Raggiungere la neutralità climatica nelle città è una sfida complessa. Per affrontarla molte amministrazioni, come quella di Cesena, puntano su progetti pilota, testando soluzioni innovative e replicabili.
In questo scenario, la progettazione europea svolge un ruolo strategico, poiché gran parte di questi progetti è finanziata attraverso fondi comunitari.
Ma cosa significa concretamente essere una “città a zero emissioni”? Esploreremo il caso di Cesena e, con l’aiuto di un esperto di finanza climatica applicata alla pianificazione territoriale, cercheremo di capire chi può supportare i comuni nel reperire fondi e come garantire continuità alle iniziative una volta terminato il finanziamento iniziale.
Cosa significa essere un Comune a zero emissioni?
Un comune climaticamente neutrale azzera o compensa le emissioni di gas serra, migliorando la qualità dell’aria, la salute pubblica e l’economia locale.
Ciò può avvenire attraverso la riduzione delle emissioni (efficienza energetica, mobilità sostenibile, rinnovabili), l’assorbimento del carbonio (aumento delle aree verdi, tutela delle foreste, pratiche agricole sostenibili) e la compensazione residua (riforestazione e tecnologie di cattura del carbonio).
L’implementazione di queste strategie su scala comunale richiede investimenti e pianificazione, motivo per cui alcuni comuni adottano un approccio graduale con progetti pilota finanziati da programmi europei.
Cesena e l’approccio per progetti pilota
Durante un recente webinar della Regione Emilia-Romagna, Giovanni Fini, Dirigente del Settore Tutela dell’Ambiente e del Territorio di Cesena, ha illustrato la strategia del comune verso la neutralità climatica.
Due sono, secondo Fini, le leve strategiche per raggiungere la neutralità climatica in città. In primo luogo abbiamo la partecipazione a reti nazionali e internazionali, che facilitano lo scambio di buone pratiche. Cesena ha infatti aderito al Patto il Sindaci e al Green City Network, strumenti utili anche a definire dei target di riduzione delle emissioni di CO2 e a monitorare i progressi.
La seconda leva è partecipare a progetti europei che offrono risorse per iniziative altrimenti difficili da realizzare. Non si tratta solo di una questione economica, ma anche di tempo: le amministrazioni locali, assorbite dalla gestione quotidiana, faticano a pianificare interventi strutturali.
In questo contesto, Cesena ha avviato un progetto pilota, concentrando attività e risorse di tre progetti europei – WeGenerate, Poseidon e C.Lever – in uno stesso quartiere. Le azioni, mirate alla riqualificazione urbana, permetteranno la creazione di un gemello digitale per simulazioni energetiche e microclimatiche, utile anche a valutare le prestazioni derivanti da futuri interventi.
Nonostante il recente aggiornamento degli strumenti di pianificazione — con il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, il “BiciPlan”, il Piano Urbano Generale e il Regolamento delle dotazioni ecologico ambientali — secondo Fini, manca ancora un Masterplan che definisca le priorità d’azione per la neutralità climatica urbana.
L’assenza di una strategia chiara fa sì che, di fronte a bandi regionali, nazionali o europei, anche ben strutturati, la città si trovi a chiedersi all’ultimo momento: “Quale intervento possiamo realizzare?”, invece di seguire un percorso già delineato.
Il ruolo della progettazione europea e della pianificazione territoriale
La progettazione europea è un elemento chiave per la realizzazione di questi progetti pilota.
Ne parliamo con Giacomo Cozzolino, esperto di finanza climatica e socio di Italian Climate Network, associazione nata per affrontare la crisi climatica e assicurare all’Italia un futuro sostenibile.
Cozzolino, chi è e di cosa si occupa un esperto di finanza climatica?
Si tratta di un professionista specializzato nella formulazione di strategie di finanziamento delle politiche climatiche, nella ricerca di finanziamenti e nella preparazione di progetti, inclusi quelli pilota, dedicati alla pianificazione territoriale “sostenibile”. Ha competenze nella stesura di proposte progettuali efficaci, mirate a ottenere fondi attraverso bandi di programmi comunitari o internazionali. Ad esempio, nel mio lavoro, mi occupo anche di progetti destinati ai Paesi in via di sviluppo.
Raggiungere la neutralità climatica in città è possibile?
Partiamo da un dato di contesto: stiamo entrando in una fase complessa, poiché il principale finanziatore di progetti e azioni climatiche, gli Stati Uniti, sta progressivamente riducendo il suo impegno negli accordi internazionali e potrebbe non rinnovare i fondi destinati al clima. Questo scenario richiede un impegno ancora maggiore, anche da parte dei comuni più piccoli. Uno sforzo che non si limita alla fase di attuazione dei progetti, ma deve proseguire anche dopo la loro conclusione, garantendo continuità ed efficacia alle azioni intraprese.
Come garantire la continuità dei progetti pilota dopo la fine del finanziamento?
Nei progetti europei e in quelli sostenuti da istituzioni finanziarie multilaterali, come il Green Climate Fund o il Global Environment Facility, è obbligatorio includere una sezione dedicata alla “sostenibilità”, nella fase di proposta progettuale. Questa sezione deve dimostrare che il progetto continuerà a generare risultati e impatti anche dopo la conclusione del finanziamento iniziale. I beneficiari dei fondi devono quindi prevedere risorse per garantire la prosecuzione delle attività, assicurando che i risultati ottenuti non si disperdano ma vengano consolidati e ampliati attraverso ulteriori iniziative e investimenti.
Potrebbe farci un esempio pratico?
Oltre a misure consolidate come l’efficienza energetica negli edifici, le rinnovabili e la mobilità sostenibile, le amministrazioni comunali per garantire la continuità dei progetti pilota possono adottare strategie basate sulla natura, le cosiddette Nature-Based Solutions. Tra queste rientrano la creazione e il potenziamento di aree verdi urbane, l’installazione di tetti e pareti verdi, quando compatibili con il contesto climatico e le caratteristiche edilizie, e una gestione sostenibile delle acque piovane per prevenire allagamenti e periodi di siccità. Un altro aspetto cruciale è la pianificazione territoriale.
In che modo le soluzioni naturali possono garantire continuità dei progetti pilota?
Faccio l’esempio più semplice: attraverso un progetto europeo una città riceve il finanziamento per adottare soluzioni basate sulla natura, come riforestazioni e imboschimenti. Un aspetto fondamentale è garantire la manutenzione di queste aree verdi dopo la chiusura del finanziamento, che contribuisce a preservare e amplificare gli effetti positivi delle iniziative realizzate. Nei Paesi sviluppati, le amministrazioni locali dispongono spesso delle competenze tecniche e operative necessarie per portare avanti i progetti in autonomia. Al contrario, nei Paesi in via di sviluppo, queste capacità sono più limitate e la continuità è spesso affidata a progetti successivi.
Anche i privati possono dare un contributo alla continuità dei pilota?
Affinché le politiche climatiche abbiano un impatto duraturo, il ruolo delle amministrazioni e dei decisori politici è cruciale, ma non sufficiente. La partecipazione di altri attori è fondamentale: cittadini, associazioni di quartiere e tematiche, così come il settore privato, dalle industrie alle aziende agricole, possono contribuire, ad esempio, mettendo a disposizione aree per il rimboschimento o investendo in iniziative di tutela ambientale.
Prima parlava dell’importanza della pianificazione territoriale. La nostra è adeguata agli obiettivi di neutralità climatica?
In Italia, da anni si discute della necessità di azzerare o ridurre drasticamente il consumo di suolo, ma nonostante le proposte di legge e le modifiche normative, manca ancora un intervento strutturale in tal senso. Le politiche regionali e locali, spesso limitate, si scontrano con l’interesse economico legato alla costruzione di nuove infrastrutture, che contribuiscono al Pil e allo sviluppo.
Tuttavia, un equilibrio più sostenibile potrebbe essere raggiunto concentrandosi sulla riqualificazione dell’esistente piuttosto che sulla costruzione di nuovi edifici, che comporta non solo un ulteriore consumo di suolo, ma anche elevate emissioni legate all’estrazione e alla lavorazione delle risorse naturali. Questa è una sfida particolarmente rilevante per l’Italia, dove esiste un vasto patrimonio edilizio inutilizzato e nonostante il calo demografico, si continua a costruire.
Come si potrebbe migliorare?
Oltre agli strumenti tradizionali di tutela, come i Piani Paesaggistici, la Rete Natura 2000, le normative vincolistiche e le aree protette, la pianificazione dovrebbe integrare meccanismi più flessibili che incentivino amministrazioni pubbliche e privati a preservare le aree non edificate. Questo potrebbe avvenire attraverso interventi di riqualificazione ambientale basati sulle Nature-Based Solutions, specialmente nelle aree agricole abbandonate o inutilizzate. È necessario un approccio più coraggioso da parte delle amministrazioni e della politica, spostando l’attenzione dalla mera valorizzazione economica dei terreni verso strategie di sostenibilità. Superare il modello tradizionale di pianificazione, che si concentra sul valore fondiario, significa promuovere interventi che generino benefici ambientali e sociali nel lungo periodo.
Tornando alle opportunità di finanziamento dei progetti pilota, come possono i comuni trovare esperti in euro-progettazione e finanza climatica?
Non esiste un albo ufficiale di questi esperti, ma i comuni possono affidarsi a professionisti con esperienza in questi settori. Per individuarli, è utile consultare reti professionali online, come LinkedIn, che permette di identificare consulenti specializzati. Partecipare ad attività di networking e a eventi legati a progetti europei già approvati è un altro modo efficace per raccogliere informazioni e conoscere direttamente esperti del settore. Infine, collaborare con organizzazioni attive nella progettazione europea, come Legambiente, può offrire ai comuni, soprattutto quelli più piccoli, l’opportunità di entrare in partenariati strutturati e accedere a bandi europei.
Quali sono i principali ostacoli alla neutralità climatica?
È la mancanza di visione a lungo termine nelle amministrazioni, spesso vincolate a cicli elettorali brevi. Inoltre, esistono barriere psicologiche, come la resistenza al cambiamento. Tuttavia, esempi passati, come il successo della raccolta differenziata, dimostrano che trasformazioni ambiziose sono possibili e anche necessarie per migliorarsi.
Alla luce di questa intervista, possiamo concludere che raggiungere la neutralità climatica non è un’utopia, ma un obiettivo ambizioso che richiede pianificazione, risorse e collaborazione tra amministrazioni, cittadini e settore privato. L’approccio per i progetti pilota, supportato dalla progettazione europea, può essere un metodo efficace per trasformare gradualmente le città in modelli di sostenibilità replicabili su scala più ampia.