L’atomo stagionato

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I filonuclearisti parlano di nuove tecnologie per i reattori, ma a livello pratico si tratta di sistemi che hanno oltre quarant’anni.

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Il nucleare è nuovo. Arrivano i reattori di quarta generazione. Dopo la fissione arriva la fusione.

Sono solo alcuni dei concetti che troviamo oggi sulle prime pagine dei giornali come “soluzioni” alla crisi energetica, con alcuni “condimenti” che rasentano il ridicolo.

Come l’alleanza tra rinnovabili e atomo che resta un autentico ossimoro – purtroppo ora non più sul piano legislativo, in virtù del suo inserimento insieme al gas, con il Governo francese che suonava la carica, nella tassonomia “verde” della UE.

È tale il “diluvio” di notizie atomiche a supporto di un “rinascimento nucleare”, che ci ha solleticato la memoria, ci ha fatto salire in soffitta a ricercare una vecchia copia del “Bollettino” QualEnergia – così si chiamava l’“organo” del Movimento antinucleare – datata marzo aprile 1979.

Quarantatré anni fa! In essa avevamo pubblicato, all’indomani dell’incidente di Three Miles Island ad Harrisburg, una serie di schede informative sulla fissione nucleare, in sette paginette.

E parlavamo del nucleare, che anche allora era considerata, a maggior ragione peraltro, una “nuova” fonte d’energia; e, con positivistico entusiasmo, il fuoco di Prometeo per il bene dell’umanità. Pagine destinate a essere confinate nel limbo di quella storia, troppo recente per essere scritta e troppo vecchia per essere ricordata perché superata? No.

Soffiando la polvere dalla carta ormai ingiallita, come lo sarà anche quella dei progetti dei reattori nucleari, ci siamo accorti che il “nuovo nucleare”, riproposto come soluzione dei mali energetici del Pianeta, tanto nuovo non è. Anzi, è proprio vecchio come il cucco.

Vediamo alcune schede, ma promettiamo che l’abc del nucleare avrà spazio, nel corpo della rivista, nel prossimo numero. Nella prima scheda del “Bollettino”, oltre ai rudimenti di Fisica nucleare, si parlava di reattori autofertilizzanti.

Reattori autofertilizzanti (o breeders). Il breeding

«Il processo di conversione prende allora il nome di breeding (letteralmente: allevamento) e ha una grande importanza economica perché permette, almeno in teoria, di “bruciare” integralmente l’uranio naturale – non solo, dunque, l’uranio 235 in esso contenuto solo per lo 0,7% ma anche l’uranio 238 – moltiplicando (in teoria per 140 volte) l’energia che se ne può ricavare e, di conseguenza, dilatando la capacità delle riserve di uranio naturale. È realizzabile il breeding?

Alcuni tipi di reattori, detti appunto autofertilizzanti (o breeders), sono oggi in fase di messa a punto: si tratta ancora di impianti a livello dimostrativo, anche se possono raggiungere elevata potenza (come SuperPhénix – 1.200 MWe – il reattore di cui è stata avviata la realizzazione in Francia, nel quadro di un’impresa franco-italo-tedesca). La tecnica prevalente per realizzare il breeding è quella di usare, invece dei neutroni rallentati – come nei reattori provati, in cui vi è il moderatore (acqua o acqua bollente) – i neutroni veloci, giacché si può vedere che in tal caso, anche se la fissione è più difficile, cresce il rapporto di conversione».

Questo è ciò che scrivevamo nel 1979 sul SuperPhénix che, nonostante la “grandeur” d’Oltralpe – ai francesi è sempre piaciuto il “tutto nucleare”, elettricità e armi atomiche in un sol colpo, come si conviene a una potenza imperiale –, non ha mai funzionato a pieno.

E verso la fine degli anni ‘90 del secolo scorso è stato abbandonato anche come reattore sperimentale. Al modico costo totale di 12 miliardi di euro.

Diamo allora un’occhiata a quelli che, invece, erano allora i tipi di reattori più diffusi al mondo. Sempre dal 1° numero del “Bollettino” ricaviamo:

Reattori provati

«Tra i reattori oggi in uso commerciale – detti anche reattori provati – si distinguono tre filiere fondamentali coperte da diverse licenze (le più diffuse di provenienza Usa), basate sostanzialmente su due tecnologie:

LWR – La LWR (light water reactor) a uranio arricchito con reattore moderato ad acqua leggera (cioè naturale);

HWR – La HWR (heavy water reactor) a uranio naturale con reattore moderato ad acqua pesante in pressione.

Nei reattori LWR si distinguono due filiere:

La filiera BWR – Il tipo BWR (boiling water reactor), acqua bollente (licenza Generai Electric, Usa), in cui l’acqua refrigerante si trasforma direttamente in vapore che viene inviato in turbina.

La filiera PWR – Il tipo PWR (pressurized water reactor), acqua in pressione (licenze Westinghouse, Babcock-Wilcox e Combustion Engineering), in cui l’acqua di raffreddamento non entra in ebollizione appunto perché sottoposto a pressione, ma cede il suo calore, attraverso uno scambiatore, a un circuito secondario dove si genera il vapore.

La filiera HWR – I reattori moderati ad acqua pesante in pressione costituiscono la filiera dei reattori CANDU (Canadian Deuterium – Uranium) sviluppati in Canada dalla Commissione atomica canadese Aecl (Atomic Energy Commission Ltd.). Come si è detto, non necessitano di arricchimento dell’uranio naturale.

Al 1° gennaio 1977 si avevano nel mondo le seguenti percentuali di installazioni (% potenza installata): PWR 37%; BWR 27%; CANDU 4,6%».

Attesa la loro marginalità non venivano elencati i pochi reattori raffreddati a gas e moderati dalla grafite, come quello di Latina, oggi ormai in via di decommissioning. E gli RBMK, come quello di Chernobyl, raffreddati ad acqua e moderati dalla grafite, stavano allora muovendo i primi passi nella sola URSS. Novità di oggi sulle filiere? Zero carbonella, come si dice a Roma.

Si è consolidato il dominio nel mondo dei PWR, con oltre 150 reattori tenendo conto anche della ventina di VVER di stampo sovietico. Gli stessi reattori III+, la “terza generazione avanzata”, cioè l’EPR francese, dell’industria di stato AREVA, e lo APWR della Westinghouse- Mitsubushi, sono dei reattori ad acqua pressurizzata, dei PWR.

Si, qualche miglioramento, ma puramente ingegneristico, che non risolve i problemi di sempre. Allora, il comportamento dei nuclearisti nostrani attuale richiama un po’ quello di un venditore d’automobili che, mentre è in atto l’elettrificazione generale della mobilità a colpi di rinnovabili, offre, decantandone fascino e funzionalità tecniche d’avanguardia, una splendida Fiat 127, colore metallizzato e con trattamento antiruggine.

E poi le scorie. La litania dei nuclearisti è che non saranno – attenzione al futuro – un problema perché la “Scienza”, ovviamente quella con la S maiuscola, risolverà “a breve” la questione.

Servono solo depositi per le scorie per due o trecento anni massimo, perché s’arriverà a far decadere la radioattività in maniera accelerata e sicura; e, magari, con scorie più abbordabili e tecnologicamente condizionate ci si potranno realizzare giocattoli per neonati.

Educandoli così ai princìpi dell’economia circolare. Ecco cosa diceva in proposito il “Bollettino”.

Periodo

«Il periodo (di dimezzamento) di un corpo radioattivo è il tempo necessario perché la metà dei nuclei presenti in un campione di questo corpo si sia disintegrata: questo periodo caratterizza ogni corpo radioattivo. Bisogna attendere 10 periodi perché il numero di nuclei radioattivi inizialmente presenti sia ridotto a un millesimo. Poiché il periodo del Plutonio è di 24.400 anni, bisogna attendere 244 mila anni perché la sua attività sia ridotta a un millesimo».

Ebbene: in 43 anni (il 14% di 300 anni) il perfido Plutonio, peggio di Teruo Nakamura, il soldato giapponese che s’arrese 29 anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, il proprio periodo di dimezzamento lo ha mantenuto a 24mila anni.

In 43 anni, se il tempo di dimezzamento del Plutonio non può cambiare, ci si aspetterebbe, però, qualche miglioramento sul fronte dell’efficienza dei reattori, della “macchina” nucleare.

E sì, perché nello stesso periodo le umili lampadine hanno ridotto il consumo del 90%, gli altrettanto umili frigoriferi del 70%, mentre l’efficienza nella conversione dei pannelli fotovoltaici è passata dal 12 al 22%.

E il nucleare? Un altro soffio alla polvere caduta sul “Bollettino” ed ecco che cosa scrivevamo.

Rendimento energetico

«Il rendimento energetico dei reattori ad acqua non supera il 33%. Ciò significa che, per ottenere una potenza elettrica di 1.000 MW è necessaria una potenza termica dell’ordine di 3000 MW: una centrale da 1.000 MWe libera, dunque, al suo esterno – sostanzialmente attraverso le acque di raffreddamento – 2.000 MW di potenza. Nei reattori sin qui descritti, che funzionano a neutroni rallentati, il combustibile fissile (235U) si esaurisce quando ancora il più dell’uranio fertile (238U) non si è trasformato in plutonio.

Particolarmente importante è il caso in cui si riesca a realizzare un rapporto di conversione C maggiore di 1, in questo caso il reattore produce per conversione più atomi fissili di quanti ne consumi».

Qualche cambiamento nella resa dei reattori? No, lasciando perdere i “breeders”, peraltro una piccolissima frazione del parco nucleo elettrico mondiale in esercizio, la termodinamica del “pentolone” – caldaia, reattore, sistemi di alimentazione e di raffreddamento – è rimasta sostanzialmente la stessa. E del resto, perché sarebbe dovuta cambiare in assenza di significative innovazioni tecnologiche?

Per esempio, un reattore a sicurezza intrinseca (chi era costei?) riesce a garantirla proprio in virtù di una termodinamica così diversa da dotare il reattore di un “autocontrollo” dei processi di fissione, in modo che non vadano “fuori mano”.

Il progetto PIUS (1987), della società svizzero-svedese Asea Brown Boveri, a questo mirava, peccato che sia rimasto oggetto, a tutt’oggi, solo di letteratura scientifica.

Analoga sorte è toccata, qui in Italia, al progetto MARS, un reattore a sicurezza intrinseca proposto da quel galantuomo di Maurizio Cumo, all’epoca ordinario di impianti nucleari a Ingegneria (Roma, “La Sapienza”).

E per finire una news. Dopotutto cosa sono 43 di fronte ai 24mila del periodo di dimezzamento del Plutonio.

QualEnergia dell’epoca aveva anche lo scopo di fare informazione, in un’epoca nella quale Internet si chiama ArpaNet ed era a uso esclusivo dei militari. Eccola.

Il paradosso: pericolose, vecchie e superate

«‘Le centrali nucleari hanno fatto il loro tempo’, aveva dichiarato (prima di Harrisburg N.d.R.) John F. Oleary, sottosegretario all’energia dell’amministrazione Carter.

‘Gli Stati Uniti devono scoprire e sviluppare nuove risorse per mantenere il consolidato modello di crescita economica ininterrotta. Ormai le quattro principali fonti energetiche – petrolio, gas naturale, carbone e nucleare – sono prossime all’obsolescenza. La loro parabola è segnata, anche se potranno mantenere lo status quo ancora per un certo periodo di tempo. In questi ultimi anni l’industria elettrica ha collocato ben pochi ordinativi nel settore nucleare, mentre alcuni impianti già commissionati sono stati addirittura cancellati o sospesi. Ciò si deve soprattutto agli elevati costi di costruzione delle centrali, alla recessione economica e alla scarsità della domanda. Salvo un’inversione di tendenza, l’energia nucleare non sarà più un settore in espansione per molto tempo, forse per sempre’. [“International Daily News”, 27 febbraio 1979].

Correva l’anno 1979, nel quale viene commercializzato da Sony il Walkman, Elton John è la prima pop star a suonare in URSS, viene sconfitto definitivamente, grazie al vaccino, il vaiolo e l’amministrazione Usa annuncia il requiem per il nucleare che a 43 anni di distanza qualcuno chiama ancora “innovativo”.

Questa prima panoramica è solo un “assaggio”. Dal prossimo numero della rivista le “lezioni di Fisica nucleare” del “Bollettino”, come quelle che studiarono e impararono le casalinghe di Montalto, i contadini del Vercellese o della Bassa Padana, i simpatizzanti e i militanti del Movimento.

Con un po’ di studio, certo, ma con una volontà vincente.

 

L’articolo è stato pubblicato sul n.5/2022 (nov-dic) della rivista bimestrale QualEnergia.

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