Il cantiere aperto dell’efficienza energetica in Italia

Una discussione ad ampio raggio sull'efficienza energetica in Italia con Dario Di Santo, direttore di FIRE. Cosa si sta facendo e si dovrebbe fare nell'industria, nel terziario e nel residenziale. Le strategie per supportare le PMI e le famiglie. Gli incentivi necessari e il sapere informare sulla convenienza di questi interventi.

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“L’efficienza energetica in linea di principio conviene, ma ha un difetto: è complicata ed è fatta da tantissimi interventi differenti tra loro, spesso anche di taglia anche piccola, integrati e collegati agli utilizzi finali. Non è il plug and play del fotovoltaico. Ma qualcosa di un po’ più complesso. L’intervento lo devo saper spiegare ad un non tecnico, banche incluse, per fargli capire dov’è sta la convenienza, cosa ci guadagna. Già questo non è un compito banale”.

L’abbiamo presa alla lontana con Dario Di Santo, direttore di FIRE, la Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia, per parlare di efficienza energetica in Italia a livello di industria, terziario e residenziale. Una discussione ad ampio respiro per capire cosa servirebbe al nostro paese per rafforzare la diffusione di un uso più razionale dell’energia. Oltre agli incentivi e ad un quadro normativo semplice ed efficace, emerge chiaramente l’urgenza dell’informazione, della formazione e di strutture in grado di supportare in questa azione le PMI, l’ossatura della nostra economia.

Chiediamo in prima battuta all’ingegner Dario Di Santo cosa ostacola l’efficienza energetica in Italia e quali sono le note positive di questi anni.

Oggi abbiamo alcune resistenze, come la crisi economica e il fatto che l’attenzione rimane focalizzata su altre soluzioni energetiche, come il fotovoltaico o altre rinnovabili, che sono più semplici da capire e quindi anche da vendere e, pertanto, da acquistare. Però l’efficienza energetica ha enormi potenzialità che iniziano ad essere finalmente sfruttate. Come Fire abbiamo fatto un’indagine sugli energy manager in merito alle barriere all’efficienza energetica e abbiamo riscontrato che esiste una maggiore sensibilità da parte delle dirigenze aziendali. Ciò facilita gli energy manager stessi nel proporre soluzioni alle imprese. Specialmente nelle aziende molto grandi, se tale soluzione rispetta i parametri di investimento tipici di quell’azienda, l’investimento viene accettato e finanziato anche con risorse proprie. Altro aspetto positivo che è emerso dall’indagine è che iniziano a diffondersi delle procedure di acquisto che portano a considerare i costi dell’energia sui macchinari, ad esempio di processo.

Questa indagine riguardava anche il terziario. Hanno risposto soprattutto le aziende grandi e molto grandi che sono quelle più sensibili alla questione, visti i margini che possono ottenere da queste azioni. C’è anche un interesse notevole per i sistemi di gestione dell’energia, come nella norma internazionale ISO 502001, ottimo strumento che se viene implementato in un’azienda attraverso una certificazione garantisce di raggiungere nel corso degli anni interessanti risultati.

Sulla sostituzione dei motori elettrici più efficienti come ha reagito l’industria?

Negli ultimi anni si è cercato di promuoverli in sostituzione di quelli più obsoleti. Ma il problema vero è che la sostituzione è tanto più conveniente quanto l’azienda lavora a ritmo continuato, quindi sui tre turni ed è conveniente quanto è più grande la taglia del motore. Il guaio è che se in un’azienda non si rompe il motore è difficile che si fermino i processi per la sua sostituzione. Se il ritorno economico di un motore elettrico ad alta efficienza è pressoché immediato, va detto pure che la spesa è marginale rispetto a quelle che sono  le problematiche della produzione. Per questo motivo credo non abbia attecchito al detrazione fiscale del 20%. Il segreto è che le aziende acquistino macchine che abbiamo già incorporato un motore ad alta efficienza. Qualcosa di più si è ottenuto sui motori grandi, dove viene aggiunto un inverter o sistemi ad aria compressa, ecc.

Cosa accade invece nel settore terziario?

A vedere i dati del recente piano di azione sull’efficienza energetica questo settore ha fatto di meno rispetto a quanto previsto dal piano del 2007. Il dato può essere comunque in parte falsato dal fatto che il piano tiene conto solo degli  interventi  che ricadono nei meccanismi di incentivazione e nella certificazione degli edifici. Comunque se questi interventi sono stati fatti fuori dai meccanismi incentivanti può anche significare che il terziario ha avuto delle difficoltà ad accedervi, e questo mi sembra un elemento negativo che va risolto. Sicuramente in questo settore c’è da spingere di più poiché le opportunità ci sono.

Quali pezzi del mosaico mancano per avere finalmente un quadro normativo e di incentivazione che possa rilanciare gli interventi di efficienza energetica?

Prima di tutto quelli previsti dal decreto 28/2011, in parte previsti anche dal decreto 115/2008. Si tratta del potenziamento del meccanismo dei certificati bianchi, che va rivisto perché oggi è in crisi e rischia il collasso. E a mio parere sarebbe un peccato. Credo purtroppo che si sia atteso troppo per mettervi mano. Un altro schema da definire è quello di una sorta di conto energia termico, anche se non è detto che sarà basato sulla contabilizzazione effettiva; riguarderà probabilmente soprattutto gli interventi di piccola dimensione (incluse gli impianti alimentati a rinnovabili termiche). Al momento non è dato sapere dai ministeri cosa bolle in pentola. Serviranno però buoni incentivi e un sistema semplificato. Le condizioni per un quadro incentivante efficace ci sono, ma vedremo cosa emergerà nel concreto. Non è poi neanche detto che la detrazione del 55 per cento verrà rimossa dal 2012, anche se da una parte il Ministero dello Sviluppo Economico la spinge e dall’altra il Ministero del’Economia, in primis Tremonti, la frena. Finora ha funzionato bene e, cosa non marginale di questi tempi, ha fatto anche emergere molto lavoro nero.

A parte gli incentivi, un’altra spinta da dove dovrebbe arrivare?

Sappiamo che gestire gli incentivi non è facile, e il caso del fotovoltaico insegna. Credo che quello che manca veramente per un rilancio dell’efficienza energetica sia innanzitutto una struttura capace di monitorare l’andamento dei mercati e dei programmi in corso, anche raccogliendo dati sui consumi e sulle dinamiche del mercato dell’energia. Al momento non esiste niente di tutto questo. Potrebbe essere utile costituire un fondo, come quello della ricerca nel sistema elettrico, che serva a finanziare qualche soggetto in grado di realizzare studi e indagini di mercato e che possa verificare come vengono attuati i programmi, quali sono le barriere e come si possono superare. Il costo sarebbe risibile, ma l’utilità per il sistema paese notevole. Ad esempio, se si prende il piano di efficienza energetica si nota che rispetto al 2007 è vero che si è andati oltre l’obiettivo, ma purtroppo con interventi che non erano stati previsti. Con quelli in programma si sarebbe andati sotto l’obiettivo prefissato. Questo sta a significare che la pianificazione non funziona perché non c’è una base di dati capace di far comprendere il sistema nel suo complesso.

Intanto si prevede che imprese e famiglie nei prossimi anni dovranno subire l’aumento del costo dell’energia.

Qui dovrebbero nascere altre strategie. Nella crisi che stiamo vivendo vediamo che ci sono sempre più famiglie che vivono in uno stato economico di difficoltà. Visto che i costi dell’energia tendono a salire, ritengo che questo fattore potrebbe rivelarsi un problema nel giro di pochi anni. Si dovranno spendere quote rilevanti del proprio stipendio per pagare bollette energetiche sempre più salate. Ed è ora che dobbiamo aiutare questa famiglie a fare interventi di efficientamento energetico, riducendo i loro consumi a parità di standard.

Quali potrebbero essere le soluzioni sul tappeto?

Uno degli strumenti su cui stiamo meditando potrebbe essere vicino al modello adottato del Regno Unito dove c’è l’obbligo per i distributori di elettricità e gas, avvalendosi di accordi con Esco, di fare interventi presso le fasce più disagiate, anticipando il denaro necessario per realizzare gli interventi; denaro che potrà poi essere recuperato attraverso le tariffe, non alzandole, ma agendo sui vincoli tariffari da elevare leggermente, con aumenti in tariffa molto limitati. Ciò consentirebbe di agire come in una sorta di finanziamento tramite terzi. I distributori potrebbe anche ottenere dei certificati bianchi.

Altre soluzioni da considerare sono i finanziamenti a tasso zero, senza garanzie reali, basati su mutui chirografari con una Esco che agisca presentando un contratto a garanzia dei risultati e che assuma i rischi di far rientrare quell’intervento in un tempo determinato

Per quanto riguarda le imprese, cosa si può fare?

Servono strutture in grado di operare su grandi numeri. Il tessuto produttivo nazionale è formato soprattutto da piccole e media imprese ed è chiaro che un’impresa, soprattutto se piccola, non può permettersi un energy manager. Quindi servirebbe una struttura in grado di fornire loro servizi distribuiti magari a livello di distretto. Si rischia altrimenti di non poter mai fare quegli interventi necessari e visto che il motore nazionale è costituito proprio dalle PMI mi pare logico pensare a questa forma di specifico servizio. Penso che possa essere messo in campo dalle associazioni di categoria, università, soggetti che distribuiscono elettricità e gas, gruppi e consorzi.

Insomma, il mare magnum dell’efficienza energetica in Italia è un cantiere aperto, ma con prospettive economiche e occupazionali molto interessanti. Lo ha capito anche Confindustria che realizzò pochi mesi fa uno studio interessante sul settore. Sembra invece ignorarlo il nostro governo in altre faccende affaccendato.

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