Coldiretti contro il fotovoltaico a terra perché “incompatibile con l’agricoltura”

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Il presidente dell'associazione, Ettore Prandini, torna a criticare le "speculazioni" degli impianti FV e il loro consumo di suolo. Ma i dati dicono altro.

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Il presunto eccessivo consumo di suolo del fotovoltaico e la sua incompatibilità con l’agricoltura ritorna al centro delle critiche di Coldiretti, quando sembrava che la posizione intransigente dell’organizzazione si fosse un po’ attenuata.

Secondo il suo presidente, Ettore Prandini, è “necessario salvaguardare le campagne per garantire la sovranità alimentare nazionale fermando le speculazioni e il consumo di suolo con impianti fotovoltaici a terra che sono incompatibili con l’attività agricola”.

La dichiarazione è riportata in una nota della stessa Coldiretti, citando un incontro di Prandini con il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.

La Coldiretti, ha precisato Prandini, “sostiene un modello di transizione energetica che vede le imprese agricole protagoniste, come ad esempio con le comunità energetiche, gli impianti solari sui tetti e l’agrivoltaico sostenibile e sospeso da terra, che consentono di integrare il reddito degli agricoltori con la produzione energetica rinnovabile, con una ricaduta positiva sulle colture e sul territorio”.

Per enrtare nel contesto, ricordiamo tuttavia che anche secondo Terna il problema della disponibilità del suolo non esiste da un punto di vista tecnico, perché in Italia ci sono 1,2 milioni di ettari di superficie agricola non utilizzata (si veda Quanto suolo consuma il fotovoltaico in Italia? Dati e ipotesi nel rapporto Ispra).

Inoltre, secondo le stime di Elettricità Futura, per sviluppare tutte le rinnovabili di cui si avrebbe bisogno in Italia al 2030 per decarbonizzare il mix elettrico, stando ai target del piano REPowerEU, si occuperebbe appena lo 0,3% del suolo nazionale (meno di un terzo del suolo occupato da piazzali e parcheggi) e solamente lo 0,6% della superficie agricola nazionale, e ciò solo nella teorica ipotesi di costruire gli impianti esclusivamente su aree agricole.

Infine, secondo Prandini, bisogna anche considerare “la produzione di crediti di carbonio da parte delle imprese agricole e la loro potenziale vendita ad altre aziende, in un’ottica di economia circolare e di sostenibilità del Paese”, perché il cosiddetto carbon farming è “un’altra voce di reddito potenziale per gli agricoltori che deve essere resa disponibili attraverso scelte amministrative chiare e semplici”.

Il carbon farming include una serie di azioni e buone pratiche volte ad aumentare lo stoccaggio della CO2 nei suoli e potrebbe essere inserito in un mercato specifico di crediti di carbonio, volto a certificare e remunerare la CO2 rimossa con queste pratiche.

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