Bonus ai manager, ma contro la CO2

  • 15 Aprile 2009

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Sempre più aziende scelgono di premiare economicamente i dirigenti che raggiungono obiettivi di riduzione delle emissioni e gli impiegati che vi contribuiscono. Il meccanismo di ricompensa dei bonus, al centro del dibattito sulla crisi finanziaria, diventa così il simbolo di un nuovo impegno delle società per il taglio della CO2.

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Nel recente crack finanziario innescato dallo scoppio della bolla dei mutui subprime si è parlato spesso di bonus, cioè di quei sostanziosi premi dati ai manager degli istituti finanziari per i risultati economici sul breve termine. Un sistema di incentivazione che – oltre a suscitare indignazione per le enormi cifre accumulate dai corresponsabili del tracollo – si dice abbia avuto un ruolo non secondario nello spingere a investimenti spregiudicati e irresponsabili, volti a massimizzare gli utili a tutti i costi, con le conseguenze che ben conosciamo.

Come raccontato ampiamente su queste pagine, una delle risposte invocate alla crisi di un sistema con profitti troppo slegati dall’economia reale, è stata quella di  ripartire da investimenti che dessero risultati anche dal punto di vista ambientale: sfruttare l’occasione per accelerare la transizione verso un’economia low-carbon. Anche in vista della legislazione anti-CO2 che si appresta verosimilmente a essere estesa a livello mondiale, dunque, per le aziende le prestazioni energetico-ambientali sono diventate sempre più importanti.

Ecco – racconta il Guardian – che anche il sistema dei bonus viene rivisto nella nuova ottica: sempre più aziende premiano i loro dirigenti non solo in base ai risultati in termini di utili, ma anche in quanto a riduzione delle emissioni o per il raggiungimento di altri obiettivi di tipo ambientale. Il mese scorso National Grid, utility internazionale che opera nella fornitura di energia in Gran Bretagna e Stati Uniti orientali, è diventata la più grande compagnia a lanciare una politica di retribuzioni dei dirigenti basata sulle emissioni. Per raggiungere l’obiettivo annunciato di ridurre la CO2 prodotta del 45% entro il 2020, la multinazionale ha assegnato dei “carbon-budget” a ogni divisione, stabilendo così quanto ogni comparto possa emettere: le prestazioni dei manager saranno allora valutate e ricompensate in base alla capacità di raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2.

Ma le valutazioni “ecologiche” delle prestazioni professionali sono diffuse anche al di là del settore energetico. Il punteggio di merito assegnato ai funzionari di alto grado del Governo britannico, ad esempio, è stabilito anche in base al raggiungimento di determinati obiettivi in campo ambientale, mentre anche l’amministratore delegato di Wal Mart ha annunciato ricompense per chi contribuirà a far ottenere i risultati di sostenibilità che il gruppo (oggetto peraltro di molte critiche sia di matrice ambientalista che per i diritti dei lavoratori) si è posto.

Altre aziende ancora invece hanno esteso i premi per chi fa evitare emissioni all’azienda anche ai semplici impiegati, anziché solamente ai dirigenti, premiando così i comportamenti individuali oltre alle scelte aziendali. La società di consulenza WSP Environmental ad esempio ha sperimentato una sorta di schema di scambio delle emissioni volontario tra i dipendenti: a ciascuno viene assegnato un budget annuale di 5,5 tonnellate di CO2 (che verrà ridotto nei prossimi anni), e a fine anno ognuno può aver perso o guadagnato fino a 100 sterline a seconda dei suoi comportamenti di risparmio energetico.

L’incentivazione individuale dunque ora punta anche sull’aspetto ecologico ma – fa notare il giornalista del Guardian – i rischi del meccanismo potrebbero esserci anche qui. Come i bonus dei banchieri hanno spinto a concentrarsi su guadagni a breve termine, le ricompense ai manager per ridurre la CO2 potrebbero portare ad approvare in maniera non ragionata progetti che tagliano le emissioni rapidamente: ad esempio un manager che vuole ottenere il bonus potrebbe dare il via troppo in fretta ad un progetto di fotovoltaico, salvo poi accorgersi che un investimento nella coibentazione degli edifici avrebbe garantito nel breve periodo maggiori risparmi di CO2. Allo stesso modo, l’assenza di standard universali per misurare le emissioni evitate potrebbe portare dirigenti poco scrupolosi a sovrastimare sistematicamente i risparmi ottenuti.

Nonostante i rischi però il fatto che i carbon-bonus stiano diventando un elemento comune nel panorama aziendale é certamente una buona cosa. I bonus agli agenti finanziari che comperavano derivati tossici facevano capire a questi che agli istituti non interessava la provenienza degli utili, ma solo il risultato; i premi per chi taglia la CO2, al contrario, coinvolgono i dirigenti in uno sforzo – quello di ridurre le emissioni – che nella cultura aziendale di molte società “vecchie” è considerato accessorio, quando non apertamente intralciante. Questi bonus insomma sono un segnale che le priorità di un’azienda sono cambiate  molto più chiaro che non le generiche dichiarazioni o gli obiettivi spesso annunciati. Usati così questi incentivi professionali possono essere positivi soprattutto per una nuova cultura per  il clima.

GM

15 aprile 2009
 
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