A volte ritornano… le batterie Zebra, al sodio-nickel

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Una trasmissione televisiva la presenta come la "batteria perfetta" e l'azienda italiana che la distribuisce viene sommersa di richieste. Ne spieghiamo il funzionamento, i pregi e i difetti.

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Una cosa la transizione energetica ce la sta insegnando: non esiste la fonte energetica perfetta e tanto meno il sistema di accumulo perfetto.

Tutti hanno lati positivi e negativi. E la scelta che ogni Stato e individuo deve fare è di individuare il mix di difetti e pregi che meglio si adatta agli obbiettivi che vuole conseguire.

Parlando di accumulatori, per esempio, quelli al litio sono imbattibili per densità energetica, ma scarsi sul lato costi, elementi rari, riciclabilità e sicurezza, quelli al piombo costano poco, ma durano anche meno, e così via.

Però qualche settimana fa, seguendo un famoso programma televisivo di “denuncia” su Italia 1, che in quell’occasione parlava di transizione energetica e sistemi di accumulo, milioni di persone sono venute a sapere che in Italia esisterebbe il produttore di un nuovo tipo di batteria “perfetta”: accumulatori al sale da cucina, economici, quasi eterni, super performanti, con densità energetica pari al litio e così via lodando, tanto che qualcuno si domandava alla fine del servizio perché diavolo queste batterie non avessero già sostituito tutte le altre al mondo.

Complotto dei poteri forti? No, eccessiva semplificazione da parte degli autori di quel programma, che nell’enfasi di dimostrare al mondo che la soluzione a tutti i problemi della transizione esiste già, hanno sorvolato sugli immancabili punti deboli di quella tecnologia.

Nel frattempo però la società produttrice di quel dispositivo, la UNE (Universal Natural Energy) di Correggio in Emilia Romagna, è stata investita da uno tsunami di richieste, che gli ha impallato centralini e server email, da parte di giornalisti, curiosi e potenziali clienti che vogliono saperne di più.

“In realtà noi non produciamo batterie”, ci spiega subito Alessandro Crotti, responsabile commerciale dell’UNE. “Le importiamo dalla FZ Sonic, una società svizzera fondata da persone fuoriuscite dalla Fiamm quando questa ha abbandonato la filiera della batteria Zebra; hanno portato quella tecnologia oltre le Alpi per creare dispositivi di accumulo da usare in casi molto specialistici, come alimentare gli impianti di telecomunicazione” (foto in altro della fabbrica).

Quindi non si tratta di batterie “al sale da cucina”, ma di una vecchia conoscenza, le Zebra inventate nel 1985 in Sudafrica, e per qualche anno presentate come una possibile alternativa a quelle al litio, prima che quest’ultime, con il calo di costi e il miglioramento della tecnologia, le “seppellissero”.

Le Zebra usano come elementi ossido-riduttivi sodio e nickel, entrambi sotto forma di cloruri, separati da una membrana ceramica che fa passare i loro ioni, ma non gli elettroni, che devono quindi seguire il circuito elettrico esterno alla batteria, durante la sua carica o scarica.

“L’idea del fondatore della UNE, Giuliano Scaltriti, nel 2010 è stata di usare quella tecnologia per applicarla a un campo che già allora si intuiva sarebbe prima o poi esploso: quello in edifici alimentati da fonti rinnovabili intermittenti”, ci spiega Crotti.

“Nel 2012 – continua – avevamo già pronti sistemi per l’offgrid, mentre continuavamo a lavorare sull’elettronica di controllo dedicata all’uso domestico con connessione di rete. Un compito tutt’altro che facile, visto che solo nel 2018 abbiamo lanciato sul mercato il nostro sistema ZHERO da 6 kW, per 10 o 20 kWh di capacità, con inverter integrato così da poter essere immediatamente collegato a qualsiasi impianto fotovoltaico o eolico».

In effetti la tecnologia Zebra rispetto al litio presenta diversi vantaggi, ci elenca il rappresentante di UNE.

“Usa materiali comuni e riciclabili al 100%, con il nickel che costituisce meno del 10% degli elettroliti, è assolutamente sicura, ha una densità di energia vicina a quella del litio, non soffre di ‘effetto memoria’, si può riparare e ha una durata intorno ai 20 anni, dopo i quali in genere va cambiata, non perché abbia perso capacità, ma in genere per qualche guasto meccanico non riparabile. La sua robustezza è dimostrata dal fatto che abbiamo installato un sistema offgrid ad alimentazione solare per un mercato del Burundi, e sono sette anni che funziona perfettamente, senza alcun intervento”.

E in effetti l’applicazione dei sistemi ZHERO di maggior successo è stata finora proprio quella di rendere autonomi edifici in luoghi difficili da raggiungere per controlli e riparazioni, come per esempio i rifugi montani.

Però la batteria Zebra ha anche due grossi svantaggi rispetto al litio, uno rimediabile, perché di tipo economico-produttivo, l’altro meno risolvibile, perché intrinseco alla tecnologia.

“I nostri sistemi costano circa il 30% di più di quelli al litio a parità di prestazioni. Ma questo non dipende dai maggiori costi della tecnologia, che anzi, in teoria, dovrebbe essere più economica, ma solo dal fatto che i nostri volumi di produzione sono piccolissimi comparati a quelli ormai enormi delle batterie al litio. Aumentando la scala della produzione, il prezzo degli accumulatori sodio-nickel crollerebbe”, dice responsabile commerciale della UNE.

Ma per ottenere volumi di vendita comparabili a quelli della tecnologia rivale, bisognerebbe risolvere il secondo punto debole, su cui la trasmissione TV che le ha “scoperte” ha sorvolato: le batterie Zebra per funzionare devono essere tenute a 255 °C, perché solo così i cloruri dei suoi elettroliti fondono, rendendo possibile il movimento degli ioni. E doverle mantenere a quella temperatura “succhia” un bel po’ dell’energia stoccata.

“In realtà il grosso del consumo di elettricità per il riscaldamento, va a quello iniziale che richiede 10 ore, poi l’ottimo isolamento termico del dispositivo fa sì che lo stato liquido sia mantenuto soprattutto dal calore che si genera dalla carica e scarica dell’accumulatore, oltre a qualche decina di watt di fornitura elettrica alla resistenza incorporata”.

Anche così, però, a secondo dell’uso che se ne fa (meno si fa lavorare e peggio è), un impianto ZHERO da 10 kWh assorbe fra i 300 e i 1000 kWh l’anno per mantenersi in temperatura.

È per questo che le Zebra sono difficili da usare nell’automotive: ogni volta che il veicolo resta in sosta per periodi prolungati senza essere collegato a una presa, rischia di esaurire la batteria proprio per mantenerla in temperatura.

Nell’uso domestico, però, basta aumentare l’impianto FV anche solo di 0,5 kW, per avere tutta l’energia che serve per mantenere a temperatura la batteria”, replica Crotti.

Ammesso, però, che la necessità di riscaldamento dell’accumulatore coincida sempre con i periodi di sole sul tetto, altrimenti l’elettricità va presa o dalla rete oppure dall’accumulatore stesso.

“Comunque stiamo facendo ricerca su come ridurre questo assorbimento di elettricità agendo, per esempio, sulla chimica degli elettroliti, e a questo proposito ogni offerta di collaborazione da parte di enti di ricerca, sarebbe molto gradita. I primi risultati da noi ottenuti sono già promettenti, e credo che presto annunceremo prodotti migliorati da questo punto di vista, forse così buoni da poter riprendere in considerazione l’uso nelle auto”.

Nel frattempo, UNE è stata sommersa da 10mila richieste di suoi prodotti, a fronte di una produzione annua che può arrivare, per ora, solo a poche centinaia di pezzi l’anno.

“Tuttavia riusciamo ancora a soddisfare le richieste entro i 45 giorni dall’ordine. Dal 2023 faremo ogni sforzo possibile per portare la produzione ad almeno 1000 pezzi annui. Vorremmo allargarci anche a sistemi di media e grande potenza per le imprese e per la nautica: in quei casi il litio richiede l’adozione di sistemi antincendio il cui costo probabilmente colma il gap di prezzo con le nostre batterie, che non ne richiedono nessuno”, conclude Crotti.

Le batterie UNE, insomma, non saranno “l’accumulatore perfetto” presentato in TV, ma hanno tante caratteristiche interessanti (e alcuni difetti migliorabili).

Non si può che augurare loro, nel desertico panorama italiano della produzione di sistemi di accumulo, di trovare la strada del successo.

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