Cemento, perché fa così male al clima e come “ripulirlo”

Con 2,8 mld di tonnellate di CO2 rilasciate ogni anno nell’atmosfera, l’industria cementiera è responsabile di una fetta considerevole delle emissioni inquinanti globali. Efficienza energetica, materiali innovativi, economia circolare: come potrebbe evolversi uno dei settori più difficili da de-carbonizzzare.

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L’industria mondiale del cemento inquina più di intere nazioni come la Cina e gli Stati Uniti, con circa 2,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica rilasciate nell’atmosfera in un anno (il dato si riferisce al 2015), pari all’8% delle emissioni totali.

Ecco perché il settore delle costruzioni dovrebbe cambiare pelle, cercando di utilizzare nuovi materiali più “sostenibili”, come evidenzia un approfondimento pubblicato da Carbon Brief, che a sua volta riprende un recente rapporto del centro studi inglese Chatham House (Making Concrete Change, allegato in basso).

Tuttavia, è molto difficile ridurre l’impatto ambientale del cemento, per una serie di ragioni.

Innanzi tutto, circa metà delle emissioni proviene dalla reazione chimica (calcinazione) necessaria alla fabbricazione del clinker, uno dei suoi principali componenti; di conseguenza, l’unico modo per diminuire queste emissioni “di processo”, è sostituire almeno in parte il clinker con “ingredienti” diversi.

Il cemento, poi, è mischiato con acqua, sabbia e ghiaia per realizzare il calcestruzzo, il materiale in assoluto più utilizzato al mondo per le costruzioni (oltre 10 miliardi di tonnellate l’anno).

E con il previsto boom dell’edilizia nei prossimi anni, legato all’espansione delle aree urbane in molti paesi soprattutto asiatici, la produzione di cemento dovrebbe aumentare del 25% al 2030 in confronto ai livelli odierni, passando così da 4 a 5 miliardi di tonnellate/anno.

Per tagliare le emissioni di CO2 del settore cementiero, si legge nell’analisi di Carbon Brief, si può partire dal tipo di combustibile impiegato per riscaldare ad altissime temperature i forni (kilns) in cui avviene il processo di calcinazione, cercando per esempio di rimpiazzare il carbone con fonti alternative, come le biomasse e i rifiuti.

Inoltre, si può migliorare l’efficienza energetica dei forni.

Ma come ridurre quel 50% di emissioni che deriva dalla calcinazione?

Si può provare a diminuire la percentuale di clinker nel cemento, ma è una strada percorribile solo per alcuni tipi di applicazioni, poiché l’uso di materiali differenti, ricavati ad esempio dagli scarti di lavorazione di altri settori industriali, può alterare le caratteristiche del cemento.

Alcune aziende stanno sviluppando cementi basati su materiali sintetici (geo polimeri) o capaci di assorbire la CO2. Addirittura, in alcuni casi, di assorbire più anidride carbonica rispetto a quella emessa nel processo industriale, diventando così “carbon negative”.

Tuttavia, la maggior parte di queste soluzioni non è riuscita a raggiungere la piena maturità, essendo frenata da barriere soprattutto economiche, come la mancanza di finanziamenti necessari a commercializzare su vasta scala i cementi innovativi.

Il problema, poi, è che si tratta di tecnologie con una storia troppo breve, al contrario del classico cemento Portland utilizzato fin dall’800 in un’industria che tende a essere molto conservativa e a mettere al primo posto la sicurezza-affidabilità di materiali ampiamente testati.

Anche l’impiego di sistemi CCS (Carbon Capture and Storage) per catturare le emissioni di CO2 degli impianti industriali, al momento, non sembra una soluzione valida e praticabile in tempi brevi, a causa delle numerose incognite sui costi e sull’efficacia di tali sistemi (vedi anche QualEnergia.it).

Di conseguenza, il cemento è uno dei settori considerati più difficili da de-carbonizzare: per limitare il suo impatto ambientale, termina Carbon Brief, si dovrà necessariamente puntare anche sui metodi di economia circolare, che prevedono, ad esempio, il riciclo-riuso dei materiali e la progettazione di edifici più leggeri, duraturi ed efficienti grazie alle tecniche di bio-edilizia.

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