Produrre energia da fonti rinnovabili ha un impatto multidimensionale a livello planetario molto ben sintetizzato in questo passaggio dell’editoriale di Aurelio Angelini in “Culture della sostenibilità – International journal of political ecology and environmental culture”, un numero monografico dedicato alle Comunità energetiche.
Le energie rinnovabili contribuiscono a mitigare e a contenere il cambiamento climatico, si rigenerano naturalmente nel tempo, riducono la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, promuovono l’indipendenza energetica e favoriscono la cooperazione pacifica tra i popoli e gli stati.
L’urgenza, meglio sarebbe parlare di ritardo, con cui siamo chiamati a raccogliere le sfide per traguardare gli obiettivi, le dinamiche di mercato, le risorse finanziarie in scadenza, la competizione tra i diversi attori, vecchi e nuovi, che si propongono per abilitare le CER, confliggono con i tempi lunghi e i costi che richiederebbe l’attivazione di una reale partecipazione dal basso.
I contributi di diversi ricercatori, a partire da casi di studio di CER attivate fin dal primo recepimento della direttiva europea che le ha introdotte, sono valido supporto per leggere tendenze e contraddizioni di questo nuovo strumento il cui obiettivo, non ultimo, è quello di promuovere un modello energetico più democratico, inclusivo, in grado di trainare lo sviluppo locale a partire dall’empowerment culturale ed economico delle persone che risiedono nelle aree coinvolte.
L’esempio della comunità energetica e solidale di Napoli Est
L’iniziativa, di cui si è molto parlato, si caratterizza per la sua collocazione in ambito urbano, il quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio, e per l’ambizione di coinvolgere le persone emarginate che qui risiedono. Da questa esperienza nasce la qualificazione di Solidale che ha introdotto le CER(S).
Le domande di ricerca su cui si è concentrato lo studio compreso nella monografia citata, a cura di Raffaella Monia Calia, Ivano Scotti, e Riccardo Zaccaria, si concentrano su tre punti:
- come e da chi è stato implementato il progetto di CER
- chi sono le persone coinvolte nella comunità energetica, come sono state coinvolte e quanto sono attive
- quali impatti (sociali), se presenti, ha generato sui membri della comunità locale e nel distretto
La ricerca, di tipo qualitativo, si è basata su interviste rivolte ai soggetti promotori dell’iniziativa, ad alcuni beneficiari, nonché ad attori esperti in questioni energetiche e associazioni presenti attive sul territorio.
Oltre a Fondazione con il Sud, che ha finanziato con 50.000 euro l’iniziativa, e Legambiente, che forte delle sue relazioni ha fornito un importante supporto e stimolo a questa esperienza, troviamo un’azienda di Napoli che ha progettato e installato l’impianto. L’animazione dell’iniziativa, invece, è stata curata dalla Fondazione Famiglia di Maria (FFM) oltre che da Legambiente.
Delle 18 famiglie coinvolte quando si è svolto lo studio, i ricercatori hanno potuto intervistare solo due donne invitate dalla Presidente della Fondazione Famiglia di Maria in rappresentanza dei rispettivi nuclei familiari.
La Presidente, scrivono i ricercatori, ha mostrato qualche reticenza per un contatto più articolato con le famiglie per non aumentare ulteriormente le aspettative delle famiglie già oggetto di una sovraesposizione mediatica e in parte insoddisfatte a causa delle lunghezze burocratiche che hanno consentito la liquidazione degli incentivi da parte del GSE solo a dicembre 2023 (la registrazione della CER risale a marzo 2021).
Nuove attenzioni a fronte di scarsi esiti – secondo la Presidente – avrebbero potuto infatti minare la fiducia nella credibilità del progetto e soprattutto nella FFM che da lunga data coordina delle attività nel quartiere e si è guadagnata la fiducia dei beneficiari. La ricerca si è infatti conclusa prima che le CER ricevesse gli incentivi.
La CER prevede di espandersi per coinvolgere in futuro 40 famiglie che potranno contare, secondo le previsioni, sulla possibilità di ridurre le proprie bollette di circa il 40-50% anno.
Il progetto è presentato in tutti gli eventi pubblici come un’iniziativa di successo, essendo stata in grado di coinvolgere persone socio-economicamente fragili grazie alla fiducia che questi ripongono nella FFM e alla rete di relazioni che ha collaborato alla riuscita del progetto. Inoltre, l’esperienza si porrebbe come esempio di come operare in aree complesse, come quelle delle periferie urbane.
La selezione dei partecipanti, oltre che condizionata da vincoli tecnici (la cabina secondaria), è avvenuta esclusivamente, tranne per un caso, tra i soggetti già beneficiari delle iniziative di FFM che ha voluto sperimentare un’innovazione socio-energetica in un distretto difficile, coinvolgendo famiglie a basso reddito.
Democratizzazione energetica. Obiettivo raggiunto?
Sebbene lodevole, al momento i promotori sembra stiano ancora lavorando per sviluppare l’iniziativa in modo compiuto, con l’obiettivo della partecipazione attiva dei suoi membri in senso più esteso.
Secondo quanto osservano i ricercatori, infatti, il processo decisionale è stato contenuto, almeno nelle fasi iniziali: la scelta relativa alle modalità di suddivisione dell’incentivo, ad esempio, è stata fondamentalmente decisa dalla FFM.
Scelta operata, e giustificata, considerando la supposta difficoltà dei beneficiari di poter gestire soluzioni più complesse come una divisione variabile in base alla composizione del nucleo familiare o alle necessità delle famiglie variabili nel tempo e la possibilità che questo schema potesse creare tensioni e incomprensioni.
Inoltre, nonostante la significativa copertura mediatica, dalle interviste emerge come l’iniziativa, durante il suo svolgimento, fosse conosciuta nel quartiere soprattutto dai soggetti associativi, mentre pochi abitanti ne avevano sentito parlare e poche persone erano in grado di spiegare cosa fosse una Comunità energetica.
“Emerge inoltre – spiega Ivano Scotti, co-autore della ricerca – come anche le iniziative volte a promuovere strategie utili a ridurre il consumo di energia rivolte ai partecipanti non abbiano avuto risultati concreti apprezzabili, se non di conoscenza del problema e una certa consapevolezza”.
“Queste evidenze – aggiunge – fanno riferimento a una fase non ancora matura dell’esperienza e le ragioni di questo scenario sono da ricercare certamente nella complessità del contesto sociale in cui opera, nel ridotto numero di soggetti coinvolti (si tratta tutto sommato di una delle prime esperienze in Italia) e anche di una ridotta comunicazione tra le associazioni impegnate sul territorio, cosa che, nel caso specifico, è anche comprensibile vista la natura dell’esperienza”.
C’è dunque un trade-off tra tensione verso l’obiettivo specifico, ossia la necessità di giungere in tempi brevi alla costituzione della CER, e una costruzione di vera partecipazione dal basso, che le esperienze già attive in Italia, pur nella loro specificità, ci consentono in parte di spiegare?
Cosa non ha funzionato?
Compatibilmente con la rilevata necessità di risolvere i problemi urgenti e verso cui si sono rivolti anche i promotori della CER di Napoli, secondo i ricercatori emerge l’opportunità di considerare attentamente cosa si trascura nella corsa e valutare se si tratti di questioni di minor conto.
Infatti, gli individui con scarse risorse socio-culturali rischiano di non essere adeguatamente coinvolti, attivati ed “educati” in queste iniziative, perdendo l’occasione per rafforzare la capacità del territorio di agire unitariamente e consapevolmente.
Inoltre, i soggetti coinvolti in contesti difficili sono selezionati sulla base di una appartenenza che potremmo dire pre-costituita (nel caso di Napoli nella rete di relazioni per i promotori e partecipazione alle attività di FFM per i beneficiari) e questo può spiegare la ridotta attività di comunicazione/educazione alle questioni energetiche che potrebbe spingere le persone sia ad aderire alle Comunità energetiche sia ad impegnarsi in modo attivo alla sperimentazione di processi di auto-governo e organizzazione di una CER.
Una sorta di partecipazione di club, quindi, che non agevola la partecipazione di altri soggetti, pubblici o del privato sociale, che potrebbero promuovere processi di apprendimento inclusivi e combattere l’esclusione dalla conoscenza.
Il calendario serrato, con le scadenze per ottenere i contributi del PNRR a marzo 2025 e accedere agli incentivi entro il 2027 o al raggiungimento dei 5 GW di potenza installata, sta condizionando tutti i percorsi di costituzione delle CER.
Come a Napoli, con le dovute differenze di contesto e di obiettivi, i promotori di CER potrebbero tendere a sottostimare o bypassare in toto l’ampliamento del processo di partecipazione e rimandare la revisione delle decisioni prese, ad esempio sulla distribuzione degli incentivi, a un momento successivo.
Tutto questo in nome di obiettivi pur legittimi: rispondere a un’urgenza sociale, ad esempio contenere la povertà energetica, e a una organizzativa, accedere agli incentivi e rispondere agli obiettivi nazionali.
“Resta ancora da capire però – conclude Scotti – come si evolveranno queste esperienze che, come a Napoli, operano in contesti complessi. Superato l’ostacolo burocratico e organizzativo, praticando l’esperienza delle CER, queste Comunità si riorienteranno verso dinamiche più inclusive, verso percorsi di attivazione delle potenzialità dei beneficiari? Se questo è lo scenario, come avverrà tutto ciò? Oppure si consoliderà una forma-CER che riproduce, pur su diversi piani, un “utente passivo”? Le ricerche stanno lavorando su questo e le esperienze in Italia non mancano”.