Investimenti per il new deal globale

  • 8 Settembre 2009

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Per il clima occorre investire 5-600 miliardi di dollari all'anno a favore dei paesi più poveri. Un nuovo report del DESA delle Nazioni Unite spiega perché i paesi ricchi dovranno farsi carico di finanziare la green economy in quelli in via di sviluppo. Un tema chiave per i negoziati di Copenhagen a dicembre.

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Le somme stanziate attualmente a livello internazionale per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico sono “dolorosamente inadeguate”. Servono molti più soldi: dai 500 ai 600 miliardi di dollari all’anno, pari all’1% del Pil mondiale. Una cifra necessaria per contrastare il global warming, promuovendo uno sviluppo sostenibile nei paesi emergenti. La lotta all’effetto serra non deve infatti pesare sui paesi più poveri; anzi, non può che passare per la loro crescita economica, che non deve assolutamente essere rallentata o compromessa.

Arriva dalla DESA, il dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, un nuovo report che le nazioni economicamente più svantaggiate a dicembre potranno mettere sul tavolo ai negoziati di Copenhagen per reclamare un impegno economico più serio da parte dei paesi industrializzati e più ricchi. The World Economic and Social Survey 2009 (vedi allegato), questo il nome dello studio, riprende molti degli argomenti portati dai Pvs nel dibattito internazionale sul clima e li supporta con numerosi dati. Uno studio che suggerisce quale e quanto grande dovrebbe essere lo sforzo internazionale per consentire ai paesi poveri di dare il loro contributo fondamentale alla lotta per il clima, senza sacrificare la loro crescita economica ma rendendola sostenibile. 

Gli effetti della febbre del pianeta, premette il dossier, colpiranno più duro proprio nei paesi del terzo mondo: ogni grado di aumento della temperatura media mondiale porterà a un rallentamento della crescita del 2-3% del Pil dei Pvs, mentre avrà effetti quasi nulli in quelli ricchi che hanno emissioni procapite 6-7 volte maggiori. Le nazioni povere, inoltre, si fa notare, si trovano ad affrontare assieme al global warming problemi come la carenza di infrastrutture: da 1,6 a 2 miliardi di persone nel mondo al momento non hanno accesso all’elettricità. Più della metà dei costi aggiuntivi per la riduzione dei gas serra cadrà sui Pvs i cui investimenti in campo energetico cresceranno molto più velocemente di quelli dei paesi ricchi. Ad esempio, è previsto che la potenza elettrica dei paesi in via di sviluppo raddoppi nei prossimi decenni ed è fondamentale che sia costruito su fonti pulite. Un problema che è anche un’opportunità per uno sviluppo che può essere indirizzato sui binari giusti, quelli del low-carbon: crescita alta ed emissioni basse.

Per lanciare la green economy nei paesi in via di sviluppo e rendere efficace il loro contributo alla battaglia per il clima però – è il concetto fondamentale del report – non saranno sufficienti le misure di contenimento delle emissioni per i vari paesi, ma occorre “un livello di solidarietà e sostegno che raramente si è messo in atto al di fuori dei tempi di guerra”. I meccanismi di mercato per ridurre la CO2 non basteranno: il new deal contro le emissioni climalteranti dovrà essere fatto di grandi investimenti internazionali, politiche attive, trasferimenti di saperi e tecnologie. Tra le proposte del report la creazione di un fondo globale per le energie pulite, che vada a finanziare una tariffa feed-in (come il nostro “conto energia”) planetaria, un programma mondiale per le tecnologie per il clima e un regime più bilanciato per quel che riguarda la proprietà intellettuale in modo da favorire il diffondersi delle soluzioni tecnologiche.

E soprattutto occorre tanto denaro. I 21 miliardi di dollari attualmente spesi in cooperazione internazionale per affrontare i cambiamenti climatici sono briciole: somme “dolorosamente inadeguate”. Le stime sugli investimenti necessari vanno dai 180 mld $ all’anno agli 1.200 miliardi di $ (dall’0,2 al 2% del Pil mondiale), ma nella maggior parte dei casi si prevede che le somme vadano spese a partire dal 2030. Il report in questione invece sottolinea l’urgenza di iniziare a investire il prima possibile: occorre un “global new deal” pari all’1% del Pil mondiale, cioè dai 500 ai 600 mld $/anno, da metter in campo al più presto: se si perde il treno del low-carbon ci si avvicina pericolosamente allo scenario business as usual, nel quale è prevista una riduzione del Pil mondiale fino a 20 punti percentuali.

Somme, quelle del report, gettate nel dibattito internazionale in vista di Copenhagen. Alcuni giorni fa segnalavamo un report in cui si denunciava come le stime circolanti finora sui costi dell’adattamento al global warming (articolo Qualenergia.it “Clima, adattamento più caro del previsto”). L’altro ieri un pool di economisti cinesi diffondeva uno studio nel quale si conclude che alla Cina da sola serviranno 438 mld $ all’anno per il prossimo ventennio per contenere le emissioni.

L’importo del fondo per l’adattamento e la mitigazione del global warming sarà senza dubbio una delle questioni più importanti da decidere al vertice di dicembre.
 
 
 
GM
 
4 settembre 2009
 
 
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