Cementifici, acciaierie, cartiere, stabilimenti petrolchimici, raffinerie: queste e altre aziende “energivore” in Europa sono incentivate a diffondere sostanze inquinanti, anziché contribuire a tagliare le emissioni di CO2, che difatti, dopo alcuni anni, sono tornate a salire in vari comparti industriali.
Nel suo nuovo rapporto, European Fat Cats (documento completo allegato in fondo all’articolo), l’organizzazione indipendente Climate Action Network Europe esamina le cause dell’effetto-boomerang che sta rovinando il sistema EU-ETS (Emissions trading scheme).
Lo schema, ricordiamo in sintesi, coinvolge circa 12.000 imprese dei 28 Stati membri che consumano moltissima energia e perciò hanno un notevole impatto ambientale: centrali termoelettriche, industrie manifatturiere, compagnie aeree.
L’ETS è un mercato continentale della CO2 di tipo cap-and-trade, perché prevede un tetto annuale per l’anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera da ciascun partecipante (un permesso/credito equivale a una tonnellata di CO2), nell’ambito però di molteplici esenzioni e agevolazioni che si sono tradotte in profitti multimiliardari inaspettati per un bel numero di aziende.
In pratica, le emissioni nocive sono diventate un mezzo per guadagnare di più. Com’è possibile?
Per prima cosa, grazie all’enorme quantità di permessi gratuiti concessi da Bruxelles alle industrie energivore, spesso con il pretesto di tutelare la loro competitività ed evitare il cosiddetto “carbon leakage”, cioè lo spostamento delle attività produttive in paesi esteri con minori vincoli ambientali.
Tuttavia, il documento precisa che il rischio di carbon leakage è un “mito pervasivo” con fondamenta sempre più risicate, dal momento che la stessa Cina, ad esempio, ha lanciato una prima versione ridotta di un mercato nazionale dell’anidride carbonica, sulla falsariga dell’ETS europeo, con cui colpire i soggetti maggiormente responsabili dell’inquinamento atmosferico, quindi sarà sempre meno conveniente delocalizzare le fabbriche con la sola idea di poter emettere più liberamente la CO2.
Tantissime imprese, prosegue lo studio, dopo aver accumulato le quote di CO2 gratis da Bruxelles, al posto di acquistarle nelle aste pubbliche, hanno anche aumentato i prezzi finali dei loro prodotti, per il valore teorico corrispondente di questi permessi. In sostanza: non hanno pagato la CO2, non hanno investito in tecnologie per migliorare l’efficienza energetica e diminuire le emissioni inquinanti, inoltre hanno trasferito sui consumatori il costo non pagato dei crediti di anidride carbonica.
Così dal 2008 al 2015 le industrie hanno generato circa 25 miliardi di extra ricavi inaspettati, sfruttando questi meccanismi. La mappa seguente riassume la situazione.
Tra i maggiori beneficiari di quote gratuite e relativi profitti, nel periodo considerato, figura anche l’italiana Ilva, vedi la tabella seguente.
Poiché l’Europa, nonostante la prossima riforma del mercato ETS, continuerà a regalare quote di CO2 alle imprese, Climate Action Network stima che dal 2008 al 2030 i governi europei avranno rinunciato nel complesso a circa 380 miliardi di euro di proventi.
Infine, evidenzia il rapporto, le compagnie energivore degli Stati membri Ue ricevono tuttora diversi sgravi fiscali e sussidi per i combustibili fossili, che ammontano a svariati miliardi di euro ogni anno.
Le raccomandazioni di Climate Action Network sono essenzialmente due.
La prima è rafforzare il mercato europeo ETS portandolo in linea con gli obiettivi di Parigi, quindi in sostanza bisognerebbe cancellare il surplus di quote inutilizzate/invendute, eliminare l’assegnazione gratuita di permessi, rendere più severo il tetto annuale delle emissioni e garantire che il principio “chi inquina paga” sia rispettato in tutti i settori industriali.
In secondo luogo, sottolinea il rapporto, Bruxelles dovrebbe affiancare all’ETS altre misure complementari, ad esempio incoraggiando gli Stati membri a introdurre sistemi di carbon pricing con un prezzo minimo europeo della CO2, sul tema vedi anche le recenti proposte di un gruppo di economisti per varare una carbon tax a livello Ue.