Le emissioni ignorate dell’idroelettrico

  • 22 Novembre 2016

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Ogni anno sono miliardi le tonnellate di gas serra emesse dagli impianti idroelettrici a bacino, un impatto ancora generalmente sottovalutato.

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Secondo un recente studio, l’1,3% delle emissioni globali antropiche deriva dai processi di decomposizione anaerobica della materia organica sommersa nei bacini idroelettrici.

Storicamente regina delle rinnovabili, quella idroelettrica è la più flessibile tra le FER e sicuramente svolge un ruolo importante nel mix energetico mondiale, giungendo a coprire oltre il 16% della produzione di energia elettrica del pianeta. I dei vantaggi dell’energia idroelettrica includono l’affidabilità di una tecnologia ormai collaudata, una grande capacità di stoccaggio e costi di esercizio e di manutenzione molto bassi. Molte centrali, quando ben gestite, forniscono ulteriori servizi come il controllo dei fenomeni d’inondazione, la regolazione della rete irrigua, la navigazione fluviale e la fornitura di acqua dolce.

In verità, è ormai da molto che ci s’interroga in merito agli impatti ambientali, sociali e politici, degli impianti idroelettrici. Di norma l’analisi degli impatti ambientali di uno sbarramento idraulico comprende l’esame dei danni arrecati alla biodiversità fluviale, i problemi causati dall’erosione dei pendii, la perdita di sedimenti trasportati dal corso d’acqua e bloccati dalla diga, fino alla valutazione delle possibili variazioni microclimatiche che si ripercuotono nelle zone circostanti (Qualenergia aveva già parlato degli effetti socio-ambientali dell’idroelettrico a bacino in http://www.qualenergia.it/articoli/20141112-grande-idroelettrico-arrivo-uno-tsunami-da-3700-dighe)

Solo da qualche anno a questa parte si è iniziato a prendere in considerazione l’impatto climatico di un fenomeno strettamente relazionato alla presenza di invasi artificiali: l’emissione di gas serra dovuta alla fermentazione dei sedimenti presenti nelle acque del bacino.

Nella figura si indicano le emissioni di metano in alto, anidride carbonica al centro e protossido di azoto in basso ( fonte http://bioscience.oxfordjournals.org/content/early/2016/10/02/biosci.biw117/F2.expansion.html ).

Il principale GHG che si forma sul fondo degli invasi è il metano: il processo chimico-fisico comprende infatti la decomposizione batterica di materiale organico in un ambiente povero d’ossigeno. Oltre al metano, il cui effetto serra è di circa 25 volte superiore a quello delle molecole di CO2, i prodotti della reazione sono l’anidride carbonica e il protossido di azoto, altro potente gas climalterante.

Il fenomeno era già stato studiato (http://www.nature.com/ngeo/journal/v4/n9/full/ngeo1211.html) ma solo recentemente si è incominciato a coglierne la portata.

Il problema è che – stando alle cifre riportate su BioScience, rivista scientifica dell’università di Oxford (http://bioscience.oxfordjournals.org/content/early/2016/10/02/biosci.biw117.full) – gli impianti a diga emetterebbero circa il 25% in più di metano per unità di superficie rispetto a quanto stimato in precedenza. Per farsi un’idea, se si considerasse un orizzonte temporale di 100 anni, i laghi artificiali produrrebbero più metano di tutte le piantagioni di riso dell’intero pianeta.

Analizzando più di 250 dighe i ricercatori hanno infatti riconosciuto che le dighe emettono più metano rispetto ai laghi naturali e altre zone umide. Lo studio citato contribuisce a diffondere una più profonda conoscenza dei fattori che influiscono sul processo di produzione di gas, dimostrando a esempio come la quantità di emissioni non dipenda solo dall’ubicazione o dall’età degli impianti, come suggerito da altre ricerche, ma anche dalla composizione della materia organica, dal livello di eutrofizzazione del bacino e dalla pressione esercitata dall’acqua.

La ricerca giunge quindi a proporre alcune strategie impiantistiche finalizzate a ridurre la produzione di metano. È pertanto importante ridurre in particolare l’afflusso di nutrienti, così da inibire l’eutrofizzazione del bacino. Un sistema potrebbe essere situare gli impianti a monte dalle fonti di nutrienti di origine antropica, in particolare degli scarichi delle acque dei centri abitati, mentre altra semplice accortezza sarebbe quella di pulire regolarmente i fondali dei bacini.

Con l’attuale espansione dell’idroelettrico a bacino, i gas serra legati all’utilizzo di questa tecnologia non potranno che rappresentare una frazione ancora più vasta del totale delle emissioni. Innanzitutto è necessario che globalmente venga adottata una più accurata contabilità delle emissioni ascrivibili a questa tecnologia per poter quindi giungere a una migliore gestione delle risorse idriche e una più attenta ubicazione dei nuovi impianti e una migliore gestione di quelli già esistenti.

Francesco Valezano.

 

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