppo di nazioni che è invece fondamentale per la transizione, e cioè quelli a medio reddito che dipendono ancora troppo dal carbone.

L’anno scorso, è stato annunciato un pacchetto da 8,5 miliardi di dollari per il Sudafrica, nel tentativo di rimediare a questa debolezza, sperando che Paesi donatori e il Sudafrica riusciranno a trovare un accordo su come spendere i fondi.

L’Indonesia potrebbe annunciare un Partenariato per la transizione energetica giusta assieme a donatori come gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Accordi simili con Vietnam e Senegal sono in programma entro la fine dell’anno, mentre un partenariato con l’India è previsto per il 2023.

Società civile

A differenza di molte altre Cop, che più o meno accoglievano dimostrazioni e proteste della società civile, in Egitto gli attivisti per il clima incontreranno difficoltà senza precedenti in un clima molto ostile creato dalle autorità egiziane. Molto probabilmente, eventuali manifestanti non riusciranno nemmeno a raggiungere il luogo dove si tengono i colloqui.

L’attivista egiziano-britannico Alaa Abd El-Fattah, attualmente in carcere, ha iniziato uno sciopero della fame lo scorso aprile, per protestare contro le violazioni dei diritti umani, e ha promesso di smettere di bere acqua a partire da ieri, primo giorno della Cop27. Sul fronte dei diritti umani, c’è da rlevare che Giorgia Meloni, in occasione della Cop27, è stato il primo premier italiano in visita ufficiale in Egitto dalla morte di Giulio Regeni.

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