La guerra di Putin in Ucraina sta avendo molteplici impatti sui mercati internazionali: tra questi, anche un aggravamento dei rincari per i prezzi di molte materie prime come alluminio, nickel, litio, palladio.
Quindi la crisi energetica rischia di superare i confini dei combustibili fossili e includere lo sviluppo delle fonti rinnovabili e della mobilità elettrica, quantomeno nel breve periodo.
Lo riferisce la Reuters, citando un analista di Benchmark Mineral Intelligence, Gregory Miller.
Il punto è che le forniture globali di alcune materie prime, indispensabili per la transizione energetica, erano già sotto pressione dopo due anni di pandemia e colli di bottiglia nei trasporti e nella logistica, con conseguenti aumenti dei costi.
Una recente analisi di Rystad Energy sottolinea che il boom della domanda di batterie potrebbe mettere in seria difficoltà le industrie da qui al 2030, perché il livello di offerta rischia di non riuscire a tenere il passo del mercato.
Il rincaro di alcuni materiali, quindi, potrebbe rallentare la discesa dei prezzi delle batterie, perfino farli risalire nel breve termine, posticipando il raggiungimento della parità di costo tra auto alla spina e modelli analoghi con motori termici.
Ricordiamo che lo scorso dicembre, BloombergNEF sottolineava che i prezzi delle batterie rischiavano di aumentare nel 2022 (si parlava di 135 $ per kWh in media vs 132 $/kWh nel 2021), invertendo così momentaneamente la tendenza pluriennale al ribasso, proprio a causa dei rincari delle materie prime.
E ciò potrebbe spostare di un paio di anni il momento in cui le batterie arriveranno a costare meno di 100 $/kWh, una soglia ritenuta fondamentale dai costruttori auto per poter vendere le vetture elettriche allo stesso prezzo di quelle benzina o diesel.
Nel 2022, per la prima volta, secondo Miller, potrebbe verificarsi un aumento su base annua del prezzo medio delle celle per le batterie al litio.
Intanto i prezzi del nickel, materia prima essenziale per la fabbricazione di batterie, si sono talmente impennati che il London Metal Exchange ha sospeso le contrattazioni per questa materia prima, che ha registrato un +250% in due giorni andando a sfondare 100.000 $ a tonnellata.
La Russia è il terzo produttore mondiale di questo metallo (7% circa del totale estratto nel globo) tramite la società mineraria Nornickel. Le incertezze sul conflitto ucraino e sulla possibilità che Mosca riduca le sue forniture, hanno contribuito a questa impennata dei prezzi.
Giovanni Brussato, sul blog della rivista Energia, scrive che “mentre solo il 10% del nichel mondiale attualmente finisce nella catena di approvvigionamento delle batterie, la crescita della domanda di veicoli elettrici dovrebbe trasformare il mercato. Bank of America prevede che saranno necessarie 690.000 tonnellate di nickel entro il 2025 […]. Questo rappresenta più della fornitura combinata di Russia e Filippine, che nel 2021 è stata di 620.000 tonnellate”.
Nornickel è anche il primo produttore mondiale di palladio (40% del totale) e il secondo di cobalto (4%); per quanto riguarda il cobalto, va ricordato che la Repubblica democratica del Congo estrae circa tre quarti di questo metallo, mentre la Cina detiene il monopolio della raffinazione del cobalto utilizzato nelle batterie.
Resta quindi da vedere se le sanzioni occidentali contro la Russia andranno a colpire, e in che misura, questi settori minerari. In tal caso, la risposta del Cremlino potrebbe essere un rafforzamento dei legami industriali e commerciali con la Cina, con il rischio di potenziare ancora di più il ruolo di Pechino nelle tecnologie necessarie alla transizione energetica green, penalizzando i paesi occidentali.