Dimensione sociale e adattamento ai cambiamenti climatici

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Anche la sfera sociale deve essere presa in considerazione quando si vogliono attivare politiche di adattamento e di lotta contro i cambiamenti climatici. Ma la stessa inazione su questi fronti può avere ripercussioni sociali. Se ne è parlato in un workshop a Venezia.

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La dimensione sociale dell’adattamento ai cambiamenti climatici è un campo ancora poco esplorato dalla comunità scientifica e dall’opinione pubblica. Finora solamente la necessità di definire i costi e i benefici economici dell’adattamento hanno infatti guidato le ricerche sull’argomento. Se ne è parlato nel workshop “The social dimension of Adaptation to Climate Change“, organizzato dall’International Center for Climate Governance (ICCG), dalla Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) e dal Centro Euro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC) e svoltosi a Venezia il 18 e 19 febbraio.

Secondo quanto emerso dai risultati del modulo climatico MAGIC, illustrati da E. Massetti dell’Università di Venezia l’obiettivo di contenere la temperatura entro i 2°C al 2100 sembra impossibile, pur prevedendo importanti interventi nel breve termine.
Un obiettivo, più realistico, di limitare l’aumento della temperatura terrestre a 2,5°-3°C entro il 2100 comporterebbe la necessità di attuare fin da subito azioni di mitigazione utili a contenere le emissioni di CO2 nell’atmosfera e parallelamente politiche di adattamento per adeguare i comportamenti sociali alle nuove condizioni del clima, senza però compromettere le normali attività socio-economiche quotidiane.

L’adattamento avverrà principalmente in modo autonomo, con individui e società capaci di utilizzare nuove tecnologie e dotarsi di nuove pratiche, ma tutto ciò non sarà sufficiente se i governi non interverranno pianificando e finanziando strategie orientate ad una transizione climatica serena.
I limiti che l’adattamento porta con sé si identificano nelle caratteristiche della società e dei singoli individui, dalle loro preferenze ai loro valori; valori e preferenze che mutano a seconda dell’interpretazione soggettiva che viene assegnata alla vulnerabilità percepita (Lorenzoni).

La vulnerabilità che consideriamo è strettamente correlata ad una sempre maggiore urbanizzazione, alla densità della popolazione e alla elevata difficoltà di governance insite in una società sempre più complessa nelle sue relazioni. La complessità delle relazioni si evidenzia in particolar modo nel rapporto intergenerazionale. Se si considera la percezione del rischio nelle generazioni più anziane, si vedrà come esse non si sentano in pericolo di fronte ai mutamenti in atto: la distanza temporale che li separa dalle conseguenze, non permette loro di sapersi confrontare nel lungo periodo e di intraprendere quelle azioni necessarie oggi. Questo “gap intergenerazionale” però è compensato dal bisogno di coniugare le previsioni dei modelli climatici con la memoria storica che ogni singolo possiede. L’insieme delle immagini, delle esperienze e dei simboli della nostra cultura sommati ai comportamenti della società devono servire alla definizione di strategie di adattamento senza commettere gli errori del passato.

Il capitale sociale che verrà dunque coinvolto nelle strategie di adattamento dovrà sapersi confrontare con tutti quegli aspetti che finora sono stati poco considerati.
Le città, per esempio, dovranno essere governate integrando le nuove smart technologies per la mobilità, l’energia e le telecomunicazioni con il patrimonio artistico e culturale, senza intaccare eccessivamente il loro grande valore storico e sociale.
L’infinito patrimonio artistico delle città italiane, con le sue meraviglie architettoniche simbolo della storia dell’umanità, dovrà essere considerato come un valore da preservare quando si andranno a pianificare gli interventi infrastrutturali e le nuove tecnologie.

Per concludere, va sottolineato come le principali azioni d’adattamento intraprese finora siano state attivate esclusivamente nei paesi in via di sviluppo, dove vi sono le aree più esposte all’aumento dell’intensità delle perturbazioni. L’inazione politica dei paesi industrializzati invece limita e scoraggia il lavoro di molti ricercatori che da tempo elaborano proposte concrete per limitare le ripercussioni sociali dei mutamenti climatici.

Immaginate ora quale potrebbe essere la strategia di adattamento per Venezia con l’innalzamento delle acque: innalzare le strade fino al primo piano delle palazzine? Ovviamente no, le conseguenze per il turismo, la vita sociale, il patrimonio artistico protetto dall’UNESCO sarebbero inimmaginabili.
Se riusciremo a comprendere che l’adattamento è fondamentale per difenderci dai cambiamenti climatici ed è portatore anche di benessere sociale, allora i mutamenti del clima saranno meno drammatici per l’umanità intera.

Piero Pelizzaro

Letture consigliate:

Hallegatte, Ambrosi, Hourcade (2007) Climate analogues in 2070, Hadley Centre Model, SRES A2;

Bosetti V., C.Carraro, M. Galeotti, E. Massetti and M.Tavoni (2006). “WITCH: A World Induced Technical Change Hybrid Model” , The Energy Journal, December 2006: 13-38;

Wolfgang Lutz Improving Education as Key to Enhancing Adaptive Capacity in Developing Countries.

 

26 febbraio 2010

 

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