Zone d’ombra dell’atomo francese

  • 25 Marzo 2009

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La Francia vuole esportare tecnologia nucleare in tutto il mondo, Italia compresa, ma sulla reputazione della compagnia nazionale, Areva, ci sono già molte macchie. Ne parla un servizio della testata americana Alternet.org.

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Il nucleare francese mira a conquistare nuovi mercati, cosa che sta riuscendo bene visto anche l’accordo siglato con il nostro paese per la costruzione di quattro centrali EPR in Italia. Il presidente Nicholas Sarkozy, grazie alla sua intensa attività diplomatica per promuovere l’atomo d’oltralpe in tutto il pianeta, dal Medio Oriente agli Usa, è stato definito dal Washington Post “il piazzista nucleare più aggressivo del mondo”. Ma l’industria nucleare francese non è priva di zone d’ombra e problemi non risolti. In un articolo apparso ieri, Alternet.org parla di quello che non va in Areva, la compagnia a controllo pubblico francese che è anche il più grande operatore nucleare al mondo.
Un elenco di incidenti, danni ambientali, problemi politici ed economici sparsi lungo tutta la filiera in cui è attiva la compagnia francese, dall’estrazione dell’uranio alla costruzione e gestione delle centrali, allo smaltimento delle scorie. Si scoprono così molti aspetti che mettono dubbi sull’efficienza e la trasparenza dell’industria atomica francese.

In seguito alla fuga di liquido radioattivo alla centrale di Tricastin, nel luglio scorso, su queste pagine avevamo già parlato del silenzio colpevole dell’azienda che per 14 ore aveva omesso di informare le autorità dell’incidente. Dall’articolo di Alternet si viene a sapere di molti episodi del genere coem dei residui radioattivi provenienti dalle 210 miniere di uranio francesi abbandonate che sono stati usati per la pavimentazione di parcheggi in scuole e località sciistiche.
Sistematica sarebbe, invece, la dispersione di materiale radioattivo alla centrale di riprocessamento del combustibile di La Hague: circa 380 milioni di litri di liquido radioattivo scaricati nel canale della Manica ogni anno. Due studi medici indipendenti avrebbero riscontrato tassi di leucemia superiori alla media nelle comunità residenti nei pressi della centrale. Il riprocessamento del combustibile nell’impianto non risolverebbe affatto il problema delle scorie: nel procedimento viene prodotto un surplus di plutonio, mentre il 95% dell’uranio usato delle centrali francesi sarebbe troppo contaminato da altri prodotti della fissione per essere riciclato.

Neanche il paese leader mondiale del nucleare, infatti, sa ancora dove mettere le scorie: recentemente il governo ha esaminato 3.511 comunità locali per individuare dei depositi di scorie a basso livello di radioattività. Andra, l’agenzia che si occupa dello smaltimento, ha dichiarato che avere un deposito sarebbe un’opportunità per le economie locali, ma non ha voluto rivelare i nomi dei potenziali siti individuati. Malgrado la lunga storia di convivenza, il sospetto dei francesi nei confronti del nucleare sarebbe ancora alto: un sondaggio citato dall’articolo dice che quest’autunno il 60% dei francesi dichiarava di volere che la Francia abbandoni l’atomo.

L’impronta del nucleare francese, poi, si estende al di là dei confini nazionali. Il servizio continua citando le conseguenze ambientali e sanitarie dell’estrazione dell’uranio da parte di Areva e controllate in Niger e Gabon negli ultimi 40 anni (tutte documentate al pari degli altri problemi riferiti dal CRIIARD, la rete di associazioni francesi che fa ricerca indipendente sul nucleare).
Per finire Alternet racconta la storia, non nuova per il lettori di Qualenergia.it, dei ritardi, dei problemi e dei costi lievitati negli unici due reattori EPR in costruzione, quelli che Areva sta realizzando a Olkiluoto, in Finlandia e a Flamanville, in patria. Costi raddoppiati per il reattore finlandese, che ha verrà a costare oltre 6,7 milioni di dollari e già 9 mesi di ritardo sul cantiere di Flamanville, partito a dicembre 2007.

GM

25 marzo 2009

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