La salute nell’agenda del global warming

  • 19 Maggio 2009

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Accesso difficile a cibo e acqua, malattie infettive più diffuse e migrazioni di massa. Il cambiamento climatico sarà il fattore di rischio più grande per la salute umana nel 21° secolo. Pubblicato su The Lancet uno studio che vuole essere per gli aspetti sanitari quello che il rapporto Stern è stato per quelli economici.

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Sarà il cambiamento climatico il maggior fattore di rischio per la salute umana nel 21° secolo. È questa la preoccupante conclusione di uno studio (vedi allegato) pubblicato dalla prestigiosa rivista medica The Lancet e nato dalla collaborazione tra la rivista e la University College of London. Uno studio che è già stato battezzato “il rapporto Stern della salute”, riferendosi al famoso report dell’economista inglese che per primo, nel 2006, quantificò i danni economici che il cambiamento climatico potrebbe provocare.

Gli autori hanno valutato i diversi modi in cui il riscaldamento globale potrà influire sulla salute umana. Con l’aumento delle temperature vettori di alcune malattie, come la salmonella, la malaria e la dengue, estenderanno il loro raggio d’azione, colpendo nuove popolazioni. Eventi meterologici estremi, come alluvioni e siccità, aumenteranno la loro frequenza e con loro le relative vittime. Ma sarà soprattutto l’accesso a risorse che diverranno più scarse (prima fra tutte l’acqua) e l’inasprimento delle condizioni di vita di chi è già in difficoltà a fare i danni maggiori. Proprio le popolazioni più povere, infatti, saranno quelle più colpite dagli effetti del surriscaldamento. La crescita della popolazione nelle zone meno sviluppate, spiega il report, si combinerà agli effetti del cambiamento climatico che renderanno più instabile la disponibilità di cibo e acqua, innescando migrazioni di massa, con relativi disagi e tensioni politiche.

“Il governo indiano ha quasi completato il piano per una recinzione in filo spinato alta più di due metri e lunga 4.500 chilometri lungo l’intero confine con il Bangladesh, e lo scopo dell’opera è tenere fuori i migranti del clima”, fa notare uno degli autori, il professor Hugh Montgomery nel presentare lo studio. Oltre alle stime del futuro impatto sulla salute lo studio vuole però essere un appello nei confronti di chi si occupa di salute ad agire per rallentare il global warming e prepararsi ad affrontarne le conseguenze. “Escluso un ristretto manipolo di ricercatori – spiega un altro degli autori, Anthony Costello – chi si occupa di salute è in grave ritardo nel realizzare le dimensioni del problema. Ma c’è molto che si può fare per proteggere le vite di miliardi di persone adesso e in futuro. “

Affrontare il riscaldamento climatico subito, oltre che essere una necessità, sottolinea Costello può dare vantaggi in termini di salute pubblica, specie nei paesi ricchi: “Se ci muoviamo verso una società con un basso livello di emissioni e di consumi di energia, spiega, avremo livelli più bassi di obesità, malattie cardiache, diabete, malattie polmonari da inquinamento e di stress. Avremo anche meno incidenti, città più pulite e trasporti pubblici migliori. Dobbiamo enfatizzare questi aspetti positivi, anziché limitarci a illustrare i possibili scenari allarmistici di distruzione e morte che si realizzerebbero se non agiamo”.

Per il direttore di The Lancet, Richard Horton, finora il settore sanitario “non ha solamente sottostimato, bensì praticamente ignorato il problema clima. Un tema che è mancato dall’agenda di tutte i maggiori organismi scientifici negli ultimi 10 anni. Ma ora (con il nuovo studio, ndr.) – ha dichiarato a BBC News – abbiamo stabilito delle nuove priorità. Quello che dobbiamo fare è portarle ad ogni conferenza sul clima, scriverne, raccogliere dati da portare ai summit dei prossimi due anni. Possiamo fare veramente in modo che la scienza serva a cambiare le politiche future”.

19 maggio 2009

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