Il pellet nella bufera

  • 19 Giugno 2009

CATEGORIE:

Oltre a quello radioattivo dalla Lituania scoppia un caso, tutto italiano, di pellet fabbricato illegalmente con scarti dai mobilifici. Sulla partita contaminata da Cesio 137 intanto continuano le analisi, che sembrano rassicurare, anche se Ministero Ambiente e Ispra ancora tacciono sui rischi e su come affrontarli. Due colpi immeritati all'immagine del pellet.

ADV
image_pdfimage_print
E’ stata una brutta settimana per il pellet: mentre per la partita radioattiva importata dalla Lituania i sequestri e le analisi sono in corso in tutto il paese, arriva un altro colpo all’immagine di questo combustibile ecologico. Giusto dopo che l’associazione di categoria Assopellet commentava la vicenda rassicurando sulla trasparenza della filiera made in Italy, lo scandalo ha colpito proprio una delle più grandi aziende nazionali del settore. A finire sotto inchiesta è infatti la trevigiana La Ti Esse srl, il cui titolare, Angelo Dal Tio, è anche presidente di Assopellet: avrebbe prodotto pellet a partire da legno residuo di lavorazione di alcuni mobilifici, suscettibile di essere trattato con colle e vernici, anziché da legno vergine come prescrive la legge.

I reati ipotizzati sono, oltre a falso documentale, traffico e gestione illecita di rifiuti. L’azienda trevigiana, sentita da Qualenergia, nega ogni accusa e si dice tranquilla, ma i carabinieri del Noe di Treviso paiono essere convinti delle prove che hanno in mano e la Procura ha accolto la richiesta di convalida di sequestro. Allo stabilimento arrivavano grandi quantità di scarti dai mobilifici della regione che venivano trasformate in pellet. Un comportamento vietato dalla legge al fine di evitare che nel pellet vada a finire legno trattato con colle e vernici, i cui fumi possono essere dannosi per la salute. Il motivo sarebbe il lucro: una tonnellata di scarti da legno vergine può costare indicativamente dai  60 ai 100 euro mentre, gli scarti di legno trattato non hanno mercato, anzi solitamente è chi li produce a dover pagare per smaltirli.

L’azienda da ieri pomeriggio, dunque, è sotto sequestro, mentre ritiri del pellet dal mercato – ci spiega il titolare dell’inchiesta, il comandante Alberto Prettegiani – saranno eventualmente decisi solo dalle autorità sanitarie o dalla ditta stessa. Non sono infatti stati fatti i test necessari per vedere se il pellet prodotto contenesse sostanze nocive: il solo fatto che provenisse da legno lavorato (si è parlato di ritagli di cornici, mobili e anche bare) lo rende infatti illegale. “Non vogliamo criminalizzare l’azienda né tanto meno il settore – dichiara Prettegiani – né creare allarmismi, ma l’attenzione delle forze dell’ordine su questa filiera rimane altissima per impedire che si lucri sulla pelle dei consumatori”. Ora la palla passa all’Arpa veneta che stabilirà se il pellet prodotto contenga colle o vernici.

E la filiera del pellet sotto i riflettori questa settimana lo è stata non poco anche per via della partita di pellet radioattivo importato dalla Lituania. Su questo fronte – mentre l’Ispra nazionale (ex Apat) e il Ministero dell’Ambiente ancora latitano (dichiarazioni di Stefania Prestigiacomo a parte) e non forniscono né un quadro generale della situazione, né alcuna comunicazione sui possibili rischi e su come affrontarli – le varie agenzie Arpa regionali e la Prefettura di Aosta continuano praticamente in tutta Italia i sequestri e le analisi sul pellet sospetto.

Analisi che pare stiano dando risultati tranquillizzanti: pur trovando altro pellet anormalmente radioattivo, non sono state rinvenute, al momento, altre concentrazioni superiori ai limiti di legge. Il campione più radioattivo resta quello che ha fatto partire l’inchiesta alla Procura di Aosta: concentrazioni di Cesio 137 nella cenere fino a 40mila Becquerel/kg, un valore 40 volte superiore al limite di legge. Anche per un valore così alto, rassicura però Mario Magnoni dell’Arpa Piemonte, la conseguenze per la salute non sarebbero preoccupanti.

Mentre il pellet solido non dà particolari problemi, né li dà l’ingestione di ortaggi eventualmente concimati con la cenere prodotta, il pericolo maggiore viene dall’inalazione della cenere. In questo caso ipotizzando il valore più alto trovato finora, 40mila Becquerel/kg, chi manipoli la stufa 210 giorni all’anno – spiega il ricercatore – assorbirebbe radiazioni per 0,00003 Sievert l’anno: relativamente poco considerando che in Italia siamo esposti annualmente in media a 3 Sievert, cioè una quantità un milione di volte superiore.

Qual è l’origine della contaminazione del pellet lituano? Il nucleare. Magnoni ipotizza che derivi del fall-out dell’incidente di Chernobyl, che d’altra parte, ci spiega, è responsabile anche delle concentrazioni di Cesio 137 che (pur al di sotto dei limiti di sicurezza) si trovano tuttora anche nella legna italiana. Il professor Graziano Fortuna, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, spiega invece che potrebbe essere sì una conseguenza di Chernobyl, ma anche di uno smaltimento non adeguato di scorie radioattive.

Anche se i rischi per la salute del pellet in questione paiono essere bassi, l’inquietudine dunque resta, acuita dal ritardo delle linee guida a livello nazionale. Le informazioni per ora sono solo quelle diffuse dalle varie Arpa regionali e dalla Procura di Aosta, che ha aperto un fascicolo a carico di ignoti. Chi abbia in casa il pellet in questione, di marca Natur Kraft Premium o Pelletkraft, deve riportare i sacchi al rivenditore e, se lo ha già bruciato e ha delle ceneri in casa, contattare i Vigili del fuoco al 115.

Le ceneri sono relativamente innocue, ma sono pur sempre un rifiuto radioattivo e ancora non c’è una risposta ufficiale su come vadano smaltite. Ministero Ambiente e Ispra, come detto, per ora tacciono, e non smentiscono nemmeno la grave affermazione diffusa dall’azienda lituana in questione, Granuul Invest, che spiega di non esser mai stata contattata dalle autorità italiane. Un esempio poco rassicurante di gestione del pericolo radioattività.

Intanto l’immagine del pellet, tra Cesio 137 e riciclaggio illegale di scarti di lavorazione, ha subito un danno certamente non meritato. Un danno che però è anche un’opportunità per questo combustibile sostenibile di fare passi avanti verso una filiera più corta e trasparente: ne parleremo nei prossimi giorni con Marino Berton, presidente di Aiel, l’associazione italiana per le energie agroforestali nonché coordinatore di Assopellet.

GM

19 giugno 2009

Potrebbero interessarti
ADV
×