Ritorno al petrolio

  • 27 Marzo 2009

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In un periodo di investimenti difficili sia BP che Shell frenano il loro impegno sulle rinnovabili, rinunciando alla propia immagine verde. Ma il fatto che le energie pulite fossero un settore assolutamente marginale rispetto al core business dei due giganti non era una novità.

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Bp ha tagliato del 30% gli investimenti per il 2009 in rinnovabili e altri progetti collaterali. Shell, dieci giorni fa, ha annunciato che, per quest’anno, non stanzierà altri fondi per solare, eolico e idroelettrico. La crisi sembra scrostare la vernice verde di cui si erano ricoperte le grandi del petrolio. Stretta del credito e petrolio a prezzi stracciati mettono a dura prova tutti gli investimenti ed è proprio questo il momento in cui si capisce quanto serie fossero le intenzioni dei petrolieri in materia di rinnovabili.

Eolico e solare non sarebbero abbastanza convenienti, questo il motivo del blocco degli investimenti annunciato da Shell. “Siamo uomini e donne d’affari – ha sottolineato Linda Cook, direttore esecutivo del settore gas ed elettricità – e mettiamo i soldi che abbiamo a disposizione dove danno il migliore ritorno economico per gli investitori. Se fosse il caso delle rinnovabili, metteremmo soldi lì, ma non è così”.

Il periodo economico è difficile: sia Shell che BP per finanziare gli investimenti e pagare i dividendi, secono il Wall Street Journal, avrebberò bisogno di poter vendere il petrolio ad almeno 60 dollari al barile. Shell – che ha comunque deciso contestualmente di aumentare del 5% i dividendi per gli azionisti – sembra aver così deciso di rinunciare alle fonti pulite per concentrarsi sul suo core business. E anche gli investimenti “alternativi” che continueranno ad essere fatti sono tra quelli che meglio si sposano con le attività principali dell’azienda.

Shell infatti, se taglierà su sole e vento, continuerà ad investire in biocarburanti e cattura della CO2. I biofuels, sono una continuazione quasi naturale del business di un’azienda che si occupa di combustibili liquidi come Shell, che può sfruttare ad esempio la sua rete di distribuzione. Al momento il più grande acquirente mondiale di agrocarburanti, la compagnia continuerà su questa strada, investendo anche su quelli di seconda generazione, che promettono di risolvere alcuni dei problemi che comportano quelli attuali, come la competizione con le colture alimentari. Sulla cattura della CO2, invece, Shell punterà per cercare di ridurre l’impatto ambientale di una delle sue attività più controverse ed altamente emittive: lo sfruttamento delle sabbie bituminose canadesi.

Insomma davanti alla crisi anche le aziende petrolifere che più tenevano alla loro reputazione verde paiono rinunciarvi. A differenza di Exxon – che ha sempre rifiutato apertamente ogni investimento nel campo delle rinnovabili (vedi articolo Qualenergia.it) – BP e Shell avevano fatto quasi una bandiera delle loro attività nelle rinnovabili. Dal 1999 al 2005 BP ha investito circa 900 milioni di dollari in rinnovabili, Shell oltre un miliardo.

Che il settore delle rinnovabili restasse comunque marginale nella politica delle due grandi dunque è una cosa divenuta evidente nel contesto economico attuale, ma che molti facevano notare già da un po’ (si vedano a proposito gli articoli di Qualenergia.it su BP e sulla contestazione a Shell per la sua decisone di rinunciare all’eolico inglese in favore delle sabbie bituminose del Canada). Le cifre ingenti citate sopra appaiono infatti alquanto ridimensionate se confrontate ai rispettivi bilanci: nel caso di Shell, ancor prima dell’attuale stop, si parla di una spesa in rinnovabili pari all’1% del budget. BP invece l’anno scorso – dunque prima del taglio del 30% deciso per il 2009 – ha destinato alle alternative al petrolio (gas naturale compreso) solo il 7% dei propri investimenti.

GM
27 marzo 2009

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