Centrale elettrica a biomasse: truffa sugli incentivi per 143 milioni

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Una società acquistava illegalmente legname e biomasse non tracciate e ubicate oltre i 70 km di distanza come richiesto dalla normativa di settore (“filiera corta”) accaparrandosi il massimo dell'incentivo previsto.

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Una operazione della Procura, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Pavia oggi ha eseguito 11 misure cautelari per una presunta frode da 143 milioni di euro ai danni dello Stato e dei contribuenti che riguardava l’importazione e l’uso di biomasse legnose in una centrale che non rispettavano i criteri di sostenibilità.

Secondo il comunicato della Procura di Pavia le ampie indagini, partite nel 2019, e i relativi recenti sequestri di asset del gruppo societario coinvolto, in diverse regioni italiane, riguardano una “organizzazione criminale” che dal 2012 avrebbe usufruito di incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili utilizzando come risorsa una biomassa non tracciata e non idonea in base alla legislazione.

Agli arresti domiciliari c’è anche Pietro Franco Tali, ex amministratore delegato di Saipem, che deteneva quote della società Biolevano, i cui vertici, a dispetto di quanto stabilito dal DM 6 luglio 2012, utilizzavano con frode biomasse legnose che non provenivano da un raggio di 70 km dalla centrale dove venivano bruciate, condizione essenziale per ricevere l’ingente incentivo.

Infatti, ricordiamo che l’articolo 8 del decreto ministeriale specificava che il Gse ha il compito di identificare, sulla base di quanto riportato nell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio dell’impianto e dichiarato dal produttore, come viene alimentato l’impianto stesso. In particolare, la produzione elettrica per usufruire della premialità richiedeva che la biomassa fosse tracciata; all’articolo 2 comma 1 lettera v) definisce le biomasse da filiera come:

…prodotta nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro, di cui gli articoli 9 e 10 del Decreto legislativo n. 102 del 2005, ovvero da filiera corta, vale a dire prodotta entro un raggio di 70 km dall’impianto di produzione dell’energia elettrica; la lunghezza del predetto raggio è misurata come la distanza in linea d’aria che intercorre tra l’impianto e i confini amministrativi del comune o dei comuni in cui ricade il luogo di produzione della biomassa”.

Tra le proprietà sequestrate ovviamente c’è anche la centrale elettrica del valore di circa 70 milioni di euro.

La Procura di Pavia, nella sua nota, spiega che la società, visti i notevoli incentivi, incassava dal Gse quasi tre volte la cifra relativa alla vendita di elettricità, sfruttando al massimo il sussidio.

La Biolevano aveva siglato, come da normativa, un accordo nel 2012 con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAF), che prevedeva, come detto, l’impegno di utilizzare esclusivamente legname tracciato, certificato e proveniente da zone limitrofe all’impianto (max 70 km).

Ma nella realtà, grazie ad una fitta rete di complici, i vertici aziendali acquistavano qualunque tipo di legname ovunque reperibile (a volte anche all’estero) al minor prezzo possibile.

“Assicuratasi la materia prima ad un prezzo nettamente inferiore ai propri competitors (dal 30 al 50% in meno) per far risultare il legname di provenienza locale e tracciato, ai vertici della Biolevano bastava falsificare le carte, cioè, falsificare i documenti di trasporto e le fatture”, si legge nella nota della Procura di Pavia.

È stato dimostrato, si chiarisce, come la centrale elettrica, appena raggiunto il pieno regime di funzionamento, abbia sistematicamente e illegalmente acquistato legname e biomasse non tracciate e ubicate ben oltre i 70 km di distanza previsti dalla normativa di settore, approvvigionandosi da fornitori non abilitati a certificare il prodotto, da aziende di trasformazione del legno non rientranti negli accordi quadro e da commercianti anche esteri.

Tra le centinaia di carichi attenzionati in fase di indagine i militari della Guardia di Finanza, a solo titolo esemplificativo, hanno accertato come parte del legname “falsamente tracciato e a km zero” provenisse dalla Svizzera e come, molti degli autisti di biomassa, viaggiassero persino con due documenti di trasporto: uno vero con provenienza non incentivabile che veniva distrutto non appena il carico arrivava nei pressi dell’impianto e uno falso redatto ad hoc che veniva conservato agli atti per dimostrare agli ispettori del ministero che tutto era regolare.

Probabilmente emergeranno ulteriori sviluppi in questa indagine che riguarda le attività societarie che vanno dal 2012 al 2019 e che coinvolge numerosi soggetti, non esclusi coloro che eseguivano le perizie agronomiche della biomassa.

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